Imperialismi e nazionalismi nella nuova guerra dell’Est

Le contromisure diplomatiche sembrano essersi esaurite. I tempi della Guerra fredda paiono affacciarsi alle porte di una Europa alle prese con la coda della pandemia, nella riorganizzazione economico-finanziaria dei...

Le contromisure diplomatiche sembrano essersi esaurite. I tempi della Guerra fredda paiono affacciarsi alle porte di una Europa alle prese con la coda della pandemia, nella riorganizzazione economico-finanziaria dei singoli Stati di una Unione priva di senso politico, tenuta insieme soltanto (e non è certamente poco nell’assetto liberista moderno) dalla sintesi monetaria, dalla prospettiva di fronteggiare gli altri poli dove si concentrano i capitali.

Il conflitto paventato da Biden e dalle singole cancellerie del Vecchio Continente, ai confini tra Ucraina e Russia, è, un po’ come tutte le guerre, all’inizio assolutamente incomprensibile. Ufficialmente si tratta della piena indipendenza di Kiev da Mosca e dall’area di influenza del vecchio blocco sovietico (se si tiene conto anche della Bielorussia, degli Stati caucasici e di quel Kazakistan rientrato anche militarmente sotto la sfera putiniana dopo la repressione delle rivolte popolari di qualche mese fa.

In ballo c’è ben altro, a quanto si legge dalle più diverse, e comunque comparabili, fonti che ne sanno qualcosa di strategia militare associata alle dinamiche geopolitico-economiche della regione da sempre contesa tra Occidente ed Oriente.

Nemmeno a dirlo, la NATO c’entra qualcosa in questa vicenda che rischia di precipitare tra pochi giorni, forse ore. La sua marcia verso Est, oggettivamente, non può essere accettata passivamente dal regime oligarchico di Putin che, per sua stessa natura, fatte le debite differenze, è speculare a quello che gli si rivela avversario. Gli Stati Uniti e la Russia hanno giocato in questi ultimi anni ad espandere i loro interessi occupando nuovi territori, creando nuove sfere di influenza attraverso intromissioni economiche e finanziarie in zone del pianeta particolarmente depresse o in veloce espansione.

Prima il Medio Oriente con le Guerre del Golfo, le tensioni nucleariste con l’Iran e la Guerra civile siriana, parte di un conflitto ben più vasto che ha coinvolto tutto lo scacchiere da Ankara fino allo Yemen, poi l’Africa e l’Asia sud-occidentale: le nuove mire imperialiste delle superpotenze, riemergenti nello scenario tutto nuovo della globalizzazione liberista, aggiungono un tassello di non poco conto nella considerazione ulteriore che suffraga le tesi per cui è in atto una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra i giganti del pianeta. Cina compresa.

L’amicizia tra Pechino e Mosca non si traduce, almeno al momento, in una alleanza anti-atlantica: rimane, nemmeno troppo sullo fondo del conflitto che si prepara, come monito per Washington che può contare sul posizionamento delle proprie pedine nel grande terreno del servilismo europeo e nell’amicizia consolidata con le peggiori autocrazie e tirannie del mondo arabo, protette o rimesse al loro posto dopo la finzione liberatrice delle “primavere” ormai andate…

L’Ucraina, centro geopolitico del conflitto, è un paese in balia di un governo populista, guidato da Volodymyr Zelens’kyj, già attore e conduttore televisivo, vero e proprio sceneggiatore di una traduzione in salsa politica dei suoi spettacoli: un salvatore della patria dall’oligarchia, un tribuno del popolo che non disdegna le vampate di vero e proprio nazionalismo xenofobo, razzista, ammantato da bandiere e stendardi di chiara matrice neonazista, che dilagano nelle piazze del paese.

Alla guerra di posizione si sommano, ovviamente, gli interessi economici che ne sono, alla fine, il primo motivo per cui si guarda ad Est: per un espansionismo che mira a ridimensionarne un altro, per frenare la potenza economica russa, intercapedine tra la grande contesa mondiale in atto fra Cina e Stati Uniti d’America.

Putin chiede alla NATO di diminuire le truppe sul fronte orientale, di fermare la candidatura dell’Ucraina all’ingresso nell’Alleanza Atlantica stessa e, quindi, di mettere, in pratica, fine al memorandum di Budapest del 1994, quello in cui Washington, Londra e Mosca avevano stretto il patto per il rispetto dei confini ucraini. Le richieste sono state tutte rimandate al mittente e così oggi le truppe russe ammassate davanti alla sottile linea che divide i due paesi un po’ da sempre nemici-amici, è diventata davvero molto esile, quasi invisibile.

L’annessione della Crimea nel 2014 (una aperta violazione del memorandum appena citato) e le guerre nella regione del Donbass hanno nei fatti ampliato la sfera di influenza di Mosca e l’hanno proiettata verso Kiev sempre più prepotentemente. La strategia non sembra però più potersi rifare ad un tentativo di progressivo logoramento, per far cedere l’Ucraina e staccarla in questo modo dal blocco occidentale.

L’espansionismo della NATO da un lato e della Russia dall’altro è la conseguenza di una guerra economica globale per il controllo delle fonti energetiche dell’Europa dell’Est, in questo caso. Un mercato che, da solo, vale per Mosca il 40/45% delle forniture di gas che arrivano in tutti i paesi della UE. Si tratta di centinaia di miliardi di dollari ogni anno e si tratta, in questo modo, di ampliare altri settori di mercato acquisibili, ridimensionando lo strapotere americano in merito.

Per questo la Cina protegge dall’Estremo oriente le spalle all’amico russo. Non fosse altro per mettere in difficoltà l’economia statunitense in un settore in cui magari per Pechino è difficile competere, ma attraverso cui, di riflesso, ci si può avvantaggiare proprio grazie l’apertura di fronti di conflitto che distraggano prima di tutto i finanziamenti da altri obiettivi concorrenziali.

La complessità è complicazione e viceversa. Armi ed eserciti servono, ancora una volta, come protesi di una politica che non può trovare mediazioni diplomatiche quando in ballo vi sono gli istinti liberisti di sopravvivenza di interessi enormi, che surclassano il diritto dei popoli a vivere in pace e a sviluppare sempre maggiori reti di protezione sociale. Proprio la povertà di paesi come l’Ucraina favorisce l’affermazione di forze di destra che soffiano sul fuoco del nazionalismo esasperato.

I racconti di chi vive ai confini con la Russia, nelle regioni più russofone dell’Ucraina, sono quasi tutti pieni di descrizioni di una miseria che è inconciliabile con quelli che gli apologeti del mercato definirebbero “la modernità occidentale“. Nel biasimare questa povertà come elemento strutturale di una lontananza dai valori dell’Unione Europea, si finge di non vedere che il problema ucraino è prima di tutto di compatibilità con gli standard capitalisti da un lato e con quelli oligarchici russi dall’altro.

Nella terra di mezzo dal Baltico alla Crimea, una nuova cortina di ferro rischia di calare sull’Europa, mentre gli Stati Uniti invitano gli americani ad abbandonare Kiev, perché sanno che l’attacco è imminente. Tutto questo non risolverà la grave crisi economica dell’Ucraina e, del resto, non vuole risolvere niente altro se non la contesa su chi sposterà più a est i confini della NATO e del liberismo occidentale e chi tenterà di spostare più ad ovest quelli dell’influenza russa, non meno liberista e altrettanto pericolosa per le fasce più ampie di una popolazione esponenzialmente indigente.

Le migrazioni aumenteranno. Le valigie sono già pronte: ai profughi vittime delle guerre mediorientali e del neocolonialismo americano ed asiatico in Africa, si sommeranno gli ucraini che fuggiranno verso l’Unione Europea. Le destre sovraniste potranno urlare così ancora di più, approfittando come sempre della sofferenza altrui per accrescere i propri consensi elettorali, il proprio potere politico, la propria influenza antisociale.

Nazionalismi contro altri nazionalismi: fanatici neonazisti polacchi, ucraini contro finti neocomunisti bielorussi e contro lo strapotere neozarista di Putin. Il conflitto che ne può venire fuori si prospetta davvero enorme: per le problamatiche che esacerba, per le dinamiche che mette in campo, per il profondo solco che traccia tra America e Russia dai tempi della fine della Guerra fredda.

L’Europa sta nel mezzo e l’Italia sta al centro di questa metà senza una politica estera degna di questo nome, senza il benché minimo tentativo di far sentire la propria voce al di fuori degli schieramenti ma, anzi, assolutamente ben schierata a fianco di un’America da cui non ha mai smesso di dipendere: le basi NATO, da nord a sud dello Stivale, sono lì a ricordarcelo.

E chi pensa di poter affermare che questo moderno liberismo è, con tutti i suoi difetti e il suo portato di diseguaglianze, la speranza dell’umanità, guardi alla crisi ucraina e alle tante guerre disseminate silenziosamente nel mondo e poi dica se viviamo nel migliore dei mondi possibili o, molto più realisticamente, nel peggiore dei mondi anche solamente immaginabili.

MARCO SFERINI

12 febbraio 2022

foto: screenshot

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