Oggi un parco al fratello e domani una statua a Mussolini?

Nell’eterno ritorno del dramma di un Paese che non riesce a fare i conti con la sua storia, a differenza della Germania che ha provato a vergognarsi dei dodici...
Arnaldo e Benito Mussolini

Nell’eterno ritorno del dramma di un Paese che non riesce a fare i conti con la sua storia, a differenza della Germania che ha provato a vergognarsi dei dodici anni di regime nazista e delle premesse antisemite già esistenti ben prima dell’avvento al potere di Adolf Hitler, il sottosegretario Claudio Durigon (Lega) ha proposto alcuni giorni fa di reintitolare il parco comunale di Latina al fratello di Mussolini, Arnaldo.

Quando Latina venne fondata con il nome di “Littoria“, essendo passato ad altra vita per un infarto a soli 46 anni nel 1931, parve giusto al dittatore appioppare alla nuova città non solo la “M” che troneggiava un po’ ovunque sui palazzi in stile imperiale, ma pure il nome del fratello prematuramente scomparso. Così i giardini pubblici divennero il “parco Arnaldo Mussolini“.

Caduto il fascismo e finita la guerra, dopo la Liberazione, per lungo tempo, rimase semplicemente il “parco urbano“. Soltanto nel 2017 il sindaco propose di inserire nella toponomastica cittadina i nomi dei giudici Falcone e Borsellino e scelse quei giardini oggi al centro della polemica scatenata dalla proposta di Durigon.

Una proposta irricevibile, che sa apertamente di nostalgismo. Una proposta che pretende di sostituire i nomi di due uomini di giustizia, orgogliosi del loro lavoro contro la criminalità organizzata, contro quella mafia che li ha assassinati brutalmente insieme alle loro famiglie e alle scorte di polizia che li difendevano, con un pressoché sconosciuto fratello del duce, vissuto all’ombra del dittatore e dedito, fin dai primi passi del fascismo, al sostegno pieno del movimento e partito creato a Milano nel 1919.

Arnaldo Mussolini ha un solo pregio per chi vuole tentare di inficiare la memoria storica, provare ad inquinarla con una accettazione progressiva della parte politica condannata dalla Storia: il suo cognome. In questo sta l’interesse per un nome che fa comodo perché è parente di primo grado del dittatore ma, al contempo, lo si può presentare come altro dal tiranno stesso. Insomma, reclamare l’intitolazione di vie e piazze a Mussolini in persona è ancora – per fortuna – un tabù; fare lo stesso con gerarchi di Salò, quadrumviri e criminali di guerra come il maresciallo Graziani (con tanto di mausoleo…) rientra nella sfera del “possibile“.

Mentre la Spagna rimuove tutte le statue del criminale Francisco Franco e la Germania persevera nella linea dura contro i movimenti neonazisti che spuntano ogni tanto nelle aree più depresse socialmente ed economicamente della repubblica federale, in Italia si deve discutere di una proposta fatta da un rappresentante del governo. Il governo delle larghissime intese, quello di “unità nazionale” che, proprio perché tutto include e poco esclude, ha a che fare anche con queste contraddizioni che imbarazzerebbero qualunque capo di un esecutivo.

Il problema della rivisitazione storica e della riqualificazione di certi periodi, nonché di certi personaggi, nel nostro Paese prende sempre e soltanto il nome di “revisionismo“. Non c’è nessun intento critico, di esame approfondito degli eventi, nel proporre la reintitolazione di un parco urbano ad Arnaldo Mussolini. Non c’è nessuna voglia di innescare un dibattito che, benevolmente, si può chiamare culturale soltanto per il fatto che rievoca eventi affidati al giudizio della Storia e che, pertanto, sono oggetto di studio costante, di indagine, di circostanziazione attraverso il metodo storico.

Al massimo, usando un linguaggio volutamente eufemistico, quella di Durigon è una provocazione simile ad un sasso gettato in uno stagno acquitrinoso di una politica impelagata in tante problematiche, troppo statica nel paludamento liberista che ha indossato con l’avvento di Draghi. Ogni tanto, per rinfrescare la memoria a certi settori di estrema destra del proprio elettorato, occorre dire o fare qualcosa che esca fuori dai canoni della correttezza formale e, di più ancora, della aderenza (altrettanto formale, quindi per sua stessa natura ipocrita e infingarda) a quei princìpi costituzionali cui si crede per necessità, perché non si può fare altrimenti.

E’ così che si rinverdisce nei propri sostenitori il multiculturalismo che ha abbracciato decenni di leghismo: dall’antimeridionalismo esplicito all’altrettanto esplicito secessionismo nel nome dei “popoli della Padania“; per passare infine all’acceso neonazionalismo sovranista degli ultimissimi anni. Nella Lega, del resto, sono transitati un po’ tutti: da ex PCI ad ex demoproletari; da ex missini a convinti sostenitori e aderenti di movimenti monarchici e neofascisti (militanti di sezioni italiane della “Jeune Europe” di matrice belga, di “Ordine Nuovo“) eletti persino al Parlamento di Strasburgo.

Non stupisce, anche se giustamente indigna, che un sottosegretario del governo italiano chieda di riportare il parco urbano di Latina al nome che gli era stato dato in epoca ancora fascista. Forse siamo pure fortunati, e dobbiamo ringraziare tutta la farraginosità della burocrazia, che prevederebbe cambi su cambi di documenti, intitolazioni su carte, registri, archivi e quant’altro, se non è stato proposto il cambio del nome stesso di Latina ed il ritorno a quella Littoria fondata per dimostrare tutta l’abilità del regime nella bonifica dell’Agro Pontino.

Un altro dei miti per cui viene celebrato il fascismo, impropriamente, inopportunamente. Basterebbe entrare più a fondo nei meandri dell’epoca e si scoprirebbe che Mussolini e i suoi gerarchi non hanno fatto niente altro se non unificare gli interventi già previsti dai governi dell’Italia liberale, giolittiana (si veda a proposito di Francesco Filippi: “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo“, edizioni Bollati Boringhieri, 2019 e ristampe, pagg. 18-30) facendo pure incazzare i grandi latifondisti che paventavano una moltiplicazione di tanti piccoli proprietari attirati dalla ghiotta occasione di avere una terra rinnovata e, allo stesso tempo, un indennizzo ben pagato.

Voci si sono levate contro la proposta di Durigon. Laddove per “voci” si intende proteste vibranti di ampi settori della società, della cultura, della politica: una mozione di sfiducia per il sottosegretario leghista è pronta per essere votata in Parlamento; una petizione lanciata da “Il Fatto Quotidiano (e che vi invitiamo a firmare e far firmare) ne chiede l’esclusione dall’esecutivo; tante singole prese di posizione.

Ma non un fronte istituzionale e sociale unito. Non una diga democratica e antifascista a partire dall’intero governo, passando per le opposizioni, arrivando fin dentro i meandri più reconditi di una società abituata a dividersi su questi temi e a perpetuare un dualismo non particolarmente utile alla disamina tanto dei fatti storici quanto della stretta attualità in cui sono, spesso, richiamati impropriamente.

E’ uno dei drammi dell’Italia modernissima, del nuovo millennio, che, per i problemi più duri e per gli affanni peggiori che deve patire, invoca la soluzione autoritaria, quella del conducator e non quella del confronto e della soluzione ricercata, prima di tutto, entro i confini costituzionali che non escludono nessuno, che includono tutti i cittadini. E’ il dramma di un Paese con i piedi nel presente e la testa per metà nel passato, come un Giano Bifronte, sempre in bilico tra due opzioni entrambe sbagliate: oblio o revisionismo storico. Tertium non datur, perché quella terza possibilità sarebbe quella giusta: “vedere” (quindi accorgersi consciamente di una rimozione inconscia) il dramma del fascismo come il peggior prodotto antisociale esportato nel mondo, che ha portato la distruzione in ogni parte del pianeta.

Molti italiani, ancora oggi, preferiscono la superficialità delle frasi fatte e di quelle idiozie che lo storico Francesco Filippi ha ben delineato nei suoi volumetti: un invito ad una terapia psicoanalitica tramite la serietà del metodo storico e non con il pressapochismo della tradizione orale del “sentito dire” o di quella scritta affidata oggi alle tante false notizie e ai tanti falsi miti che circolano nella rete.

Ecco, il punto è sempre e soltanto questo: il fatto che sia possibile che Durigon, o qualunque altro ammiratore di vecchie figure del regime criminale di Mussolini, possa permettersi di fare una proposta come quella di affibbiare nuovamente il nome di un fascista ad una via, ad un corso, ad un parco urbano di una città d’Italia.

Prevenire è meglio che curare. Ma qui siamo ancora alla cura. E pure tardiva. Per la prevenzione serve una società nuova, una socialità nuova, un nuovo benessere diffuso che permetta alla gente di non farsi imbrigliare dalle menzogne sovraniste, alimentatrici di fobie che cercano soltanto la destabilizzazione. Per controllare meglio ciò che, altrimenti, sarebbe difficilmente gestibile.

Almeno teniamo alto il livello dell’indignazione e della protesta. Perché il giorno che a qualcuno verrà in mente di proporre di tornare al nome “Littoria” o di fare una statua di Mussolini in pieno centro a Roma, allora vorrà dire che il segno sarà stato abbondantemente passato… Il passo dalla provocazione al mutamento culturale e sociale è fin troppo breve. Averne contezza sempre, è un imperativo morale, civile e politico imprescindibile per la tutela della Repubblica, per la salvaguardia della democrazia.

MARCO SFERINI

12 agosto 2021

foto: Wikipedia

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