Quei fiumi di miliardi nella guerra contro il popolo ucraino…

Se per ottenere la pace si devono spendere trenta, quaranta, cinquanta miliardi di dollari di armamenti, e solo da un lato del fronte, perché mai poi non si dovrebbe...

Se per ottenere la pace si devono spendere trenta, quaranta, cinquanta miliardi di dollari di armamenti, e solo da un lato del fronte, perché mai poi non si dovrebbe combattere la guerra? Tanto vale farla. Del resto, il Satana russo l’ha cominciata, è tutta colpa sua e il buonissimo, democratico Occidente nord-atlantico deve fare qualcosa per salvare questa umanità minacciata dalle dittature ex comuniste e da quelle che ancora si fregiano della falce e martello nella bandiera del partito-Stato.

Caso mai esistesse ancora qualche dubbio in merito, arrivati a quasi due mesi di conflitto tra Russia-Bielorussia da un lato e USA-NATO-governo Zelens’kyj dall’altro (con il sostegno dell’Unione Europea, Gran Bretagna ipercompresa) con in mezzo la vittima sacrificale rappresentata dal popolo ucraino, le industrie che producono armi sono schizzate nelle borse mondiali a livelli mai visti dalla fine della Seconda guerra mondiale e l’impegno economico dei governi per sostenere il fronte anti-Putin è sempre più da capogiro.

Giusto poche ore fa, il presidente Biden ha dichiarato che chiederà al Congresso americano ben 33 miliardi di dollari di aiuti per l’Ucraina. Un lodevole gesto di grande solidarietà, se soltanto si trattasse di aiuti umanitari, di medicine, macchinari per ospedali, prefabbricati di ogni tipo, sostegni alimentari. C’è anche tutto ciò nel pacchetto, ma l’investimento più grande (perché di questo alla fine si tratta, non di filantropia e nemmeno di convinta tutela delle vite del popolo massacrato tra due imperialismi che si combattono) nientepopodimeno riguarda proprio le armi. Anche quelle pesanti, anzi: pesantissime.

Fino a metà marzo, quando Zelens’kyj chiedeva la “no fly zone” e, quindi, l’entrata in guerra del blocco NATO, i governi si guardavano ancora dal vellicare l’Orso russo con l’invio di mezzi corazzati e blindati per la contraerea. La guerra – si dirà – era all’inizio: vero, ma sprigionava già molto del suo potenziale distruttivo e non soltanto sul fronte Est del Donbass e di Kharkiv, bensì premeva a nord sulla regione di Kiev, puntando sull’assedio della capitale.

Questa prudenza è stata via via abbandonata, anche per quanto concerne la guerra economica fatta con l’arma delle sanzioni che sono, solo fino ad un certo punto, della misure che colpiscono l’ambito nazionale del paese che muove guerra di aggressione verso un’altra nazione: come ci ha dimostrato la storia recente, dal 1956 in poi, ad esempio con la crisi del Canale di Suez, le sanzioni economiche divengono un utile strumento che, approfittando del momento di destabilizzazione internazionale, funzionano da grimaldello per scompaginare l’ordine di una determinata area del pianeta.

Così sta praticamente avvenendo anche in Ucraina e, più segnatamente nel più ampio contesto europeo e, infine, globale. Sono gli effetti di una estensione planetaria di una economia che, dopo decenni di sedimentazione di nuovi poteri politici agganciati a strutture finanziarie in piena crescita, ha impedito ad un unico centro imperialista di essere a capo delle regolamentazioni degli scambi di mercato su tutto il pianeta.

L’industria degli armamenti non è la sola a giovarsi dello scompaginamento geopolitico determinato dalla guerra: l’indotto, in questi casi, è veramente enorme perché investe i comparti della scienza, della tecnologia, della sanità, dell’alimentare. Praticamente non esiste un settore produttivo di grandi dimensioni che non si avvantaggi dall’occasione bellica che gli si presenta. A soffrire sono le economie minori, quelle locali, estranee ai grandi scambi commerciali, alle quotazioni di borsa e alla finanziarizzazione propriamente detta.

Ma, certamente, tra tutte, l’industria degli armamenti è quella che, oggettivamente, fa e farà affari per lunghissimo tempo: molti di più di quanti non ne abbia fatti in un tempo in cui nella vecchia Europa regnava una pace, seppur molto precaria, ma regnava…

A dare un’occhiata ai rapporti delle agenzie internazionali che tengono d’occhio la produzione di armi e la loro diffusione sul pianeta, in diretto riferimento al problema della guerra tra Russia e Ucraina, Kiev ha ricevuto fino ad ora: 5,5 miliardi di dollari di aiuti militari dai paesi occidentali (USA, Europa, Australia, Canada) composti da lanciarazzi, mezzi di trasporto, missili anticarro e munizioni; il Regno Unito ha investito 100 milioni di sterline sempre in armamenti anche pesanti; 1,5 miliardi di dollari di armi letali saranno forniti dall’Unione Europea, cui si sommano equipaggiamenti per le truppe, ancora munizioni e protezioni difensive.

Ed ancora, per entrare nel nostro specifico terreno nazionale, l’Italia ha mandato a Kiev sistemi anticarro e per la contraerea, mitragliatrici leggere e pesanti e mortai per un valore calcolato approssimativamente sui 150 milioni di euro. Altri 110 milioni di euro erano prontamente stati versati da Roma al governo di Zelens’kyj già a fine febbraio. Una tempestività che ha battuto un po’ tutti gli altri attori sulla scena dell’inizio di un conflitto che diventa sempre più mondiale.

Nelle maglie delle nostre leggi finanziarie hanno trovato posto scostamenti per 500 milioni di euro destinati al sostegno degli ucraini arrivati sul territorio italiano. Gli USA, inoltre, hanno affiancato alle forniture belliche anche una linea di credito preferenziale per il governo di Kiev con ben 13,6 miliardi di dollari, seguiti a stretto giro da Londra.

Il Congresso americano ha approvato quasi all’unanimità (471 sì, 10 no) la richiesta di Biden di avere mano libera nel destinare all’Ucraina sempre maggiori contributi per invio di armi, lasciando una porzione della imponente cifra messa a bilancio per il sostegno umanitario. Secondo quanto affermato dalla Casa Bianca, 20 miliardi andrebbero allo sforzo bellico, 13 supporterebbero quello concernente rifornimenti alimentari, medicinali…

Il tutto mentre si preparano altri pacchetti di sanzioni contro la Russia che si sommeranno a provvedimenti che, almeno fino ad ora, hanno complicato la vita quasi esclusivamente della popolazione e non tanto degli oligarchi o degli stessi membri della Duma o del governo di Putin. Fin dal 2014, anno dell’invasione e dell’annessione della Crimea alla Federazione russa, il Cremlino ha agito per limitare la dipendenza finanziaria dall’estero. Ha ridotto il debito che aveva nei confronti di singoli paesi minori nonché verso economie di interi blocchi capitalistici sia americani sia asiatici.

Mentre il debito americano poggia quasi esclusivamente sull’aumento inflazionistico dell’immissione di nuova moneta sul mercato, la Russia ha aumentato le sue riserve auree e la Banca centrale della Federazione può oggi contare su un raddoppio di questa montagna di oro: da 385 a 630 miliardi di dollari. Le sanzioni americane ed europee hanno reso impossibile alla governatrice Nabiullina di sostenere economicamente le importazioni, di garantire il restante debito estero, di mettere al sicuro il valore del rublo sui mercati internazionali. Ma non hanno impedito le contromisure cui, proprio in questi giorno, stiamo assistendo: il blocco delle forniture di gas a Polonia e Bulgaria.

Due paesi non scelti a caso che, oltre probabilmente a non aver aperto un conto in divisa russa presso Gazprombank, hanno permesso e permetteranno, al pari della Romania e della Cechia, il dislocamento di contingenti della NATO ai confini del conflitto. La Gran Bretagna stima attualmente di disporre oltre quattromila uomini durante i mesi estivi proprio a ridosso del limes ucraino per rinforzare i quadri dell’Alleanza nord-atlantica, sostenendo così il partito dell’interventismo più veemente e intraprendente tra tutti i paesi europei. Brexit o non Brexit, la guerra alla fine è sempre un affare.

La guerra della NATO per procura non si sa quanto possa ancora tenere banco e reggere il confronto: soprattutto se l’intensità degli attacchi russi dovesse aumentare su due direttrici che stanno pericolosamente prendendo forma con gli ultimi sviluppi: Zaporižžja ed Odessa sono gli obiettivi del momento, dopo la presa di Mariupol dove rimane, tragedia nella tragedia, in mezzo e con sopra un deserto di macerie, di morte e di orrore, un bunker dove sono asserragliati gli uomini dell’Azov che venerano il “Wolfsangel” hitleriano e centinaia di civili, tanti bambini di cui si sa soltanto che sono prigionieri da mesi in quei sotterranei…

Dunque, è abbastanza chiaro che la guerra non riguarda, almeno dal fronte occidentale, soltanto la libertà di un popolo e lo scongiurare la coreanizzazione dell’Ucraina, la sua divisione e spartizione tra Est e nazionalisti di Kiev. In ballo vi sono interessi economici veramente definibili “strutturali“, che letteralmente sono la base su cui si fonda una guerra altrettanto economica e una economia di guerra al tempo stesso. Chi fa affari grazie al conflitto li fa fare a chi combatte quello scontro tra due eserciti preparati per tempo. Da ambo i lati del fronte.

Come in fisica ad una azione corrisponde una reazione, così nel mondo capitalistico liberista ad una mossa politica corrisponde una mossa economica e viceversa. Nulla è lasciato al caso, a parte i popoli che, non stanchiamoci mai di ripeterlo e di averne contezza, sono le uniche, vere vittime di queste lotte spietate di potere.

MARCO SFERINI

29 aprile 2022

Foto di Pixabay

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