Per la storia della Lega dei Comunisti

Il seguente scritto apparve come prefazione alle Rivelazioni sul processo dei Comunisti di Colonia, nel 1885. E’ stato tradotto dalla edizione tedesca degli scritti scelti di Marx e di...
Friedrich Engels

Il seguente scritto apparve come prefazione alle Rivelazioni sul processo dei Comunisti di Colonia, nel 1885.

E’ stato tradotto dalla edizione tedesca degli scritti scelti di Marx e di Engels, Karl Marx, Ausgewählte Schriften, II Mosca, 1934, pp. 1-26.

Trascritta per Internet da Ivan, Giugno 1999


Con la condanna dei comunisti di Colonia nel 1852 cala il sipario sul primo periodo del movimento autonomo degli operai tedeschi. Questo periodo è oggi quasi dimenticato. Eppure esso si estese dal 1836 al 1852, e poichè gli operai tedeschi erano largamente disseminati all’estero operò in quasi tutti i paesi civili. E non basta.

L’odierno movimento operaio internazionale è in lontananza una continuazione diretta di quello tedesco di allora, che fu in generale il primo movimento operaio internazionale e da cui uscirono molti degli uomini che assunsero parti direttive dell’Associazione Internazionale degli Operai. E i principi teorici che la Lega dei Comunisti scrisse sulla propria bandiera nel Manifesto comunista del 1847 formano oggi il più forte vincolo internazionale di tutto il movimento proletario d’Europa e d’America.

Per una storia organica di quel movimento esiste finora una sola fonte principale. E’ il cosiddetto libro nero: Le cospirazioni comuniste del secolo XIX, di Wermuth e Stieber, Berlino, 2 parti, 1853 e 1854. Questo lavoraccio, compilato a furia di menzogne da due delle più miserabili canaglie poliziesche, ridondante di coscienti falsificazioni, serve ancora oggi a tutti gli scrittori non comunisti come suprema fonte circa quell’epoca.

Quello che qui posso dare è solo un abbozzo, e anch’esso limitato a ciò che riguarda la Lega stessa; e a quanto è assolutamente necessario per comprendere le “Rivelazioni”. Spero che mi sarà ancora concesso di elaborare un giorno il ricco materiale raccolto da Marx e da me intorno alla storia di quei gloriosi anni giovanili del movimento operaio internazionale.

Dalla Lega segreta democratica repubblicana dei “Proscritti”, fondata a Parigi nel 1834 da profughi tedeschi, si scissero gli elementi estremisti, per lo più proletari e fondarono la nuova “Lega dei Giusti”, anch’essa segreta. La lega-madre, in cui erano rimasti solo gli elementi più sonnolenti del tipo di Jakobus Venedey presto si addormentò del tutto: allorchè la polizia nel 1840 ne venne a scoprire alcune sezioni in Germania, essa era appena appena un’ombra.

La nuova Lega invece si sviluppò con relativa rapidità. In origine essa era una propaggine tedesca del comunismo operaio francese legato a ricordi babuvisti che si stava formando in quello stesso tempo a Parigi; la comunanza dei beni veniva chiesta come “conseguenza necessaria dell’uguaglianza”. I fini erano quelli delle società segrete esistenti in quell’epoca a Parigi. Era per metà un’associazione di propaganda, per metà cospirazione; e si considerava pur sempre Parigi centro dell’azione rivoluzionaria, benchè non fosse affatto esclusa la preparazione di eventuali colpi di mano in Germania.

Ma, siccome Parigi restava il campo di battaglia decisivo, la Lega in quell’epoca non era in realtà molto più di un ramo tedesco delle società segrete francesi, specialmente della “Société des Saisons”, diretta da Blanqui e Barbès, cui era unita da stretti legami. I francesi insorsero il 12 maggio 1839; le sezioni della Lega marciarono al loro fianco e quindi furono coinvolte nella comune sconfitta.

Dei tedeschi erano stati arrestati specialmente Karl Schapper e Heinrich Bauer; il governo di Luigi Filippo si accontentò di espellerli dopo una prigionia piuttosto lunga. Entrambi si recarono a Londra. Schapper, oriundo di Weilburg nel Nassau, nel 1832 studente di scienze forestali a Giessen e membro della congiura diretta da Georg Büchner, aveva preso parte all’assalto al posto di polizia di Francoforte del 3 aprile 1833, e, riparato all’estero, aveva partecipato nel febbraio 1834 alla spedizione in Savoia di Mazzini.

Gigante nell’aspetto, risoluto ed energico, sempre pronto a mettere a repentaglio l’esistenza borghese e la vita, Schapper era il modello del rivoluzionario di professione che ebbe una certa funzione tra il 1830 e il 1840. Pur non avendo una grande elasticità mentale, non era incapace di migliorare la propria concezione teorica, come è già dimostrato dalla sua evoluzione da “demagogo” a “comunista”, e tanto più rigidamente rimaneva poi fermo alle cose riconosciute e comprese.

Appunto per questo talvolta la sua passione rivoluzionaria prendeva il sopravvento sulla ragione; ma sempre egli comprendeva in seguito il suo errore e lo confessava apertamente. Era veramente un uomo e quanto egli ha fatto per la fondazione del movimento operaio tedesco, rimarrà indimenticabile.

Heinrich Bauer, nativo della Franconia, era calzolaio; un ometto vivace, sveglio, spiritoso, nel cui corpicino si celavano però anche molta astuzia e risolutezza.

Arrivato a Londra, dove Schapper, che a Parigi era stato tipografo, cercava ora di vivere dando lezioni di lingua, i due riannodarono le fila lacerate della Lega e in quell’epoca fecero di Londra il centro della Lega. Ad essi quivi si unì, se non già prima a Parigi, Joseph Moll, orologiaio di Colonia, un ercole di media statura – quante volte lui e Schapper difesero vittoriosamente l’ingresso di una sala contro la pressione di centinaia di avversari! – uomo che, uguale per lo meno ai suoi due compagni per energia e risolutezza, li superava però entrambi intellettualmente.

Non solo era un diplomatico nato, come dimostrarono i successi delle sue numerose missioni; era anche più accessibile alla comprensione teorica. Li conobbi tutti e tre a Londra nel 1843. Erano i primi rivoluzionari che vedevo; e per quanto allora le nostre vedute divergessero nei particolari – giacchè io opponevo allora al loro limitato comunismo egualitario ancora una buona dose di alterigia filosofica altrettanto limitata – non dimenticherò mai l’imponente impressione che fecero quei tre veri uomini, su di me che allora cominciavo appena a voler diventare uomo.

A Londra, come in minor misura in Svizzera, essi si avvantaggiarono della libertà di associazione e di riunione. Fin dal 7 febbraio 1840 fu fondata l’Associazione educativa degli operai tedeschi che esiste ancora oggi. Quest’associazione serviva alla Lega quale base di arruolamento di nuovi membri, e poichè, come sempre, i comunisti ne erano i soci più attivi e più intelligenti, andava da sé che la direzione dell’Associazione fosse completamente in mano alla Lega. La Lega ebbe presto a Londra parecchie comunità, come si chiamavano ancora a quel tempo “fucine”.

La medesima tattica ovvia fu seguita in Svizzera e altrove. Dove si potevano fondare associazioni operaie, queste venivano usate nella stessa maniera. Là dove le leggi vi si opponevano, si entrava nelle società corali, nelle società ginnastiche e simili. Il collegamento veniva mantenuto in gran parte per mezzo dei membri in continuo arrivo e in continua partenza, i quali, in caso di necessità fungevano anche da emissari. Sotto entrambi gli aspetti la Lega fu vivamente appoggiata dalla saggezza dei governi i quali con l’espulsione trasformavano ogni operaio indesiderabile in un emissario, e nove volte su dieci si trattava di un membro della Lega.

La diffusione della Lega ricostituita era notevole. In Svizzera, particolarmente, Weitling, August Beeker (uomo di notevolissima intelligenza, che si perdette però, come tanti tedeschi, per mancanza di consistenza interiore) e altri avevano creato una forte organizzazione legata più o meno strettamente al comunismo di Weitling. Non è questo il luogo per criticare il comunismo di Weitling.

Ma per la sua importanza come prima manifestazione teorica autonoma del proletariato tedesco, sottoscrivo ancor oggi le parole di Marx nel “Vorwärts” parigino del 1844: “Dove potrebbe la borghesia (tedesca) – compresi i suoi filosofi e i suoi esegeti delle sacre scritture – in rapporto all’emancipazione della borghesia – all’emancipazione politica – vantare un’opera simile alle Garanzie dell’armonia e della libertà di Weitling? Se si confronta l’arida e timida mediocrità della letteratura politica tedesca con questo smisurato e brillante esordio degli operai tedeschi; se si confrontano queste gigantesche scarpe da bambino del proletariato con la misura da nano delle consumate scarpe politiche della borghesia, si dovrà predire una statura da atleta a questa cenerentola”. Questa figura da atleta ci sta oggi dinanzi, benchè sia ancor ben lungi dall’aver finito la sua crescita.

Anche in Germania esistevano molte sezioni, per necessità di cose di carattere precario; ma le sezioni che sorgevano compensavano largamente quelle che scomparivano. Solo dopo sette anni, alla fine del 1846, la polizia scoperse a Berlino (Mentel) e a Magdeburgo (Beck) una traccia della Lega, senza essere in grado di seguirla ulteriormente.

A Parigi Weitling che nel 1840 vi si trovava ancora, prima di passare in Svizzera, aveva egualmente di nuovo raccolto gli elementi dispersi.

Il gruppo nucleare della Lega erano i sarti. Sarti tedeschi vi erano dappertutto, nella Svizzera, a Londra, a Parigi. In quest’ultima città il tedesco era a tal punto la lingua dominante in questo ramo d’affari, che nel 1846 conobbi a Parigi un Sarto norvegese venuto in Francia direttamente per via di mare, il quale in 18 mesi non aveva imparato quasi neanche una parola di francese, ma alla perfezione il tedesco. Fra le comunità parigine della Lega, nel 1846 due erano composte in prevalenza da sarti, una da stipettai.

Da quando il centro di gravità era spostato da Parigi a Londra, un nuovo elemento passò in primo piano: la Lega da tedesca divenne a poco a poco internazionale. Nell’associazione operaia venivano a trovarsi, oltre a tedeschi e svizzeri, anche membri di tutte quelle nazionalità, a cui la lingua tedesca serviva prevalentemente come mezzo di comunicazione con gli stranieri, specialmente dunque scandinavi, olandesi, ungheresi, cechi, slavi del sud e anche russi ed alsaziani. Nel 1847 fra gli altri partecipava regolarmente alle riunioni anche un granatiere della guardia in uniforme.

L’Associazione ben presto si chiamò: Associazione comunista di educazione operaia, e sulle tessere dei soci era scritto il motto: “Tutti gli uomini sono fratelli” per lo meno in venti lingue, anche se qua e là non senza errori. Come l’associazione pubblica, anche la Lega segreta assunse presto un carattere più internazionale; in un primo tempo ancora in senso limitato, praticamente per la diversa nazionalità dei suoi membri, teoricamente per la comprensione che ogni rivoluzione, per essere vittoriosa, dovesse essere europea. Più in là ancora non si andava; ma la base era data.

Con i rivoluzionari francesi si manteneva uno stretto collegamento attraverso i profughi londinesi, compagni di lotta del 12 maggio 1839. Lo stesso con i Polacchi, che erano più radicali. L’emigrazione polacca ufficiale, come pure Mazzini, era naturalmente piuttosto avversaria che alleata. I cartisti inglesi venivano lasciati in disparte come non-rivoluzionari a causa del carattere specificamente inglese del loro movimento. Solo più tardi i dirigenti londinesi della Lega entrarono, per mezzo mio, in rapporto con essi.

Nel corso degli avvenimenti il carattere della Lega si era modificato anche sotto altri aspetti. Benchè si continuasse sempre – e in quel tempo molto giustamente – a considerare Parigi la città madre della rivoluzione, ci si era però emancipati dalla dipendenza dai cospiratori parigini.

La diffusione della Lega accrebbe la sua autocoscienza. Si sentiva di radicarsi sempre più nella classe operaia tedesca, e che questi operai tedeschi erano storicamente chiamati ad essere gli araldi degli operai del nord e dell’est europei. In Weitling si aveva un teorico comunista che si poteva osare di mettere a fianco dei suoi concorrenti francesi di allora. Infine l’esperienza del 12 maggio aveva insegnato che per il momento non era più il caso di pensare a tentativi di colpi di mano.

E per quanto si continuasse a interpretare ogni avvenimento come indizio dell’imminente tempesta, se nell’insieme si mantenevano in vigore i vecchi statuti semi-cospirativi, era più colpa della vecchia ostinatezza rivoluzionaria, che già cominciava a entrare in conflitto con una concezione migliore che si andava imponendo.

La dottrina sociale della Lega, invece, per quanto indeterminata, manifestava un grandissimo difetto, dovuto però alla stessa situazione. I membri, in quanto in genere operai, erano in realtà quasi esclusivamente artigiani. L’uomo che li sfruttava era, anche nelle grandi metropoli, nella maggior parte dei casi soltanto un piccolo maestro artigiano. Nella sartoria stessa, lo sfruttamento su grande scala, la cosiddetta confezione, basata sulla trasformazione della sartoria artigiana in industria a domicilio per conto di un grande capitalista, era allora perfino a Londra appena agli inizi.

Da un lato lo sfruttatore di questi artigiani era un piccolo maestro artigiano, dall’altro essi stessi speravano di diventare infine piccoli maestri artigiani. Oltre a ciò gli artigiani tedeschi di quell’epoca erano ancora affetti da una quantità di idee corporative tradizionali. Torna sommamente a loro onore il fatto che – mentre non erano nemmeno ancora dei proletari nel vero senso della parola, ma solo un’appendice della piccola borghesia in via di trasformarsi nel moderno proletariato, appendice che non era ancora in contrasto diretto con la borghesia, cioè col grande capitale, – questi artigiani fossero in grado di anticipare istintivamente la loro evoluzione futura e di costituirsi, seppure non con piena coscienza, in partito del proletariato.

Ma era anche inevitabile che i loro vecchi pregiudizi artigianeschi li facessero inciampare ogni volta che si trattava di criticare nei suoi particolari la società esistente, cioè di analizzare fatti economici. E non credo che ci fosse allora in tutta la Lega un solo uomo che avesse mai letto un libro di economia. Ma ciò poco importava; l'”eguaglianza”, la “fraternità” e la “giustizia” aiutavano per il momento a superare qualsiasi vetta teorica.

Frattanto si era venuto formando accanto al comunismo della Lega e di Weitling un secondo comunismo, essenzialmente diverso.

A Manchester avevo toccato con mano che i fatti economici i quali nella storiografia sinora non hanno alcuna parte oppure solo una parte disprezzata, sono, per lo meno nel mondo moderno, una potenza storica decisiva; che essi costituiscono la base per l’origine degli odierni contrasti di classe; che questi contrasti di classe a loro volta, là dove, grazie alla grande industria, si sono pienamente sviluppati, specialmente in Inghilterra dunque, costituiscono la base della formazione dei partiti politici, delle lotte fra i partiti e quindi di tutta la storia politica. Marx non solo era giunto alla stessa opinione, ma l’aveva già generalizzata nei “Deutsch-französische Jahrbücher” (1844), nel senso che in generale non è lo stato che condiziona e regola la società civile, ma la società civile condiziona e regola lo stato, che dunque la politica e la sua storia devono essere spiegate sulla base dei rapporti economici e del loro sviluppo, e non viceversa.

Quando nell’estate del 1844 andai a trovare Marx a Parigi, risultò il nostro completo accordo in tutti i campi teorici, e da allora dato il nostro lavoro in comune. Quando ci ritrovammo nella primavera del 1845 a Bruxelles, Marx dai principi fondamentali sopra indicati aveva già sviluppato in pieno nelle linee fondamentali la sua concezione materialistica della storia e ci accingemmo allora a elaborare la nuova concezione particolarmente nelle direzioni più diverse.

Ma questa scoperta che rivoluzionava la scienza storica e che come si vede è essenzialmente opera di Marx e di cui non posso attribuire a me che una minima parte, fu di un’importanza immediata per il movimento operaio del tempo. Il comunismo dei francesi e dei tedeschi, il cartismo degli inglesi ora non apparivano più come qualcosa di casuale, che avrebbe anche potuto non esservi.

Questi movimenti apparivano ora come un movimento della moderna classe oppressa, del proletariato, come forme più o meno sviluppate della lotta storicamente necessaria di questa classe contro la classe dominante, la borghesia; come forme di lotta di classe, ma diverse da tutte le lotte di classe precedenti per questo fatto: che la classe oppressa d’oggi, il proletariato, non può compiere la propria emancipazione senza emancipare in pari tempo tutta la società dalla divisione in classi e quindi dalle lotte fra le classi. E il comunismo ora non significava più: escogitazione, per opera della fantasia, di un ideale di società il più perfetto possibile, ma: comprensione della natura, delle condizioni e dei fini generali che ne derivano alla lotta condotta dal proletariato.

Non pensavamo però affatto di sussurrare in grossi volumi i nuovi risultati scientifici esclusivamente al mondo dei “dotti”. Al contrario. Entrambi eravamo già profondamente impegnati nel movimento politico, avevamo un certo seguito nel mondo colto, specialmente della Germania occidentale, e ampi contatti col proletariato organizzato.

Avevamo il dovere di motivare scientificamente la nostra concezione; ma era altrettanto importante per noi, di conquistare alle nostre convinzioni il proletariato europeo e in un primo tempo quello tedesco. Non appena chiarite a noi stessi le nostre idee, ci mettemmo al lavoro. A Bruxelles fondammo un’associazione operaia tedesca e ci impadronimmo della “Deutsche Brüsseler Zeitung”, in cui avemmo un nostro organo fino alla rivoluzione di febbraio.

Con la corrente rivoluzionaria dei cartisti inglesi eravamo in contatto attraverso Julian Harney, direttore dell’organo centrale del movimento, “The Northern Star”, di cui ero collaboratore. Eravamo pure legati da una specie di blocco con democratici di Bruxelles (Marx era vicepresidente dell’associazione democratica) e con i socialdemocratici francesi della “Réforme”, alla quale fornivo notizie sul movimento inglese e tedesco. In breve, i nostri collegamenti con le organizzazioni e con la stampa radicali e proletarie erano del tutto conformi ai nostri desideri.

I nostri rapporti con la Lega dei Giusti erano i seguenti. L’esistenza della Lega ci era naturalmente nota; nel 1843 Schapper mi aveva offerto di entrarvi, ma io allora naturalmente non accettai.

Rimanemmo però in corrispondenza continua non solo con i londinesi, ma anche in rapporti più stretti col dott. Ewerbeck, l’attuale dirigente delle comunità parigine. Senza curarsi delle faccende interne della Lega, eravamo però informati di ogni avvenimento importante. D’altra parte si agiva a voce, per lettera e attraverso la stampa sulle vedute teoriche dei membri più influenti della Lega. A questo scopo servirono anche diverse circolari litografate, che mandavano ai nostri amici e corrispondenti nei diversi paesi in occasioni particolari in cui si trattava di cose interne del partito comunista che si stava formando. In questi casi talvolta si trattava della Lega stessa.

Così, per esempio, un giovane studente della Vestfalia, Hermann Kriege, recatosi in America, vi si era presentato come un emissario della Lega, si era legato con il pazzo Harro Harring per scardinare a mezzo della Lega l’America meridionale, e aveva fondato un giornale in cui predicava un comunismo basato sull'”amore”, traboccante d’amore e ultrasentimentale. A questo ci opponemmo violentemente in una circolare che non mancò di effetto. Kriege scomparve dalla scena della Lega.

Più tardi venne a Bruxelles Weitling. Ma non era più l’ingenuo garzone di sarto che, stupito delle proprie capacità, cerca di rendersi ragione dell’aspetto che potrebbe avere una società comunista. Egli era il grand’uomo perseguitato per la sua superiorità dagli invidiosi, che dappertutto vedeva rivali, nemici segreti e insidie; era il profeta cacciato di paese in paese, che aveva in tasca bell’e pronta la ricetta per l’avvento del cielo in terra e si immaginava che ognuno volesse rubargliela.

A Londra era già venuto in contrasto con la gente della Lega e anche a Bruxelles dove specialmente Marx e sua moglie gli vennero incontro con una pazienza quasi sovrumana, non riuscì ad andar d’accordo con nessuno. Perciò poco dopo partì per l’America per tentare colà di fare il profeta.

Tutte queste circostanze contribuirono alla rivoluzione che si compiva silenziosamente nella Lega e specialmente tra i dirigenti londinesi. L’insufficienza della concezione del comunismo avuta sino allora, sia del semplice comunismo egualitario francese quanto di quello di Weitling, divenne loro sempre più evidente.

Il far risalire il comunismo al cristianesimo primitivo, come aveva ideato Weitling, – per quanto nel suo “vangelo dei poveri peccatori” si trovino dei particolari geniali – aveva fatto sì che in Svizzera il movimento cadesse in gran parte in mano prima di pazzi come Albrecht e poi di profeti imbroglioni e sfruttatori come Kuhlmann. Il “vero socialismo” diffuso da alcuni letterati, che era una traduzione in un corrotto tedesco hegeliano di frasi socialiste francesi, e uno sdolcinato sentimentalismo (vedi nel Manifesto comunista il capitolo sul vero socialismo), che Kriege e la lettura dei relativi scritti avevano introdotto nella Lega, doveva già per la sua bavosa debolezza nauseare i vecchi rivoluzionari della Lega.

Di fronte alle idee teoriche fino ad allora dominanti, di fronte alle aberrazioni pratiche che ne derivavano, si comprendeva sempre meglio a Londra che Marx ed io eravamo nel giusto con la nostra nuova teoria. Questa comprensione venne indubbiamente favorita dal fatto che tra i dirigenti londinesi si trovavano allora due uomini di gran lunga superiori a quelli già accennati per la capacità di conoscenza teorica: il miniaturista Karl Pfänder di Heilbronn e il sarto Georg Eccarius della Turingia.

In breve, nella primavera del 1847 Moll si presentò a Marx a Bruxelles e subito dopo a me a Parigi per invitarci ripetutamente, a nome dei suoi compagni, a entrare nella Lega. Disse che essi erano altrettanto convinti della giustezza generale della nostra concezione quanto della necessità di liberare la Lega dalle vecchie tradizioni e forme cospirative. Se consentivamo di entrarvi, ci sarebbe stata data la possibilità di esporre in un congresso della Lega il nostro comunismo critico in un manifesto che sarebbe poi stato pubblicato come manifesto della Lega; e allo stesso modo avremmo potuto dare il nostro contributo affinchè l’organizzazione invecchiata della Lega venisse sostituita da una organizzazione nuova corrispondente ai tempi e ai fini.

Noi non avevamo alcun dubbio che in seno alla classe operaia tedesca fosse necessaria un’organizzazione, anche per la sola attuazione della propaganda, e che questa organizzazione, a meno di non essere puramente locale, anche fuori della Germania potesse essere solamente segreta. Ma un’organizazzione di tale natura esisteva per l’appunto già nella Lega.

Quello che noi avevamo fino allora trovato da criticare in questa Lega, veniva ora abbandonato dai rappresentanti della Lega stessa come difettoso; noi stessi venivamo invitati a collaborare alla riorganizzazione. Potevamo rifiutarci? No, certo. Entrammo dunque nella Lega; Marx formò a Bruxelles una comunità della Lega composta dei nostri amici più stretti, mentre io andai a visitare le tre comunità parigine.

Nell’estate del 1847 ebbe luogo a Londra il primo congresso della Lega, nel quale W. Wolff rappresentò le comunità di Bruxelles e io le comunità parigine. In questo congresso fu attuata in un primo tempo la riorganizzazione della Lega. Ciò che ancora rimaneva dei vecchi termini mistici dell’epoca cospirativa fu pure soppresso; la Lega si organizzò in comunità, circoli, circoli dirigenti, organo centrale e congresso e si chiamò da quel momento: “Lega dei comunisti”. “Fine della Lega è l’abbattimento della borghesia, il dominio del proletariato, l’abolizione della vecchia società basata sugli antagonismi di classe e la creazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata”, così suona il primo articolo.

L’organizzazione stessa era del tutto democratica, con organi eletti e sempre destituibili, il che di per sé sbarrava il passo a tutte le voglie cospirative, che richiedono la dittatura e bastava per trasformare la Lega – almeno per tempi pacifici ordinari – in una semplice società di propaganda. Questi nuovi statuti – si procedeva in maniera così democratica ora – furono sottoposti alle comunità per la discussione quindi riesaminati al secondo congresso e da esso approvati definitivamente l’8 dicembre 1847. Essi sono pubblicati in Wermuth e Stieber, I, p. 239, appendice X.

Il secondo congresso ebbe luogo alla fine di novembre e ai primi di dicembre dello stesso anno. Fu presente anche Marx che difese in un dibattito prolungato – il congresso durò almeno dieci giorni – la nuova teoria. Ogni opposizione e ogni dubbio furono infine eliminati, i nuovi principi furono approvati all’unanimità e Marx ed io fummo incaricati di elaborare il Manifesto. Lo facemmo immediatamente dopo.

Poche settimane prima della rivoluzione di febbraio fu spedito a Londra per la stampa. Da allora esso ha fatto il giro del mondo, è stato tradotto in quasi tutte le lingue e serve ancor oggi di filo conduttore del movimento proletario nei paesi più diversi. Al posto del vecchio motto della Lega: “Tutti gli uomini sono fratelli” subentrò il nuovo grido di battaglia: “Proletari di tutti i paesi, Unitevi!”, che proclamava apertamente il carattere internazionale della lotta. Diciassette anni più tardi questo grido di battaglia echeggiò per tutto il mondo come grido di lotta dell’Associazione Internazionale degli Operai, e oggi il proletariato militante di tutti i paesi lo porta scritto sulla propria bandiera.

Scoppiò la rivoluzione di febbraio. Immediatamente il Consiglio centrale che fino ad allora era stato a Londra, trasmise i suoi poteri al circolo dirigente di Bruxelles.

Ma questa deliberazione sopraggiunse in un momento in cui a Bruxelles regnava già di fatto lo stato d’assedio e specialmente i tedeschi non potevano più riunirsi in nessun luogo. Stavamo per l’appunto tutti per andare a Parigi e quindi anche il nuovo Consiglio centrale deliberò di sciogliersi e di trasmettere tutti i suoi poteri a Marx e di autorizzarlo a costituire a Parigi immediatamente un nuovo Consiglio centrale. Le cinque persone che avevano preso questa deliberazione (3 marzo 1848) si erano appena separate quando la polizia fece irruzione nella casa di Marx, lo arrestò e lo costrinse a partire il giorno seguente per la Francia dove egli intendeva appunto recarsi.

A Parigi ci ritrovammo presto tutti insieme. Ivi fu redatto anche il documento seguente, firmato dai membri del nuovo Consiglio centrale, che fu diffuso in tutta la Germania e dal quale ancor oggi parecchi possono imparare qualche cosa:

Rivendicazioni del Partito Comunista in Germania

1. Tutta la Germania è proclamata repubblica una e indivisibile.

3. I rappresentanti del popolo sono stipendiati, affinchè anche l’operaio possa sedere nel parlamento del popolo tedesco.

4. Armamento generale del popolo.

7. Le terre dei principi e le altre proprietà terriere feudali, tutte le miniere, cave ecc. vengono trasformate in proprietà dello stato. Su queste terre l’agricoltura sarà esercitata su larga scala e con l’aiuto dei mezzi più moderni della scienza, nell’interesse della collettività.

8. Le ipoteche sui fondi dei contadini sono dichiarate proprietà dello stato: gli interessi di queste ipoteche saranno pagati dai contadini allo stato.

9. Nelle regioni in cui è diffuso il sistema dell’affitto, i tributi agricoli o l’affitto saranno pagati allo stato come imposta.

11. Tutti i mezzi di trasporto, ferrovie, canali, battelli a vapore, strade, poste ecc. sono assunti dallo stato. Sono trasformati in proprietà dello stato e posti a disposizione della classe priva di mezzi.

14. Limitazione del diritto di successione.

15. Introduzione di imposte fortemente progressive e abolizione delle imposte di consumo.

16. Istituzioni di laboratori nazionali. Lo stato garantisce a tutti gli operai la loro esistenza e provvede agli inabili al lavoro.

17. Istruzione popolare generale e gratuita.

E’ nell’interesse del proletario tedesco, della piccola borghesia e dei piccoli contadini di adoprarsi con ogni energia per ottenere l’attuazione delle misure sopra enumerate. Soltanto con la loro attuazione, infatti, i milioni di uomini che fino ad oggi sono sfruttati in Germania da una piccola minoranza e che si cercherà di mantenere oppressi ancora, potranno ottenere il loro diritto e quella potenza che spetta loro quali produttori di ogni ricchezza.

Il Comitato: Karl Marx – Karl Schapper – H. Bauer – F. Engels – J. Moll – W. Wolff

A Parigi regnava allora la mania delle legioni rivoluzionarie. Spagnuoli, italiani, belgi, olandesi, polacchi, tedeschi si raccoglievano in schiere per liberare le loro rispettive patrie. La legione tedesca era diretta da Herwegh, Bornstedt, Börnstein. Poichè subito dopo la rivoluzione tutti gli operai stranieri non solo erano senza lavoro ma venivano anche vessati dal pubblico, queste legioni trovarono molti aderenti. Il nuovo governo vedeva in esse un mezzo per liberarsi degli operai stranieri e concesse loro l’étape du soldat, cioè alloggio e l’aggiunta di marcia della misura di 50 centesimi al giorno sino alla frontiera, dove poi il ministro degli Esteri, il retore Lamartine, sempre commosso fino alle lacrime, trovava il modo di tradirli ai loro rispettivi governi.

Ci opponemmo nel modo più deciso a questo giocare alla rivoluzione. Portare entro la Germania, che era in fermento, una invasione che avrebbe dovuto imporre la rivoluzione dal di fuori, significava mettere in pericolo la rivoluzione della Germania stessa, rafforzare i governi e consegnare i legionari stessi – di questo si rendeva garante Lamartine – senza difesa alcuna alle truppe tedesche. Quando poi la rivoluzione vinse a Vienna e a Berlino, la legione veniva ad avere anche meno scopo di prima; ma ormai ci si era messi e quindi il giuoco fu continuato.

Noi fondammo un circolo comunista tedesco nel quale si consigliava agli operai di tenersi lontani dalla legione e di ritornare invece in patria individualmente e di agirvi per il movimento. Il nostro vecchio amico Flocon, membro del governo provvisorio, ottenne per gli operai da noi inviati le stesse facilitazioni di viaggio che erano concesse ai legionari. In questa maniera rispedimmo in Germania tre o quattrocento operai, fra cui la grande maggioranza dei membri della Lega.

Com’era facilmente prevedibile, la Lega, di fronte al movimento delle masse popolari ora scatenatosi, risultò essere una leva di gran lunga troppo debole. Tre quarti dei membri della Lega che prima risiedevano all’estero, tornando in patria avevano cambiato domicilio; le comunità cui avevano appartenuto sino allora venivano con ciò sciolte in gran parte, e ogni contatto con la Lega andava perduto per essi.

Una parte dei più ambiziosi fra di loro non cercò nemmeno di ristabilirlo, ma ognuno cominciò a creare nella propria località un piccolo movimento separato per proprio conto. E infine, le condizioni di ogni singolo staterello, di ogni provincia, di ogni città, erano così diverse che la Lega non sarebbe stata in grado di dare altro che direttive del tutto generali; ma queste si potevano diffondere molto meglio per mezzo della stampa. In breve, dal momento in cui cessarono le cause che avevano reso necessaria la Lega segreta, cessò anche la Lega segreta stessa di avere come tale un qualsiasi significato. Ma questo meno di tutti poteva sorprendere coloro che pochissimo tempo prima avevano tolto a questa Lega segreta l’ultima ombra di un carattere cospirativo.

Che la Lega però fosse stata una eccellente scuola di attività rivoluzionaria, se ne ebbe la prova ora. Sul Reno, dove la “Neue Rheinische Zeitung” offriva un stabile centro, nel Nassau, nell’Assia renana ecc. dappertutto erano a capo del movimento democratico estremo membri della Lega. Lo stesso ad Amburgo. Nella Germania meridionale vi era l’ostacolo del predominio della democrazia piccolo-borghese.

A Breslavia Wilhelm Wolff svolse la sua attività con grande successo fino ad estate avanzata nel 1848; ebbe anche un mandato della Slesia come sostituto deputato al parlamento di Francoforte. A Berlino, infine, il tipografo Stephan Born, che aveva lavorato come membro attivo della Lega a Bruxelles e a Parigi, fondò una “Fratellanza operaia” che ebbe discreta diffusione e rimase in vita fino al 1850. Born, giovane di grande talento, ma che aveva un po’ troppa fretta di trasformarsi in un astro politico, “fraternizzava” con i più diversi Tizi e Cai pur di metter insieme un mucchio di gente, e non era affatto l’uomo che potesse portare l’unità nelle tendenze opposte e la luce nel caos.

E infatti nelle pubblicazioni ufficiali della associazione si mescolano alla rinfusa le vedute rappresentate nel Manifesto con reminiscenze e aspirazioni corporative, con rimasugli di Louis Blanc e di Proudhon, idee di sapore protezionistico, ecc., a dirla in breve, si voleva essere tutto per tutti.

Furono attuati specialmente scioperi, cooperative sindacali, cooperative di produzione e si dimenticava che si trattava soprattutto di conquistare prima con vittorie politiche il terreno su cui soltanto tali cose potevano essere attuate per sempre. Quando poi le vittorie della reazione fecero sentire ai dirigenti della Fratellanza la necessità di entrare direttamente nella lotta rivoluzionaria, furono naturalmente piantati in asso dalla massa confusa che avevano raggruppato intorno a sé. Born prese parte all’insurrezione di Dresda del maggio 1849 ed ebbe la fortuna di sfuggire.

La Fratellanza operaia però, dinanzi al grande movimento rivoluzionario del proletariato, si era manifestata come una semplice società a parte, che per lo più esisteva solo sulla carta e aveva una funzione così subordinata che la reazione ritenne necessario sopprimerla solo nel 1850 e sopprimere i suoi germogli sopravvissuti solo alcuni anni dopo. Born, il quale si chiama veramente Buttermilch, non è diventato un astro politico, ma un piccolo professore svizzero che non traduce più Marx in un linguaggio di tipo corporativo, ma traduce invece il mite Renan nel suo proprio tedesco dolciastro.

Col 13 giugno 1849 a Parigi, con la sconfitta delle insurrezioni tedesche di maggio e con la repressione della rivoluzione ungherese per opera dei russi, si chiuse un grande periodo della rivoluzione del 1848. Ma la vittoria della reazione non era ancora affatto definitiva. S’imponeva una nuova organizzazione delle forze rivoluzionarie disperse e con ciò anche della Lega. Le condizioni vietavano di nuovo, come prima del 1848, ogni organizzazione pubblica del proletariato; bisognava dunque organizzarsi di nuovo segretamente.

Nell’autunno del 1849 la maggior parte dei membri dei precedenti comitati centrali e dei congressi si ritrovarono insieme a Londra. Mancavano il solo Schapper, detenuto in prigione a Wiesbaden, il quale dopo la sua assoluzione nella primavera del 1850 arrivò anche lui, e Moll, che dopo aver compiuto una serie di pericolosissimi viaggi di missione e di agitazione – in ultimo reclutava nell’armata prussiana della provincia renana dei cannonieri a cavallo per l’artiglieria del Palatinato -, entrò nella compagnia operaia del corpo di Willich e fu ucciso da una fucilata alla testa nel combattimento sulla Murg, verso il ponte di Rotenfels.

Invece entrò allora nella Lega, Willich. Willich era uno di quei comunisti sentimentali che a partire dal 1845 erano così numerosi nella Germania occidentale, e quindi già per questo in contrasto istintivo, segreto con la nostra tendenza critica. Ma egli era qualcosa di più, egli era un profeta completo, convinto della sua missione personale di liberatore predestinato del proletariato tedesco, e come tale, pretendente diretto alla dittatura politica non meno che a quella militare. Al comunismo cristiano-primitivo predicato prima da Weitling si aggiunse in tal modo una specie di Islàm comunistico. Ma la propaganda di questa nuova religione rimase limitata in un primo tempo alla caserma di profughi sottoposta al comando di Willich.

La Lega fu dunque riorganizzata, venne emanato l’indirizzo del marzo 1850 riprodotto in appendice, e Heinrich Bauer fu inviato in Germania quale emissario.

L’indirizzo, redatto da Marx e da me, presenta ancor oggi un interesse, perchè la democrazia piccolo-borghese è tuttora il partito che nel prossimo sconvolgimento europeo che dovrà prodursi fra poco (il periodo di scadenza delle rivoluzioni europee, 1815, 1830, 1848-52, 1870 va nel nostro secolo dai 15 ai 18 anni), dovrà certamente, in un primo tempo, andar al potere in Germania per salvare la società dagli operai comunisti. Perciò, parecchie delle cose ivi dette valgono ancor oggi. La missione di Heinrich Bauer fu coronata da completo successo. Il piccolo e allegro calzolaio era diplomatico nato. Riportò in seno all’organizzazione attiva i vecchi membri della Lega, in parte impigriti, in parte operanti per proprio conto, specialmente anche gli attuali dirigenti della Fratellanza Operaia.

La Lega cominciò ad avere una parte dominante nelle associazioni operaie, contadine e ginnastiche in misura ,molto maggiore che non prima del 1848, cosicchè già il successivo indirizzo trimestrale del 1850 alle comunità poteva constatare che lo studente Schurz di Bonn (il futuro ex-ministro americano), il quale aveva visitato la Germania nell’interesse della democrazia piccolo-borghese “aveva trovato che tutte le forze utilizzabili erano già nelle mani della Lega”. La Lega era assolutamente l’unica organizzazione rivoluzionaria che avesse importanza in Germania.

Ma lo scopo cui doveva servire questa organizzazione dipendeva essenzialmente dal fatto che le prospettive di un rinnovato slancio della rivoluzione si avverassero. E questa cosa nel corso del 1850 divenne sempre più inverosimile, anzi, impossibile. La crisi industriale del 1847 che aveva preparato la rivoluzione del 1848, era superata; un nuovo periodo, fino allora inaudito, di prosperità industriale si era iniziato; chi aveva occhi per vedere e ne faceva uso, doveva veder chiaramente che l’uragano rivoluzionario del 1848 a poco a poco si esauriva.

“Con questa prosperità generale, in cui le forze produttive della società borghese si sviluppano con tutto il rigoglio che entro i limiti dei rapporti borghesi è in genere consentito, non si può pensare a una vera rivoluzione. Una tale rivoluzione è possibile solo nei periodi in cui questi due fattori, le forze produttive moderne e le forme di produzione borghesi, vengono a conflitto fra di loro.

I diversi litigi a cui si abbandonano ora e si compromettono reciprocamente i rappresentanti delle singole frazioni del partito dell’ordine sul continente, lungi dal fornire l’occasione a nuove rivoluzioni, sono al contrario possibili soltanto perchè la base dei rapporti è al momento così sicura e, ciò che non sa la reazione, così borghese. Contro di essa tutti i tentativi della reazione di frenare l’evoluzione borghese s’infrangeranno tanto sicuramente quando tutta la indignazione morale e tutti i proclami entusiastici dei democratici“. Così scrivevamo Marx ed io nella “Rassegna dal maggio all’ottobre 1850” della “Neue Rheinische Zeitung” politisch-ökonomische Revue, fascicoli V e VI, Amburgo, 1850, p. 153.

Questa fredda valutazione della situazione era però per molti un’eresia, in un momento in cui Ledru-Rollin, Louis Blanc, Mazzini, Kossuth e, fra i luminari tedeschi minori, Ruge, Kinkel, Goegg e tutti quanti gli altri, si riunivano in mucchi a Londra per costituirsi in governi provvisori dell’avvenire, non solo per le loro rispettive patrie, ma anche per tutta l’Europa, e in cui non si trattava più che di raccogliere in America i fondi necessari sotto forma di prestito della rivoluzione, per attuare immediatamente la rivoluzione europea e insieme naturalmente le diverse repubbliche.

Che un uomo come Willich ci cadesse e che anche Schapper nel suo vecchio impeto rivoluzionario si lasciasse abbagliare, che la maggioranza degli operai londinesi, in gran parte essi stessi profughi, li seguisse nel campo dei facitori di rivoluzioni democratiche borghesi, chi può meravigliarsene?

In breve, l’astensione da noi difesa non andava a genio a questa gente, che voleva che si entrasse a far parte di questa fabbricazione della rivoluzione; noi ci rifiutammo nel modo più deciso. Si venne alla scissione; e il resto si può leggere nelle Rivelazioni. Poi sopraggiunse l’arresto prima di Nothjung, poi Haupt ad Amburgo, che tradì dando i nomi dei membri del Comitato centrale di Colonia e che avrebbe dovuto servire da testimone principale al processo. Ma i suoi parenti non vollero subire quest’onta e lo fecero andare a Rio de Janeiro, dove egli si domiciliò dandosi al commercio e, in riconoscimento dei suoi servigi, divenne prima console generale prussiano e poi tedesco. Ora egli è di nuovo in Europa.

Per migliore comprensione di quanto segue do la lista degli accusati di Colonia: l. P. G. Röser, operaio sigaraio; 2. Heinrich Bürgers, morto più tardi deputato progressista alla dieta provinciale; 3. Peter Nothjung, sarto, morto pochi anni fa fotografo a Breslavia; 4. W. I. Reiff; 5. Dott. Hermann Becker, attualmente primo borgomastro di Colonia e membro della Camera dei Signori; 6. Dott. Roland Daniels, medico, morto pochi anni dopo il processo di tisi contratta in carcere; 7. Karl Otto, chimico; 8. Dott. Abraham Jacobi, attualmente medico a New York; 9. Dott. I. I. Klein, attualmente medico e consigliere comunale di Colonia; 10. Ferdinand Freiligrath, che allora però si trovava già a Londra; 11. I. L. Ehrhard, commesso; 12. Friedrich Lessner, sarto, ora a Londra. Di questi, dopo un pubblico dibattito dinanzi ai giuristi durato dal 4 ottobre al 12 novembre 1852, furono condannati per tentato alto tradimento: Röser, Bürgers e Nothjung a 6 anni di fortezza, Reiff, Otto, Becker a 5, Lessner a 3; Daniels, Klein, Jacobi ed Ehrhard furono assolti.

Col processo di Colonia si chiude questo primo periodo del movimento operaio comunista tedesco. Subito dopo la condanna sciogliemmo la nostra Lega; pochi mesi dopo anche la Lega scissionista Willich-Schapper passò nella pace eterna.

Una generazione separa quel tempo dal nostro. Allora la Germania era il paese dell’artigianato e dell’industria a domicilio basata sul lavoro manuale; ora è un grande paese industriale in cui è ancora continuo il rivolgimento industriale. Allora bisognava cercare a uno a uno gli operai che capissero la loro posizione come operai e il loro antagonismo storico-economico col capitale, perchè questo antagonismo stesso stava appena sorgendo.

Oggi si deve sottoporre tutto il proletariato tedesco a leggi eccezionali, solo per allentare un po’ il processo della sua evoluzione verso la piena consapevolezza della sua situazione di classe oppressa. Allora i pochi che erano riusciti a penetrare nella comprensione della funzione storica del proletariato, dovevano riunirsi in segreto, adunarsi alla chetichella in piccole comunità di 3 fino a 20 persone.

Oggi il proletariato tedesco non ha più bisogno di alcuna organizzazione ufficiale, né pubblica né segreta; il semplice, naturale legame fra compagni di una stessa classe basta, senza statuti, organi direttivi, deliberazioni di nessun genere, senza altre forme tangibili, per scuotere tutto l’impero tedesco. Bismarck è arbitro in Europa, al di fuori, al di là delle frontiere; ma all’interno cresce ogni giorno più minacciosa quella figura atletica del proletariato tedesco, che Marx prevedeva già nel 1844, il gigante cui lo stretto edificio dell’impero, fatto su misura per il filisteo, diventa già troppo angusto, e la cui potente statura e le cui larghe spalle seguitano a crescere in attesa del momento in cui, solo levandosi in piedi ridurrà in macerie tutto l’edificio della costituzione dell’impero. E non basta.

Il movimento internazionale del proletariato europeo ed americano è ora talmente rafforzato che non soltanto la sua prima forma angusta – la Lega segreta – ma anche la sua seconda forma, infinitamente più ampia – l’Associazione Internazionale degli Operai – è diventata per esso un ceppo e che il semplice sentimento di solidarietà basato sulla comprensione dell’identità della situazione di classe, basta a creare e a mantenere fra gli operai di tutti i paesi e di tutte le lingue uno stesso grande partito del proletariato.

Le teorie che la Lega sosteneva dal 1847 al 1852 e che allora potevano essere trattate dai sapienti filistei con una scrollatina di spalle, come fantasticherie di pazzi estremisti, come dottrina segreta di alcuni capi di sette dispersi, hanno seguaci innumerevoli in tutti i paesi civili del mondo, fra i condannati nelle miniere siberiane, come fra i cercatori d’oro in California; e il creatore di questa dottrina, l’uomo più odiato e più calunniato del suo tempo, Karl Marx, era, quando morì, il consigliere sempre cercato e sempre pronto del proletariato dei due mondi.

Londra, 8 ottobre 1885

FRIEDRICH ENGELS

tratto da marxists.org

foto tratta da Wikipedia

categorie
Comunismo e comunisti

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