Drammi giudiziari e presunte gaffes nell’estate del governo italiano

Che cos’è la sobrietà istituzionale? E’, anzi dovrebbe essere, quel comportamento che rende distinguibile una carica dello Stato per imparzialità, per il rispetto che si deve tanto a tutti...
Daniela Santanché ed Ignazio La Russa

Che cos’è la sobrietà istituzionale? E’, anzi dovrebbe essere, quel comportamento che rende distinguibile una carica dello Stato per imparzialità, per il rispetto che si deve tanto a tutti i cittadini quanto agli altri poteri: in sostanza alla Repubblica propriamente detta. Pensare che questa destra al governo sia capace di prodursi in sobrietà è così lontano dalla verità che anche un timido auspicio rientra perfettamente nei contorni della massima utopia immaginabile.

La sobrietà e il galateo istituzionali sono diversi e simili tra loro: la differenza sta nel fatto che la prima è un comportamento aderente alle funzioni sempre e comunque, mentre il secondo è l’aspetto più formale di un cerimoniale laico e repubblicano che si deve onorare ogni volta che ci si trova in relazione con i propri colleghi e con le rappresentanze estere.

Non ci piace vincere facile, come fanno le destre, e non ci piace tanto meno sparare sulla Croce Rossa, ma è del tutto evidente che ministri e rappresentanti del governo Meloni sono un insieme di contraddizioni tali da far impallidire anche il peggiore dei gaffeur. Ma il dramma politico è proprio tutto quanto qui: non si tratta di semplici gaffes, perché il più delle volte quelle che appaiono come voci dal sen fuggite sono invece precise, puntuali e coscientissime convinzioni.

Dai migranti definiti “carichi residuali” alla “sostituzione etnica“; dai documenti secretati che vengono letti platealmente alla Camera dei Deputati alla “crociata universale condotta sul globo terracqueo” contro gli scafisti, passando per i tanti saluti romani esibiti da esponenti cosiddetti “post-fascisti” e per il revisionismo storico sulla Resistenza romana, sui fatti di via Rasella, sui battaglioni tedeschi armati fino ai denti definiti “bande musicali“, andando ancora oltre l’immaginabile nel parlare del passato coloniale italiano, per giungere ai più disincantati e sobri rimbrotti sui nomi umani dati ai cagnolini.

Che dire, per arrivare alla stretta attualità di un ministro (si badi bene: della cultura) che, durante un concorso letterario, in tutta sincerità – elemento basilare, fondante di qualunque vera gaffe – ammette di aver votato senza aver letto ancora i libri che avrebbe dovuto conoscere? Ci saremmo comportati un po’ tutti come Geppi Cucciari: strabuzzando gli occhi e, senza glissare, domandando increduli: «Ma lei li la ha letti quei libri?», sapendo già quale sarebbe stata la risposta. Un abbozzo, un cercare di rimediare in una zona Cesarini dell’imbarazzo galattico con una toppa peggiore del buco.

Che dire, ancora, di una ministra che va in Senato a spiegarsi, a cercare di difendersi dalle “tremende” accuse delle sue ex dipendenti di non aver ricevuto salari, liquidazioni, di averle fatte lavorare pur avendo chiesto la cassa integrazione, e che giura di non essere indagata (per bancarotta e per falso in bilancio) e che, forse per colpa della “giustizia ad orologeria“, scopre poche ore dopo invece di esserlo (pur essendolo dagli inizi dell’ottobre 2022)?

Ed infine, per ora, che dire di un Presidente del Senato che invece di affidarsi, anche da avvocato, alla Legge e alla Magistratura per dirimere la matassa dell’impiccio in cui il figlio, volente o nolente, si è cacciato, non trova di meglio da fare che sentenziare prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso: «Dopo averlo a lungo interrogato ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante». E’ rassicurante, ma è la parola di un padre che, comprensibilmente, crede alla sua progenie come farebbe forse chiunque.

Rimane il fatto che la seconda carica dello Stato, che ha le funzioni indirette di “vicepresidenza” della Repubblica, dovrebbe proprio in questi frangenti sussumere la propria esperienza a principio generale e fare del caso che lo riguarda per indiretta persona un esempio di etica e di morale civile. Non rinnegando ma nemmeno assolvendo preventivamente il figlio. Affidandosi – come ha poi detto di fare in una replica che voleva essere anche una smentita delle “interpretazioni” malevole fatte da giornalisti e politici avversari – completamente al lavoro dei procuratori e dei giudici.

Insomma, ce n’è abbastanza per poter affermare che la sobrietà istituzionale non può appartenere ad un governo che con la cultura democratica fa i conti soltanto ora, provenendo i suoi esponenti da una storia politica che ha sempre guardato al regime repubblicano formatosi con la consultazione del 2 giugno 1946 come ad un tradimento di un vero patriottismo, perché la sua Costituzione è stata scritta dai vincitori del fascismo, della dittatura e della sua perversione più aberrante: i seicento giorni di Salò.

La tentazione di scambiare questi comportamenti per delle semplici gaffes, per degli inciampi, per  dei lapsus, sarebbe una sorta di evitamento del dramma psico-politico di avere un governo che, invece, in moltissime occasioni parla e agisce per cambiare radicalmente la fisionomia costituzionale dell’Italia, introducendo nella vulgata comune concetti a cui si invita la popolazione ad aderire seguendo il corso degli eventi, aderendo all'”opinione pubblica“, reclamizzata come la “volontà degli italiani espressa nelle urne“.

Tipico del potere è circondarsi di propaganda, scavalcando la verità, stabilendo un rapporto indiretto coi fatti e mutandoli in opinioni che cambiano di continuo. Ma c’è un limite che dovrebbe essere invalicabile: riconoscere che quel potere è temporaneo in una repubblica e che nessuno governa per sempre, ma solo dietro il mandato di un Parlamento che, però, deve ritrovare la pienezza delle sue funzioni e, quindi, anche la delega che viene data dal popolo alle Camere deve essere tale sulla base di un ritorno all’equipollenza del voto a prescindere dalle scelte che i cittadini fanno in cabina elettorale.

Ma, oggi, soprattutto col governo Meloni, tutto si muove nel senso dell’esclusivismo, della particolarizzazione autoreferenziale, dell’esaltazione antimeritocratica di privilegi che vengono assegnati alle regioni virtuose nei conti, mentre le altre segnano il passo e si ritrovano separate dal resto del Paese. Il progetto della famigerata “autonomia differenziata” mira non ad una uguaglianza de jure e de facto nello stabilire una sorta di progetto federale per una Repubblica che deve invece rimanere Stato unitario, in particolare nel riconoscimento dei diritti sociali, civili, morali. E così dei doveri.

La destra che rimane al governo, priva della figura di riferimento di un recente passato, quella di Silvio Berlusconi, dalle spalle davvero molto larghe, è un abborracciata imitazione di un’era che si è conclusa nella sua fase liberal-liberista e che, oggi, si apre ad una condivisione (un po’ forzata) tra ideologia nazionalista e compatibilità mercatiste e finanziarie internazionali. Tutto ciò che un tempo erano le forze sovraniste oggi non lo sono più le forze ridiventate apertamente conservatrici.

L’attacco alla magistratura non ha più il retrogusto indigesto dell’interesse privato che aveva ai tempi del berlusconismo. Oggi si tenta una riforma che separi le carriere, che dia sempre meno autonomia alla parte tanto inquirente quanto a quella giudicante: dalle intercettazioni sempre più difficili da gestire all’abolizione dell’abuso d’ufficio, dall’impossibilità di adire in appello per i PM nei casi di assoluzione da reati di “contenuta gravità” alla riformulazione della misura della custodia cautelare.

E così pure il rapporto contraddittorio e contrastante con il mondo del lavoro si avvale dell’approvazione di una parte del sindacato confederale, mettendo così in crisi una unità che, ad essere completamente sinceri, è meglio venga meno nella chiarezza delle posizioni piuttosto che permanga in uno stato di ambiguità tale da disaffezionare sempre di più le lavoratrici e i lavoratori dall’intraprendere azioni di lotta contro lo sfruttamento da parte delle imprese.

E’ evidente il tentativo della destra di egemonizzare socialmente e culturalmente la vita del Paese: l’occupazione della RAI, con il conseguente svuotamento dei nomi di punta che ne facevano una azienda di primo livello e altamente concorrenziale (mentre dovrebbe essere un servizio totalmente pubblico… ma questo è ancora un altro discorso…) era prevedibilissima. Ma che potesse avvenire in questi termini era difficile da pronosticare.

Il piano di riconsiderazione complessiva della cultura e dell’etica dell’Italia moderna è in atto e viene ogni giorno condotto con metodi apparentemente estemporanei ma che, alla fine, convergono verso una identità politica e (anti)sociale ben circoscrivibile dentro il perimetro della vecchia destra missina e neo-nazionalista.

A cominciare dalla preservazione del culto di una italianità indefessa che, invece di assicurarsi che la lingua italiana sia acquisita anche dai migranti per aiutarli nell’integrazione, per farli sentire ed essere sempre meno esclusi dai difficili contesti in cui sopravvivono, parla di “forestierismi” e combatte l’anglicizzazione del nostro linguaggio a suon di pene e di reprimende.

Ognuno dovrebbe essere libero di esprimersi come vuole: se preferisce chiamare il “tutto esaurito” di un concerto “sold out“, oppure se al posto di “retroterra” usa l’espressione “background“. Si tratta di artificiose mode del momento, non di una colonizzazione delle lingue neolatine da parte di quelle celtiche. Quello che conta veramente è constatare se i nostri ragazzi e e le nostre ragazze sono in grado di leggere correttamente, di capire il senso di quello che leggono e di saper scrivere nella lingua madre senza difficoltà alcuna.

Invece i rapporti scolastici ci dicono che molti studenti hanno persino gravi difficoltà a scrivere in corsivo, perché troppo abituati a battere sulle tastiere dei computer, dei telefonini, dei tablet. La cultura italiana e la società italiana non si proteggono dall’impoverimento con leggi punitive ma facendo in modo che tutti possano accedere alla scuola, avere tutti i mezzi necessari per evolvere fino ai massimi gradi e poter trovare un lavoro che ripaghi quei sacrifici.

Ma tutto procede esattamente al contrario in questa modernità liberista in cui i fondi pubblici sono dirottati verso la spesa militare, in cui si seguono i dettami della NATO e in cui non si dice, da parte del governo italiano, una parola di biasimo per la fornitura di bombe a grappolo che gli USA faranno all’Ucraina: un vero e proprio crimine contro i civili, che durerà per decenni. I residui di questi ordigni resteranno inesplosi a centinaia ed ogni tanto qualche bambino, qualche persona ci salterà sopra senza saperlo e senza accorgersi del perché sta morendo…

Il quadro nazionale e quello internazionale sono allarmanti: l’Italia del governo Meloni pensa alle priorità per gli italiani ricchi e benestanti, alla protezione dei profitti imprenditoriali e a tutto questo lega un risvolto culturale antisociale che fa della nazione un’entità dipendente dalle oscillazioni dei mercati dentro una Europa che vira pericolosamente a destra.

L’indipendenza delle istituzioni è minacciata da un atteggiamento sprezzante nei confronti della libera iniziativa ed autonomia dei magistrati, degli insegnanti, dei sindaci, dei dipendenti pubblici, delle forze dell’ordine e di quelle armate. Si tende ad adeguarsi alla scia tracciata dall’esecutivo, senza metterne in discussione le scelte. Questa apatia nei confronti del pensiero critico, necessario per la preservazione della dialettica democratica, è abbastanza inquietante e deve essere il campanello d’allarme di un mutamento genetico della Costituzione repubblicana.

La sobrietà istituzionale, che oggi solamente il Presidente Mattarella mette in pratica per proprio stile e per propria cultura giuridica e morale, rischia di essere ben presto un retaggio del passato se l’arroganza, la prevaricazione e la muscolarità energica di un linguaggio aggressivo e stigmatizzante le differenze e le minoranze prevarrà sul bisogno di uguaglianza, solidarietà e partecipazione collettiva.

La lunga estate calda dell’Italia meloniana è appena iniziata…

MARCO SFERINI

8 luglio 2023

foto: screenshot You Tube

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