La regola critica della “scuola del sospetto”

La lettura di molte opere di Marx, naturalmente compreso il caleidoscopio di stili letterari, filosofico-scientifici, analitico-didattici che fanno de “Il Capitale” una opera omnia dell’esercizio di scrittura preso di...

La lettura di molte opere di Marx, naturalmente compreso il caleidoscopio di stili letterari, filosofico-scientifici, analitico-didattici che fanno de “Il Capitale” una opera omnia dell’esercizio di scrittura preso di per sé, come pura passione ed anche come mezzo per la diffusione delle proprie idee, induce a ritenere, vista la davvero granda massa di concetti, dati, fatti contenuti, quasi infinito il lavoro che uno studioso deve fare se intende ricostruirne in ogni suo singolo verso il quadro complessivo dell’osservazione critica nei confronti del mondo.

A torto e un po’ a ragione, Karl Marx è stato incluso, con Freud e con Nietzsche, nel filone dei “maestri del sospetto“, cioò di quei pensatori che non si sono limitati a constatare la realtà in cui storicamente sono vissuti dandone una particolare, singolarissima interpretazione. Loro hanno, da filosofi, studiosi, economisti e analisti occidentali, messo sotto la lente della critica ora questo ora quell’aspetto sociale, politico, economico, filosofico e scientifico.

In sostanza hanno dubitato di tutto quello che sino ad allora era stato detto, fatto e propinato da scuole, atenei, mezzi di informazione e poteri che li ispiravano, per sovvertire l’assunto per cui ciò che esiste è vero a prescindere e ciò che si pone a critica è da percepire come un campanello di allarme dal suono del sovversivismo nei confronti di millenarie istituzioni e tradizioni: dalla vita quotidiana e dai rapporti sociali fino al rapporto con sé stessi e con la propria individualità entro il contesto comunitario. E’ stato Paul Ricœur a creare questa categoria filosofico-scientifica: la “scuola del sospetto“.

La “falsa coscienza” che il filosofo protestante francese individua come tratto comune tra Marx, Nietzsche e Freud, nel rintracciare da parte loro tutta una serie di presupposti quasi archetipici divenuti dogmi laici a protezione di un conservatorismo antisociale e acritico, è alla radice del problema interpretativo dei loro pensieri e delle loro analisi il concetto che meglio esprime l’apriorismo di tantissimi comportamenti umani che sono stati indotti da una sorta di meccanicismo, di induzione alla ripetizione inerziale, senza che, almeno nella stragrande maggioranza delle persone, ci si ponesse un attimo prima dell’acquisizione dell’esistente come “dato di fatto“.

Tuttavia, le rivoluzioni avvengono. E la Storia con la esse maiuscola pare dare ragione, in questo caso, a Marx quando nella lotta fra le classi individua il motore della dialettica materiale, della mutazione tanto dei rapporti economici nelle classi perché, primi a cambiare, sono i rapporti economici tra le classi. Il primo sospetto che ha il Moro è quello che, almeno fino agli economisti classici del pensiero liberale, si sia dato per scontato che il potere degli Stati, il potere politico ed istituzionale, fosse al vertice di una piramide, alla punta più alta di una scala di dominio che condizionava quindi i rapporti tra ceti sociali e classi in via di sviluppo.

La politica, dunque, sarebbe stata, secondo una narrazione più che millenaria, il decisore in quanto a ragioni economiche interne e a politiche estere che, necessariamente, dovevano trattare su questo piano la stabilità di enormi imperi come di piccole repubbliche dai nervi molto più saldi di tante teste coronate. Per mille anni, infatti, Stati italiani come Genova e Venezia, con il loro mercantilismo e la loro marina, hanno creato dei veri e propri imperi nel bacino del Mediterraneo, sulle coste del Mar Nero e si sono lanciate in avventure commerciali che hanno oltrepassato i confini conosciuti del mondo.

Da Guglielmo di Rubruck a Marco Polo dall’Occidente verso Oriente, da Zhang Qian al mago della corte della dinastia dei Qin, conosciuto come Xu Fu, l’esplorazione del globo (di cui questi grandi esploratori non conoscono le dimensioni precise, la fattezza e tanto meno hanno idea che esistano continenti come l’America o l’Oceania) è sovente descritta da racconti molto precisi e lunghi, ricchissimi di particolari in cui si trovano le tracce primordiali di una percezione dell’importanza dell’economia rispetto a quella data alla sola autorità politica e istituzionale.

Per rimanere nell’Italia del Duecento e del Trecento, la famiglia dei Polo parte per un viaggio che durerà un quarto di secolo e che avrà scopi politici ed economici, culturali e civili, sociali e morali al tempo stesso. Vengono a contatto non solo stili di vita, ma stili di conduzione della vita che si basano sulla proprietà della terra, su quella delle botteghe artigiane, sulle prime manifatture che, per quanto possano essere produttive, non sono certamente nemmeno paragonabili alla grande industria che nascerà nel giro di quattrocento anni in Europa.

Qui si situa, leggendo i primi capitoli del Libro VIII de “Il Capitale“, quella approfondita ricerca teorica prima e storico-scientifica poi che Marx definirà meglio con il nome di “accumulazione originaria” delle ricchezze prodotte e, quindi, in sostanza, della nascita del moderno modo di produzione capitalistico. Se Marx non fosse stato uno sospettoso, dubbioso, critico ostinato e – si sarebbe letto nelle vecchie sentenze inquisitorie riguardo gli eretici come Giordano Bruno – pure pertinace, se si fosse limitato allo studio della realtà senza ricercare l’origine di quella realtà stessa, noi oggi forse avremmo ancora come chiave di lettura della società quella di Smith o Ricardo.

Così, se Freud non avesse messo in discussione la superficiale interpretazione della caratterialità umana, delle emozioni, delle ansie, delle paure, così come delle gioie e delle felicità, date tutte quante per naturalità scontate e quindi come doni divini da vivere con leggerezza o da subire come patimenti legati al pentimento cattolico (o cristianamente inteso in senso più lato nella geografia religiosa occidentale), è assai probabile che oggi riterremmo i cambiamenti di umore come qualcosa di deviante, di demoniaca ispirazione. E apriremmo nuovi manicomi invece di chiuderli.

La “scuola del sospetto” mette alle strette le certezze di una società abituata a non confrontarsi con le ipotesi alternative a quello che oggi definiremmo il mainstream. Sono i bisogni primari, la fame e la sete, la voglia di non patire più né l’una né l’altra e di poter aspirare ad una esistenza degna e non ad una sopravvivenza giornalmente infernale, a muovere gli epocali cambiamenti dell’umanità. Le rivoluzioni avvengono perché la sofferenza sociale si fa sentire. Il Cristianesimo promette ultraterrenamente un premio ai giusti nel momento in cui diviene ciò che non era ai tempi di Cristo: una religione.

E nel farsi tale, nell’acquisire una forza ideale che unifica le debolezze singole, viene intesa come minaccia per un potere politico che finisce col ritenere più saggio e conveniente allearsi con quello che era il nemico. Si mettono da parte i riti pagani e l’Impero di Roma diventa l’Impero dei cristiani. Perché la religione è una sovrastruttura utilissima al veicolamento di precetti tanto economici quanto politici. Non esiste forse una capacità di convicimento maggiore, senza dubbio molto più abile dei comizianti di ieri e di oggi, di quella di un pontefice nell’indirizzare l’opinione comune verso un preciso punto di inizio o di arrivo delle idee.

Marx, anche qui dimostra di essere un anticipatore del sospetto ricavato da Paul Ricœur per la sua definizione del trittico geniale che ha dato all’Europa e al mondo una alternativa chiave di lettura su quasi tutto lo scibile e sul percebile: la religione viene criticata come droga, come essenza anestetizzante delle sofferenze della povera gente. Come strumento di quella invece potente per tenere soggiogate grandi masse di persone che, altrimenti, si ribellerebbero alle convenzioni, alle tradizioni, ad usi e costumi imposti come volontà di Dio.

Lo scandalo che generano le affermazioni del Moro e di Engels, già a partire dal “Manifesto del Partito Comunista” quando vi si parla di famiglia e di rapporti interfamigliari o interpersonali, è enorme: si afferma che, in pratica, la vera famiglia, basata sul tempo vero di vita, sui veri sentimenti da poter esprimere con un’esistenza degna di questo nome, sono stati aboliti da quella borghesia, da quel sistema capitalistico che, invece, a parole se ne fa protettore e vi si fonda. Le grandi industrie sono industrie di famiglia, come sa molto bene per primo proprio il giovane Engels.

Quindi, la “Critica della critica critica“, altrimenti conosciuta col titolo più agevole de “La sacra famiglia“, nello scagliarsi polemicamente contro l’idealismo dei giovani hegeliani, confuta l’assunto del loro maestro che la realtà sia una prosecuzione del pensiero e che ciò che vi accade sia, di volta in volta, una sorta di sviluppo costante della ragione umana. Marx, successivamente, legherà queste sue intuizioni materialistiche all’analisi economica del sitema di produzione capitalistico e, senza abbandonare l’originalità del “sospetto” che vi stava alla base, consegnerà al dibattito non una interpretazione della realtà, ma una sua concreta disamina.

Del resto, Engels, quando scrive “La scienza sovvertita del signor Eugen Dühring” (anche qui, meglio conosciuta con il titolo molto più semplice da ricordare de “L’Anti-Dühring”), nel secondo capitolo della seconda sezione sull’economia, quando tratta dalla “teoria della violenza“, contesta all’economista e filosofo tedesco proprio la considerazione della politica istituzionale come elemento quasi costruttore del progresso o responsabile del regresso economico. Engels mette tutta la sua passione di studioso in questa arringa e si riferisce, nello specifico, a queste parole di Dühring:

«…le condizioni politiche sono la causa decisiva dell’ordine economico e il rapporto inverso rappresenta solo una reazione di second’ordine. […] Allorché il raggruppamento politico non pigli l’avvio dal suo volere, ma si ponga come mezzo al fine del suo sostentamento, allora si è sempre reazionari travestiti per quanto si appaia socialisti radicali e rivoluzionari» (Karl Eugen Dühring, “Corsi di economia sociale“).

La condizione di miseria del proletariato ottocentesco spinge Marx ben oltre quel “sospetto” che è il convitato di pietra di queste righe. Muove da un moto dell’animo più che della sua condizione. La sua famiglia e quella di Jenny non se la passano poi così male. Ma la scelta dei due giovani è un’altra. E’ vivere al di là delle convenzioni sociali e, per questo, anche secondo un diverso modo di concepire il rapporto in famiglia e fuori della famiglia; nonché, si intende, anche un molto diverso approccio con la funzione del denaro.

Di quello Marx ne avrà molto poco in tutta la sua vita. Il contrasto tra il difensore dei lavoratori e sé stesso, che un vero lavoro capitalisticamente inteso non lo ha mai veramente avuto, perché ha impiegato sé stesso nell’azione di ricerca, di studio, di politica rivoluzionaria, diventerà una sorta di stigma che gli si tenterà di appioppare ogni qual volta la buona scuola liberale borghese moderna tenterà di smontare la scientificità del marxismo.

Ma la regola del “sospetto“, anzi della “critica“, come elemento primordiale della conoscenza antidogmatica e antirituale, irrispettosamente sagace nel mostrare a miliardi di persone che la loro vita non era poi così immutabile come gli veniva fatto credere, rimarrà il Big Bang tanto del prodotto della vita del Moro, così come quello di Nietzsche, che si era davvero conquistato la sua ultima follia, e così come pure quello di Freud, deriso prima, universalmente studiato poi. Forse Paul Ricœur non ha poi così sbagliato nell’accomunare tre intellettuali apparentemente molto diversi fra loro.

Basta immaginarsi Marx, Nietzsche e Freud seduti ad un caffé mitteleuropeo, in un tempo nemmeno poi così impossibile, vista la loro coevità, a discutere ognuno secondo il loro punto di vista, i loro studi, i loro libri. Che grande spettacolo sarebbe stato e che grande fortuna poterli ascoltare, magari con l’orecchio teso, dal tavolino vicino, facendo finta di leggere un giornale…

MARCO SFERINI

17 marzo 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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Il portico delle idee

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