Cartastraccia di Cartabianca, poco allineata alla linea draghiana di guerra

Oggi è martedì. Solitamente alla sera del secondo giorno della settimana scelgo di saltare la visione dei cosiddetti “talk show“, su Rai 3 e su La 7, e mi...

Oggi è martedì. Solitamente alla sera del secondo giorno della settimana scelgo di saltare la visione dei cosiddetti “talk show“, su Rai 3 e su La 7, e mi proietto su qualche film western. Da quando c’è la guerra ho avuto la perversa tentazione di ributtare un occhio tanto a “Cartabianca” quanto a “DiMartedì“. Mal me ne incoglie, perché la bile si ingrossa, il fegato pure e mi si attorcigliano le budella quando ascolto tante e tali profusioni di sostegno nei confronti di armamenti e nuovi partigiani, tanti paragoni impropriamente storici, decisamente revisionisti tra il teatro del conflitto europeo di oggi e quelli di ottant’anni fa.

Poi, per fortuna, posso ascoltare anche voci dissonanti dal “mainstream“. Voci con cui non sempre sono d’accordo ma che, o sacri valori del liberalismo occidentale che dovrebbe pure un poco essere figlio della Rivoluzione francese!, alimentano il dibattito e non consentono un appiattimento rasoterra della opinioni che finiscono per somigliarsi altrimenti tutte, con una monotonia esasperante che induce alla noia, al sonno: prima di tutto della ragione.

Oggi è martedì, “Cartabianca” andrà in onda, ma solo fino alla chiusura estiva: la trasmissione è stata sospesa, quindi cancellata dai palinsesti del prossimo autunno, perché – dicono le fonti mezze ufficiali – avrebbe dato troppo spazio ai critici verso il governo Zelens’kyj, verso il patriottismo ucraino dal retrogusto un po’ neonazista in quel di Mariupol, verso la politica bellica degli USA e della NATO.

Il racconto della guerra deve poter avere qualche voce dissenziente dalla narrazione ufficiale (ossia che ogni responsabilità origini esclusivamente dalla follia putiniana di aggredire uno Stato sovrano, libero e democratico quale non è l’Ucraina), ma non può correre il rischio di essere sovrastato dalla logica dei fatti, dalla cronistoria degli stessi e, quindi, dalla dimostrazione che, forse, ma proprio forse…, beh… qualche responsabilità anche il nostro caro Occidente la ha nello scoppio della guerra, nel cerchiare di rosso sul calendario quel 24 febbraio che – ormai lo sappiamo – resterà nei libri di storia.

Pazienza se Santoro organizza un evento mediatico che fa 400.000 spettatori, rimbalza su tutta la rete e mette insieme un universo pacifista che va dall’arcipelago della sinistra, da Luciana Castellina, Moni Ovadia, Tomaso Montanari, fino all’altro arcipelago antimilitarista: quello cattolico ben rappresentato dall’ “Avvenire” di Marco Tarquinio. Questo grande rassemblement di coscienze che si levano coraggiosamente contro tutte le guerre, viene immediatamente irriso sulle televisioni nazionali, trattato dai giornalisti dei grandi gruppi editoriali come un nugolo di estremisti moderni, di ghandiani senza speranza, di utopici incantatori che spargono illusioni e nulla più.

Non si è svolto in televisione, quindi il racconto ufficiale della guerra è ancora salvo. Ma non sia mai che in una trasmissione della sempre meno probabile televisione pubblica (un tempo la si chiamava e definiva così perché era realmente pubblica, anche se “lottizzata” dai partiti) possa sfuggire una narrazione alternativa, approfondirsi un punto di osservazione degli eventi che, senza tirare in ballo la tanto inquietante equidistanza dei “nénéisti” (né con Putin né con la NATO!), azzardi anche solamente discostarsi dalla necessaria, assoluta e imprescindibile condanna della guerra mediante la direttrice: Mosca versus Kiev.

La crisi culturale italiana non è in beata solitudo in questi tempi: l’impoverimento dialettico, la progressiva inedia del confronto aperto su posizioni anche nettamente e diametralmente opposte, sono disvalori dei mezzi di comunicazione di un recentissimo passato e sembrano essersi oggi impossessati a pieno titolo della domanda del pubblico, di ciò che ci si vuole quindi sentirsi dire restando alla superficie dei fatti, rischiando sempre di essere preda di una istintiva e contestuale banalizzazione dei concetti che, in questo modo, diventano un ghiotto boccone per tutti quei tentativi di strumentalizzazione che si possono mettere in atto.

La guerra, proprio perché divide drasticamente l’opinione pubblica, esercita una influenza imperativa su tutto quello che contamina. E siccome pochissimi possono dirsi estranei ad un evento storico di questa natura, siamo praticamente tutte e tutti preda di qualche isteria personale o di massa: associazioni culturali, sociali e di aggregazione in generale, non di meno di partiti e movimenti politici, si fanno coinvolgere dal dibattito che, come sappiamo, prevalentemente viene seguito oggi su due canali: televisione e Internet.

Cartabianca“, come tutte le trasmissioni che trattano di attualità e politica, ha sviluppato il tema della guerra in Ucraina secondo una linea editoriale che ha dato spazio a tutte le opinioni: tanto quelle degli interventisti e dei sostenitori dell’armamento a tutti i costi dell’esercito ucraino, quanto quelle di chi, come il professor Alessandro Orsini, ma pure Massimo Cacciari e Cecilia Strada, nonché molti altri, sostengono posizioni critiche verso quella che, se vogliamo, è la linea di condotta ufficiale del governo italiano.

la Repubblica” ne ha scritto commentando che il programma di Bianca Berlinguer sarebbe «fuoriuscito dai binari della politica draghiana» sul conflitto in atto. Probabilmente la verità, anche se solo accennata da due righe di un editoriale, è questa: non è tollerabile nell’Italia del 2022, in guerra per procura contro la Russia e a sostegno del campo USA – NATO, si possa affermare che, forse forse, i contendenti in campo veri non sono Mosca e Kiev soltanto, ma Mosca da un lato e Kiev strumentalizzata (col consenso del governo Zelens’kyj) dall’altro asse dell’imperialismo occidentale moderno.

Non si può dire eppure si sa che gli Stati Uniti d’America sono impegnati nell’addestramento dell’esercito ucraino, nel finanziamento e nel sostentamento a tutto tondo delle truppe che fronteggiano il bellicismo putinista. La retorica deve prevalere necessariamente sull’oggettività politica, perché è molto più facile particolarizzare, spezzettare il tutto e dare l’impressione che non esiste un disegno di sviluppo delle grandi potenze mondiali ma che, invece, ogni singolo avvenimento, seppure enorme come una guerra, nasce, cresce e magari pure muore in un preciso contesto con relativissime implicazioni globali.

Immagino che qualcuno storcerà il naso, aggrotterà le sopracciglia e farà magari spallucce dicendo: «Ecco i soliti complottisti». Facciano pure. Ma la realtà non può essere negata: i grandi agglomerati del liberismo continentale si muovo come placche tettoniche e si scontrano in questa contesa mondiale per l’egemonia in un nuovo secolo tutto da inventare. Mai come oggi il cambiamento che la guerra di Ucraina determina è così globale da non permettere a nessuno Stato di potersi dire al sicuro tanto sul piano militare quanto su quello dell’imperialismo di matrice economica.

Se un programma televisivo osa, davvero molto semplicemente, aderire ai fondamentali della Carta costituzionale e dare spazio a tutte le opinioni, come ha fatto Bianca Berlinguer con “Cartabianca“, bisogna redarguirlo e, se si ostina a farlo, allora dichiararne prematuramente la scomparsa da tutti gli schermi. Se dovessimo utilizzare la logica aristotelica per dare una sintesi a tutto questo scempio della libertà di informazione e, soprattutto, della pluralità delle voci e del dissenso, si potrebbe con grande facilità sillogistica schematizzare premesse maggiori e minori tali da dimostrare che le sintesi, alla fine, confermano come la politica del governo strida con i princìpi della Costituzione repubblica.

Non si può fingere a lungo di fare la guerra mentre si organizzano tutti i tatticismi possibili per sostenerla. Ormai, giorno dopo giorno, sempre più commentatori si abituano ad usare locuzioni come “guerra per procura”, parlando del rapporto tra l’Italia e le parti in campo. Ci si avvicina alla constatazione de facto di quello che de jure si nega. E’ una caratteristica nevrotica dei regimi autoritari mantenere formalmente i tratti distintivi delle democrazie ed essere, poi, nella pratica ciò che realmente si è.

L’Italia non è un regime dittatoriale o autoritario, ma molti dei governi che ha avuto, ed anche quello attuale, si spingono oltre la linea di demarcazione che difende la fragile democrazia repubblicana: proponendo a volte controriforme costituzionali spacciate per grandi riforme dell’apparato dello Stato, oppure, come nel caso delle guerre combattute dal 1991 in avanti, proclamando alla nazione che non si viola nessun articolo della Carta del 1948 e che, anzi, andando in guerra direttamente o per procura, si tutelano proprio quei diritti umani che altrove vengono violati.

La storia degli ultimi quarant’anni ha già dato ampiamente torto ai sostenitori dell’interventismo armato dell’Italia nelle guerre americane e della NATO sparse per il pianeta. I prossimi decenni legheranno il torto di allora a quello che si sta cumulando in questi giorni, in questi mesi. Comprese le censure e le chiusure di trasmissioni tv che hanno preteso di essere fedeli, almeno loro, alla Costituzione, alla libertà di informazione e ai valori della Repubblica.

MARCO SFERINI

10 maggio 2022

foto: screenshot

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