Se tutti i lavoratori avessero il vaccino e il Green pass…

Confindustria si è detta “contentissima” dell’estensione del Green pass a tutti gli ambiti di lavoro pubblici e privati. Non è una contentezza disinteressata, ovviamente, altrimenti sarebbe la prima volta...

Confindustria si è detta “contentissima” dell’estensione del Green pass a tutti gli ambiti di lavoro pubblici e privati. Non è una contentezza disinteressata, ovviamente, altrimenti sarebbe la prima volta che il cosiddetto “sindacato dei padroni” si esprime avvallando un tema di interesse collettivo e sociale.

La gioia degli imprenditori è naturalmente  legata a doppio filo all’intravedere concrete possibilità di utilizzare il certificato verde Covid-19 come leva per sfoltire gli organici delle industrie senza far troppo rumore, provando a stare nella legalità formale (quella ufficiale) e in quella reale (quella spesso, troppo spesso ufficiosa e artificiosa).

Il dilemma è proprio questo: il Green pass ha una sua utilità evidente, pur in mezzo a tante contraddizioni di origine governativa per come è stato pensato e per come viene progressivamente esteso al maggior numero di cittadini. Ma, pur essendo utile, rischia di diventare nelle mani degli imprenditori un arma bianca contro i lavoratori, per defraudarne i diritti prima ancora di ricorrere a ragioni contrattuali, ad un confronto con le rappresentanze sindacali unitarie e con le diverse categorie.

Se un lavoratore non intende vaccinarsi, esercita un proprio diritto in assenza dell’obbligo vaccinale (che, a questo punto, sarebbe altamente auspicabile per responsabilizzare tanto i cittadini quanto un governo irresponsabile e deresponsabilizzatosi in tal senso): ma è pur vero che mette a rischio la salute altrui (ed anche propria) se entra in un luogo di lavoro privo di una protezione scientificamente dimostrata contro il Covid-19. Si ondeggia su questa altalena di contrasti tra diritti presuntamente violati tra vaccinati e non vaccinati, mentre i sindacati raggiungono con l’esecutivo l’accordo sul divieto di licenziamento per ogni lavoratore che non abbia il Green pass e che, quindi, non abbia nemmeno il vaccino.

E’ una vittoria di Pirro, perché non risolve la questione che va – onestamente – ben oltre le possibilità e le facoltà stesse di Landini e degli altri leader sindacali: qui si tratta di far convergere diritto al rifiuto del vaccino con diritto al lavoro e diritto dei lavoratori invece vaccinati a vivere in un ambiente sufficientemente sicuro da non dover assistere nuovamente ai contagi di massa nelle fabbriche e negli uffici anche pubblici come avvenuto nella prima ondata della pandemia.

I diritti non sono sempre compresi nella medesima scala di valori: ne esistono di inalienabili e ne esistono altri che, in virtù dell’interesse generale, della “salus publicae“, possono essere momentaneamente messi da parte per evitare proprio che la singolarità prevalga sulla collettività. Quando questo accade, è evidente che ci si trova in uno Stato di diritto che rischia di divenire uno Stato di eccezione se non si trovano rimedi efficaci per dare un sostanziale equipollenza alle rivendicazioni del singolo entro quelle della comunità in cui vive.

Il diritto al lavoro e alla salute sono insopprimibili: vengono quindi ben prima delle convinzioni che ognuno di noi può avere sulla efficacia dei vaccini e sulla loro sperimentazione (che, è bene sempre averlo presente, è in corso ma è anche la più grande mai fatta negli ultimi cento anni, visto che coinvolge (quasi) l’intera popolazione mondiale).

Serve porre una domanda ai critici del vaccino che sostengono l’incostituzionalità del certificato verde: chi fino ad ora ha scelto di non vaccinarsi, pur seguendo tutte le prescrizioni per limitare al massimo la diffusione del contagio, se non vi fosse un allargamento del Green pass anche ai luoghi di lavoro, sarebbe pronto ad entrare in fabbrica senza quel certificato e a lavorare al pari degli altri colleghi che sono invece immunizzati? Ed ancora: al netto delle posizioni pelose di Confindustria, davvero si crede che la lotta contro quel certificato sia parte di una lotta di classe da fare contro i padroni difendendo degli individualismi esasperati rispetto alla tutela del resto del mondo del lavoro?

Sarebbe “progressista” la posizione di quei sindacati e di quei lavoratori che individuano nel Green pass una moderna ragione di scontro con il padronato asserendo che è incostituzionale, che è il presagio di una “dittatura sanitaria“? Se vogliamo discutere nel merito delle questioni, ossia del fatto che certi lavoratori devono mangiare fuori dalla mensa aziendale perché non hanno quel certificato, allora facciamolo, sgomberando il campo dalle “fantasie di complotto” e da ipotesi di contravvenzione della Costituzione della Repubblica che sono veramente pretestuose.

Per evitare di consegnare a Confindustria degli alibi su sospensioni dal lavoro indiscriminate, con conseguenti riorganizzazioni degli assetti aziendali in vista di future ristrutturazioni e tagli di personale, bisogna ragionare praticamente e anche social-politicamente: il lavoro non è qualcosa che vive di per sé stesso, ma è il prodotto e il produttore di una società complessa, dove tutto si tiene e dove (quasi) tutto si scontra ogni giorno.

La lotta fra le classi non si può fare separando il diritto al lavoro dal diritto collettivo (e singolo) alla salute: se si vuole affermare una uguaglianza sostanziale anche in questo caso, sarebbe bene ritrovare una unità di classe proprio attorno al valore scientifico, avendo sempre ben presente tutte le dovute critiche anticapitaliste e antiliberiste sulle Big Pharma e sulla proprietà privata di beni che dovrebbero essere dell’umanità: i vaccini, le cure, le medicine.

Un mondo del lavoro capace di avere una visione ampia del problema, supererebbe ogni pretesto padronale e salderebbe la propria lotta con quella di altrettanti lavoratori del settore medico, ospedaliero, della ricerca, per definire piattaforme di condivisione di una alternativa sociale e pubblica di tanti settori oggi in mano invece alla spietatezza liberista del profitto a tutti i costi.

Purtroppo la pandemia ha complicato i rapporti di classe e non ha separato il grano dal loglio: tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori vanno difesi dai licenziamenti senza giusta causa e dalle ritorsioni padronali che, spesso e volentieri, esulano dal piano del diritto e dal perimetro del rispetto dei contratti. Ancora di più se il tentativo di estromissione dal proprio posto di lavoro viene fatto con un ricatto, con una leva di pretesti in odore di legalità, sul filo del rasoio di un falso rispetto delle norme. Quasi sempre formale e quasi mai sostanziale.

Mantenere l’unità della classe lavoratrice oggi vuol dire fare una lotta che unisca il valore scientifico delle vaccinazioni, come espressione determinante di contenimento della pandemia, al valore aggiunto che ogni occupazione dà tanto a chi lavora (e che, comunque, rimane sempre uno sfruttato, strutturalmente parlando) quanto alla comunità in cui vive.

La battaglia contro la contentezza di Confindustria passa attraverso questa coscienza attiva, questa razionalità scientifica: tanto medica quanto socio-economica. Chi strepita di difesa del lavoro e abbraccia, più o meno velatamente argomentazioni No-vax (che conducono inevitabilmente a prevenzioni anti-pass) non fa gli interesse dei milioni di lavoratori e di precari che sono appesi al filo logoro che li lega ad un futuro incerto e sempre più ingiusto.

Una cattiva coscienza che va svelata e che va gettata in faccia anche a chi è dalla nostra stessa parte. Anzi, soprattutto proprio per questo: perché ogni divisione e ogni rissa tra uguali è un regalo ai sostenitori delle diseguaglianze, un sorriso in più per Confindustria.

MARCO SFERINI

18 settembre 2021

foto: screenshot

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