Hitler e l’enigma del consenso

In un certo senso, studiare la storia può voler dire approcciarvisi in due modi completamente differenti: con la superficialità del mero nozionismo (purtroppo utilizzato anche in ambito scolastico) oppure...

In un certo senso, studiare la storia può voler dire approcciarvisi in due modi completamente differenti: con la superficialità del mero nozionismo (purtroppo utilizzato anche in ambito scolastico) oppure immergendosi completamente nei fatti e fare una sorta di viaggio nel tempo.

Questa seconda metodologia di interesse per il passato, recente o remoto poco importa, implica una ricerca sempre più meticolosa, una voglia di conoscenza che diviene avvincente come la suspense in un film di Alfred Hitchcock. Nessuno spazio alla banalità, al sentito dire, alle illazioni, alle fantasie che solleticano le voglie cospirazioniste anche in questo campo e finiscono per creare veri e propri revisionismi.

Il viaggio nel tempo di oggi ci porta ad un secolo fa, appena terminata la Grande guerra. Lo facciamo in compagnia di Ian Kershaw, uno dei maggiori studiosi della Germania nazista, della figura di Adolf Hitler e, nell’insieme del periodo che sta tra le due guerre mondiali. Le sue opere sono tutte meritevoli di essere lette, a cominciare dalla prospettiva continentale di un Novecento iniziato sotto gli auspici peggiori descritti in “All’inferno e ritorno. Europa 1914 – 1949“, passando per la monumentale biografia di “Hitler” in due volumi (con un corredo bibliografico eccezionale e note particolareggiatissime) e la circostanziata “cronaca” sulla “Fine del Terzo Reich. Germania 1944-45“. Sono tutti volumi che chiunque vuole davvero vivere nell’epoca terribile del nazismo dovrebbe leggere.

Ma c’è un libro di Kershaw che, sostanzialmente, si può dire abbia la funzione (involontaria) di essere il preludio a tutte queste letture: non è una introduzione all’hitlerismo e al suo dispiegarsi sulla scena della destra nazionalista germanica ed europea; non è nemmeno un saggio che può essere sganciato dalla restante (si fa per dire) letteratura prodotta dallo storico britannico sul fenomeno nazista nel Novecento. E’ una prima traccia che ci indica il metodo storico di Kershaw, ce ne fa intuire piacevolmente lo stile scorrevole nella descrizione di fatti complicatissimi e ci accompagna, per l’appunto, in quel viaggio nel tempo facendoci diventare spettatori invisibili di una società che si trova, nel dopoguerra, immersa in una profonda crisi economica, sociale e persino morale.

Hitler e l’enigma del consenso” (edizioni Laterza, 2000) prova a rispondere ad una domanda che è un grande punto interrogativo: come fu possibile che la patria di Goethe, Hegel, Kant, Marx, Brecht, Mann e Einstein, che una nazione civile e moderna precipitasse nell’abisso nazista, nel culto di una unica persona, di un ex caporale, pittore mancato, perdigiorno e spiantato nella Vienna pre-bellica?

Adolf Hitler, prima di essere il “Führer“, il duce della Germania su cui sventolava la bandiera con rossa con in campo bianco la svastica rimaneggiata graficamente, era un anonimo austriaco che si sarebbe dovuto chiamare Schicklgruber, se suo padre non avesse deciso di cambiare il proprio cognome in quello che riecheggia da oltre settant’anni sinistramente nelle orecchie di tutti coloro che provano ribrezzo per gli atti compiuti dai nazisti e per il nazismo stesso.

Ma la storia è bizzarra, come la vita, del resto: è imprevedibile. Kershaw non sfugge alla domanda, anzi la fa propria e si interroga per anni sulle ragioni che hanno fatto di Adolf, un bambino irrequieto, un giovane schivo, ma con un fascino per la politica sin da prima del suo arruolamento tra le file delle truppe bavaresi, un oratore brillante che, a poco a poco, si è fatto largo in un piccolo partito dell’estrema destra di Monaco fino a diventare cancelliere della Germania.

La risposta alla domanda delle domande su Hitler e sul nazismo è molteplice se si cerca una spiegazione per ogni singolo fatto accaduto nei dodici anni del terrore nazionalsocialista; ma si può ridurre ad una soltanto, nonostante abbia le caratteristiche più della sintesi analitica piuttosto che quelle della risposta netta e precisa. La vaghezza che vi si riscontra è giustificata: si tratta di trovare un comune denominatore da cui partire nel far discendere tutto quello che accadde alla Germania, all’Europa e al mondo a partire dall’ascesa al cancellierato di quel giovanotto di Linz naturalizzato tedesco, disertore dell’imperial regio esercito asburgico e sostenitore del pangermanesimo.

La risposta è questa: una straordinaria convergenza di fatti ha creato le condizioni affinché Hitler diventasse il Führer. Elementare, Watson? Probabilmente, ma senza la condizione economica disastrosa in cui la Germania precipitò dopo la fine della guerra, dopo la caduta del Kaiser e l’instaurazione della traballante Repubblica democratica di Weimar, dopo la rivoluzione spartachista e la paura dei ceti abbienti per una rivoluzione comunista durante la Repubblica dei Consigli in Baviera, si formarono le condizioni minime per un possibile crescente consenso del movimento “völkisch”: da un populismo venato di antisemitismo storico, esistente sia al di qua sia al di là del Reno da secoli (l’affaire Dreyfus ne è palese testimonianza…), ad un nazionalismo fanatico, intollerante e con il progetto genocida inscritto nel proprio programma già dai tempi della stesura galeotta del “Mein Kampf“.

Kershaw ha una abilità manifesta nel tratteggiare le figure del potere hitleriano, tanto singolarmente quanto nella cerchia ristretta dei gerarchi che avevano accesso all’ufficio del cancelliere e presidente del Reich. L’invito dello storico è a non concentrarsi esclusivamente sulla figura di Hitler, visto come l’unica ragione del nazismo, della sua esistenza e della sua perseveranza nel non dichiararsi vinto fino alla fine delle guerra: fino alle ultime cannonate sovietiche sopra il bunker berlinese dove si consumò la disfatta dell’impero che doveva essere millenario.

Troppi filoni di indagine storiografica hanno ecceduto nell’uno e nell’altro senso: nel sopravvalutare l’importanza della personalità di Hitler e, di contro, nel sottovalutarla. Il “potere dell’idea“, che Kershaw mette accanto a tante altre ragioni per cui si andò strutturando un regime antitetico alla imperfetta democrazia di Weimar, è equiparabile al potere carismatico del condottiero che nelle cartoline della propaganda viene raffigurato come l’erede naturale di Federico il Grande, di Bismarck e di Hindenburg.

La legittimazione dell’ascesa di un incolore, anonimo e sciatto omuncolo venuto dal nulla, è un esercizio progressivo, quotidiano, che viene fatto anche e soprattutto dal dottor Goebbels, ma che in particolar modo coinvolge decine di migliaia di tedeschi pronti a “lavorare incontro al Führer“, esentandolo dal dover dare ordini per qualunque cosa. Hitler ispira le azioni delle SA di Rohm, delle SS di Himmler e quelle di qualunque impiegato dello Stato, di ogni burocrate che esegue prussianamente gli ordini, perché così vuole la tradizione socio-politica della nazione. Credere, obbedire e combattere è un trittico che il fascismo italiano sfoggia dagli altoparlanti Radiomarelli, ma si adatta molto bene anche al carattere germanico, alla nuova “Hitler-jugend“.

Vale la pena scoprire il Terzo Reich con Ian Kershaw, per l’aura di mistero che a poco a poco viene svelato in ogni sua fatica storiografica. Non che non esistano altri meritevolissimi storici (come Joachim Fest, Max Hastings, William Shirer, Max Gallo tra gli altri) che ci possono narrare compiutamente e nei minimi particolare ciò che accadde e perché accadde tutto ciò: ma Kershaw ha una marcia in più, un quid che ne fa indubbiamente il più preparato e il più importante studioso tanto della Germania all’ombra della svastica quanto dell’enigma di un dittatore che, direttamente o meno, è il punto di partenza di una storia in cui si contano decine di milioni di vittime in un così breve lasso di tempo.

HITLER E L’ENIGMA DEL CONSENSO
IAN KERSHAW, LATERZA, 2000
€ 14,00

MARCO SFERINI

8 settembre 2021

foto: particolare della copertina del libro

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