Antifascista non si dichiara chi antifascista non è

La parola “antifascista“: sostantivo, aggettivo che potrebbe essere chiamato “il temutissimo“, quello che non si può nomare se non per dirne male, per ricordare che tra gli antifascisti qualche...

La parola “antifascista“: sostantivo, aggettivo che potrebbe essere chiamato “il temutissimo“, quello che non si può nomare se non per dirne male, per ricordare che tra gli antifascisti qualche coglione c’era pure che tirava sprangate ai fascisti. E poi fermarsi lì. Mica può un ministro postfascista citare l’assassinio di Sergio Ramelli e magari ricordare parimenti che dietro la parola “fascista” o “neofascista” c’erano soltanto dei picchiatori e dei violenti, animati da coloro i quali se ne stavano al calduccio dietro la fiamma tricolore.

Se nella galassia dell’antifascismo si va dai monarchici fino agli anarchici, quindi agli antipodi dell’uno nei confronti dell’altro, in quella del neofascismo e del postfascismo si va dai fascisti eredi di Salò ai fascisti eredi degli eredi della repubblichina fantoccio del Terzo Reich. Se tra gli antifascisti c’era qualche imbecille (e magari c’è tutt’ora), tra le fila del neofascismo i ragazzi perbene si contavano sulle punta delle dita di una mano.

Se pensiamo, almeno noi democratici, antifascisti e, buon peso, anche comunisti, all’essere contro al fascismo, pensiamo tanto a comandanti dell’esercito italiano fucilati alle Fosse Ardeatine, come Cordero di Montezemolo, quanto ai giovani partigiani massacrati, torturati e barbaramente uccisi dalle brigate nere e dalla Guarda Nazionale Repubblicana insieme alle SS. Se la mente ci porta invece nelle nere lande dell’ultimo periodo del mussolinismo, quello che si consta è una commistione, a volte con qualche apprezzabile distinguo, tra irriducibili pavoliniani e giovani costretti più che coscritti.

Ci avviciniamo al 25 aprile ed è normale che, soprattutto in tempi di governo postfscista-populista-liberista (e chi più ne ha più ne metta) si rinfocolino polemiche che, alla bisogna, vanno bene un po’ tutto il resto dell’anno. Qualcuno ha detto e scritto bene anni fa in un manifesto dell’ARCI: non solo il 25 aprile, ma pure tutto il resto, dall’antifascismo a “Bella ciao“, è divisivo se tu sei fascista e, quindi, non ti riconosci appieno nel patto resistenziale che è alla base della Costituzione repubblicana.

Ministri del governo Meloni vanno in una RAI in cui resistono solo pochi spazi di approfondimento seri, a dire che la temutissima parola non è poi così indicibile, impronunciabile, da cancellare insieme ai monolghi con censure giustificate con problemucci di bilancio per esborsi di compensi agli autori richiesti; semmai – ma perché non ci abbiamo pensato prima! – è un termine inadeguato e quindi irriferibile a sé medesimi perché sarebbe generica.

Leggasi: generico sta, secondo Lollobrigida, per eccessivamente includente quella galassia in cui il ministro vede quasi soltanto la violenza contro Sergio Ramelli e quelle di un teppismo anarcoide che fa sempre bene riportare alla mente di un pubblico che così pensa e ripensa al fatto che forse, del resto, Ilaria Salis è andata in Ungheria per pestarli quei fascisti che si riuniscono nel “Giorno dell’onore” in cui sputano contro la libertà dal Terzo Reich avuta grazie all’Armata Rossa.

Ma forse il ministro nemmeno pensa così articolatamente. Serve una giustificazione per non rimanere sempre muti davanti al microfono dei cronisti quando domandano: «Ma perché non si dichiara antifascista?». E ‘sti gran cazzi, verrebbe da dire (e scusate i francesismi, ma oggi mi gira così…). Prendo a prestito le parole che ho letto su un profilo Instagram: ma come si può chiedere a chi ancora si riconosce nella fiammella tricolore di dirsi antifascisti? E’ o non è il simbolo del post-neofascismo italiano, così come in Francia lo era quella dei Jean-Marie Le Pen?

Lo è. Dunque, se domandiamo ai componenti del governo – non solo a quelli di Fratelli d’Italia – di dirsi “antifascisti“, forse potranno anche farlo girandoci intorno, baroccheggiando con le terminologie, venendosene fuori col fatto che la genericità è dell’antifascismo, mica del fascismo; oppure che, come andava di moda qualche lustro fa, dicendo che sono categorie affidate al passato, che la politica va svecchiata e che, in fondo, anche destra e sinistra sono un po’ luoghi della politica superati.

Non è stata proclamata la morte delle ideologie? Non si è cercato di fare in modo che il trasformismo italico passassa attraverso queste forche caudine per far riemergere la destra di un tempo, dai lavacri di Fiuggi fino alle metamorfosi neonazionaliste della Lega o ai salti in avanti del melonismo divenuto arte (si fa per dire) di governo nel compromesso con le compatibilità euro-nord-atlantiche?

Quindi, se proviamo a far dire a Meloni, Lollobrigida ed altri della risma la parola “antifascista” è come provare a far dire “Portobello” al pappagallo verde che almeno si chiamava così, e che solo una geniale Paola Borboni riuscì a far parlare.

Può succedere una volta su mille. Per sbaglio, per fortuna, per distrazione, per esasperazione. Eh certo che questi ricoprono cariche istituzionali, per cui l’essere contro il fascismo, democratici e repubblicani dovrebbe significare il minimo sindacale per chi è cresciuto in tempi in cui in Italia si era consolidato il contrario del regime di Mussolini… Qui sta il motivo per cui i giornalisti lo chiedono ad Ignazio La Russa di dirsi “antifascista”, ma non certo al Presidente Mattarella. Del Capo dello Stato siamo certi della sua perfetta aderenza ai valori resistenziali.

Degli altri se ne può, eufemisticamente, dubitare. Ma poi perché questi ne dovrebbero fare mistero? Sono quel che sono e fanno già tanta fatica a stare imbrigliati nel galateo istituzionale che gli impone il 25 aprile di rendere omaggio ai caduti della Resistenza e alla memoria di tutte le partigiane e i partigiani… Che je vojamo pure far dire che sono antifascisti o, peggio del peggio, solamente “antifa“? Le contraddizioni sono pure eccitanti, ma poi te sfiancano…

Non si può più stare appresso a queste polemiche. Intendo quelle suscitate dalle definizioni di “antifascismo” date dal ministro Tale o Tal Qualaltro. Bisogna però rispondere sempre, con vigilanza veramente repubblicana, democratica e tenacemente resistente a tutti quei tentativi di sovvertire l’essenza della Repubblica. Presidenzialismo, premierato, autonomia differenziata. Privatizzazioni e tagli ulteriori ai servizi sociali, a sanità, scuola pubblica, previdenza…

Gasparazzo, di Roberto Zamarin

Questo governo non è solamente una caricatura di sé stesso quando parlano ministri in televisione o vicepresidenti del Consiglio e sottosegretari, deputati o senatori fanno gaffes irreparabili, le sparano grosse (e qualche volta le sparano proprio per davvero…): sbaglieremmo enormemente se pensassimo di ridurlo solamente a ciò. E’, come molti altri esecutivi, al servizio di una classe imprenditoriale e finanziaria che sorregge le sorti dei profitti privati tanto in Italia quanto in buona parte d’Europa.

Anche questo governo di sciagurati è, nel male, solo nel male, un “comitato d’affari” della borghesia moderna. Addomestica l’informazione, tenta sortite in ambito culturale e scivola sul bagnato, spara sulla Croce Rossa, copre con le stravaganze dei suoi componenti più dialetticamente bislacchi, eclettici e lessicalmente spericolati una politica devastante sul piano dei diritti del mondo del lavoro, di coloro che hanno meno di tutti, di coloro che finiranno per avere meno di altri.

Un tempo si parlava di “ascensore sociale” quando ci si riferiva alla concreta possibilità di andare molto oltre la povertà e raggiungere un tenore di vita degno di questo nome. Un tempo le conquiste della classe lavoratrice avevano posto le premesse perché l’impresa non provasse a spingersi troppo oltre. Questo fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso. Poi qualcosa è cambiato radicalmente. La torsione liberista ha preso il sopravvento e ha sconvolto il mondo.

Nel farlo, ha cambiato anche lo sviluppo dello stesso sistema capitalistico dal suo interno. Le destre hanno colto questa occasione nel momento in cui sono venuti meno i due blocchi mondiali contrapposti e si è passati all’unipolarismo nordamericano. La stagione berlusconiana, per quanto abbia devastato l’idea stessa di collettività, di solidarietà sociale, di convivenza e di reciprocità, quindi l’idea di un Paese che stava nascendo dopo una lunga gestazione gravata da tentativi eversivi, non è paragonabile alla pressappochezza dell’attuale governo.

Dobbiamo dare rilevanza agli strafalcioni sull’antifascismo nella misura in cui siamo consapevolmente critichi su tutto il resto. Non cadiamo nella trappola di considerare pericoloso un esecutivo che se ne esce con un Times Square a Londra o con i tentativi giustificazionisti dell’impronunciabilità e della propria afferenza alla parola antifascismo da parte dei postfascisti.

Mettiamo tutto nel paniere del disastro, indubbiamente. Ma evitiamo la distrazione. La preservazione dell’elemento mnemonico e culturale è imprescindibile. Di pari passo dobbiamo lottare, il più unitariamente possibile, per controbattere socialmente e civilmente ai grandi danni che il melonismo sta facendo nei confronti dei ceti più deboli e disagiati di una Italia priva sempre più di un sistema immunitario laico, democratico e civico che si richiami alla solidarietà e alla universalità dei diritti tutti.

La distinzione che una parte significativa dell’esecutivo opera tra sé stesso e l’antifascismo è di una gravità inaudita, perché mette una cesura tra le istituzioni della Repubblica e la Repubblica stessa intesa come unità di popolo, come convenzione nazionale, come eredità di una rinascita italiana dopo la distruzione materiale e morale in cui l’aveva gettata il regime criminale di Mussolini.

Nel momento in cui un membro del governo non si riconosce nell’antifascismo in quanto “religione civile” del Paese (era una felice definizione di Fausto Bertinotti), è del tutto evidente che questa contraddizione riguarda prima di tutto presidenti e ministri, sottosegretari, deputati e senatori che sostengono e sono la maggioranza del Parlamento; ma riguarda anzitutto noi che invece non conosciamo distinzione alcuna tra chi siamo e la nostra Costituzione, la nostra Repubblica, la nostra Italia antifascista, democratica e sociale.

Fa male davvero al cuore vedere la RAI assumere le sembianze di una ridotta televisiva mentre altri canali nazionali fanno il pieno di ascolti con tutti coloro che lasciano quella che era la più grande azienda pubblica anche della cultura italiana. Ed è pure questo un campanellone di allarme che dovrebbe fare di questo 25 aprile l’inizio dell’inversione di tendenza.

Questo governo bisogna mandarlo a casa presto e subito. Questi personaggi avranno anche conquistato il diritto elettorale di governare la nazione, ma non ne sono assolutamente degni perché alle già biasimevoli politiche liberiste (fatte anche da larghe fette di centrosinistra) aggiungono una perseverante acrimonia nei confronti di uno Stato che non possono pienamente rappresentare. Perché chi è erede del post o neofascismo non rientra tanto nel vecchio quanto nel nuovo arco costituzionale.

Quello di chi difende la Repubblica parlamentare. Quello di chi intende il regionalismo come un arricchimento reciproco e non come un separatismo tra territorio e territorio, tra nord e sud, tra ricchi e poveri e vi commisura di conseguenza i diritti fondamentali dell’essere umano e del cittadino.

Non quello inventato da coloro che hanno sempre guardato con piacere al progetto politico di Almirante sintetizzato nell’iconicità antistorica (ed antistoriografica) della frase: “Non rinnegare [il fascismo], non restaurare [il fascismo]”. Per oltre mezzo secolo la destra sconfitta dalla Storia ha coltivato il sogno della rivincita, di un revanchismo anche culturale, anticipando il tutto con quel revisionismo che è stato benvoluto anche dal Cavaliere nero di Arcore nel nome dell’unità del polo sfacciatamente chiamato “del buongoverno” e “delle libertà“.

Sappiamo da che parte stare e sappiamo loro chi sono. Non ci può essere riconoscimento di legittimità piena dello stare al governo per queste destre fino a che non diventeranno altro da ciò che sono. Liberali? Democratiche? Sociali? Sono tanto lontane da questi obiettivi quanto la definizione di “antifascismo” del ministro Lollobrigida è prossima alla sensatezza logica, alla verità storica, alla realtà politica.

MARCO SFERINI

23 aprile 2024

foto: screenshot della vignetta di Roberto Zamarin, autore di “Gasparazzo”, alla cui memoria dedichiamo queste righe di oggi

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