Storia della Rivoluzione russa

L’8 ottobre del 1917 Lenin ha ben chiara la situazione: non si può aspettare oltre. I passaggi effettivamente necessari per un coinvolgimento pieno del partito bolscevico in tutte le...

L’8 ottobre del 1917 Lenin ha ben chiara la situazione: non si può aspettare oltre. I passaggi effettivamente necessari per un coinvolgimento pieno del partito bolscevico in tutte le fasi della imminente dichiarazione dell’insurrezione generale sono troppo lunghi, farraginosi per poter essere espletati.

La decisione viene presa e si fa appello ai rappresentanti dei soviet. E’ una dichiarazione di ricorso all’immediatezza, alla spinta rivoluzionaria che incalza, al fatto che Aleksandr Fëdorovič Kerenskij sta ammassando truppe e che, quindi, col passare dei giorni, potrebbe essere sempre più difficile assumere il controllo della complicatissima situazione interna ed esterna, visto che la Grande guerra è la grande protagonista dello sconquasso europeo e mondiale.

Durante le riunioni del “politburo” (letteralmente: “ufficio politico“) si aprono e si chiudono discussioni che riguardano anche la prospettiva rivoluzionaria e la sollevazione del proletariato, ma più di tutto ci si confronta in vere e proprie aspre contese sull’organizzazione del partito stesso e sulla sua interazione con una popolazione smarrita, con testa, cuore e piedi a metà nelle trincee della guerra e a metà nell’afflato ribelle che si sta per compiere.

La grande “Storia della rivoluzione russa” (Edizioni Alegre) scritta da Lev Trotsky tra il 1929 e il 1932 in realtà tratta molto poco degli anni precedenti e successivi del grande evento, dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo“, ma si concentra sul 1917 con una minuzia di particolari che costringe il lettore ad andare necessariamente ad approfondire altre storie, piccole e trascurabili a volte, ma non per avere un quadro il più esaustivo possibile di quello che accade a Mosca, Pietrogrado, Volgograd e nell’immensa, sterminata desolazione di un impero che era ormai tramontato.

Trotsky ha un ché di tolstojano nel perdersi vivacemente in circostanziazioni che, non per niente, fanno di quest’opera una di quelle che più interessano la storiografia che si è concentrata sullo studio della Rivoluzione d’Ottobre: anzitutto perché non è soltanto un semplice testimone a redigerla, bensì un protagonista in prima persona delle decisioni che portarono alla conquista del potere da parte dei comunisti e all’inizio di una nuova era per l’umanità.

Che lo si voglia o no, come i conflitti mondiali e i regimi fascisti hanno segnato una svolta nella vita di interi popoli, così l’Ottobre bolscevico ha determinato un capovolgimento vero e proprio dell’esistenza di centinaia di milioni di individui prima costretti ad una sopravvivenza dai caratteri feudali e con molto poche prospettive di poter diventare un paese finalmente emancipato dalla servitù classista con il nuovo governo di Kerenskij.

Molto spesso ci si immagina il processo rivoluzionario come il prodotto di una istintività di massa, una sollevazione che viene esclusivamente dal basso e che qualche leader è pronto a cogliere per indirizzarla nella direzione che ritiene opportuna. E’ così soltanto in parte. Nei primi giorni dell’Ottobre, Trotsky ci racconta che il cervello di Lenin era, oltre alle fabbriche, alle caserme, ai villaggi e là al fronte dove serpeggiava il più nero malumore e la voglia di tornarsene a casa, un vero e proprio “laboratorio” per l’insurrezione.

Non si tratta di un tratto agiografico marcato, di un riconoscimento post-mortem al grande politico, tattico e studioso dei movimenti sociali. Semmai è la verità. Perché le intuizioni di Vladimir Il’ič Ul’janov si uniscono inevitabilmente alla straordinarietà degli eventi che si susseguono e che premono, incalzano, non permettono di fermarsi un attimo. E nemmeno consentono di ritenere che siano possibili tutti i necessari passaggi politici entro le dinamiche di partito per dare una approvazione corale al piano insurrezionale.

Un piano, del resto, non c’è ancora, ma non si può affermare che sia l’improvvisazione a guidare le mosse bolsceviche. La guerra è sempre più logorante e Lenin e Trotsky si rendono conto che «le masse ne hanno abbastanza di parole e di risoluzioni» da parte degli organismi dirigenti del partito. Occorre mettere in marcia la rivoluzione e farlo a dispetto delle tante diatribe interne tra le fazioni. I timori ci sono: se il Comitato centrale dovesse scegliere una soluzione che non sia quella della presa del potere, occorrerebbe rivedere tutta la strategia, addirittura la linea politica portata avanti fino ad allora.

In ballo c’è davvero tanto. Lenin prende un “mozzicone” di matita e, dopo accese discussioni con Kamenev e Zinov’ev, traccia «su un foglio di quarta a quadretti da quaderno di scuola» una risoluzione definitiva:

«Il Comitato centrale riconosce che sia la situazione internazionale (ammutinamento della flotta in Germania come manifestazione estrema del maturare in tutta Europa della rivoluzione socialista mondiale, e minaccia di pace da parte degli imperialisti allo scopo di soffocare la rivoluzione russa) sia la situazione militare (indubbia decisione della borghesia russa, di Kerenskij e soci di consegnare Piter ai tedeschi) – tutto questo in connessione con la rivolta contadina  e con l’orientarsi del favore popolare verso il nostro partito (elezioni a Mosca), e infine l’evidente preparazione di una seconda avventura korniloviana (allontanamento delle truppe di Piter, spedizione dei Cosacchi a Piter, accerchiamento di Minsk da parte dei Cosacchi, ecc.) – tutto ciò pone all’ordine del giorno l’insurrezione armata.

Riconoscendo che l’insurrezione armata è inevitabile e che è completamente matura, il Comitato centrale invita tutte le organizzazioni del partito a orientarsi in questo senso, a discutere e a risolvere partendo da questo punto di vista tutti i problemi pratici (congresso dei soviet nella regione del Nord, allontanamento delle truppe di Piter, movimenti della truppe di Mosca e di Minsk, ecc.)».

Lenin inserisce la rivoluzione russa dentro un contesto mondiale che vede scricchiolare: gli imperi e gli Stati che rappresentavano un’aristocrazia che aveva lasciato il passo alla borghesia nell’amministrazione degli stessi e, quindi, nella piena condiscendenza del potere nei confronti del moderno sviluppo del capitalismo novecentesco, stanno rovinosamente franando su sé stessi. La guerra ad ovest è praticamente in stallo, mentre ad est Austria-Ungheria e Germania sono impazienti di arrivare ad una soluzione per dirottare le loro truppe sui fronti francesi e italiano.

Il clima che si respira nelle grandi città russe in quei giorni è surreale. La vita a Pietrogrado e a Mosca è fatta, nonostante tutto, di quel retaggio nobile-borghese che ha dominato fino a pochi mesi prima. Ci sono membri del partito che arrivano per la prima volta nella futura capitale dell’URSS e che annotano nelle loro lettere ai parenti lontani: «Qui si passeggia tra negozi lussuosi, in una animazione delle strade dove tutti sono indaffarati. Ci sentiamo come dei pigmei che vogliono rovesciare una montagna».

Secondo Lenin le condizioni ci sono. Trotsky le analizza tutte quante: dalle questioni di partito a quelle dei rapporti tra i comunisti russi e gli altri partiti fratelli sparsi per l’Europa e per il mondo. Nei territori che saranno indipendenti immediatamente dopo la pace di Brest-Litovsk. Ci si spinge addirittura ad una metaforizzazione della rivoluzione in chiave naturalista. Il parallelo tra la storia dell’evoluzione ambientale, animale ed umana e la rivoluzione che si affaccia al crinale della Storia fa sorridere, ma ha un senso.

Un senso che viene recuperato dalla dialettica della natura stessa, dalle leggi che la regolano fin nel più profondo invisibile all’occhio umano: dalla fisica quantistica agli eventi incontrollabili dall’umanità stessa. Eruzioni vulcaniche, terremoti, esplosioni di gas, maremoti, inondazioni. La rivoluzione somiglia a tutto questo, persino al “punto di ebollizione” che diviene il “punto critico” delle masse che hanno cumulato tante e tali ingiustizie da aver superato il limite della sopportazione nel nome di un presunto bene comune che è, invece, la regola del privilegio.

Trotsky, da esperto organizzatore quale si rivelerà, sa bene che «il problema è il passaggio dalla preparazione politica all’esecuzione tecnica dell’insurrezione». Le spinte sono di diversa natura politica, di indirizzo a volte opposto nella moltitudine dei disordini che si verificano da città a città, con la guerra che rischia di essere un cuneo inserito nel bel mezzo dell’attimo in cui le cose inizieranno a girare in tutt’altro modo e si aprirà la strada all’irreversibile.

Le tempistiche sono fondamentali e, per non sopravvalutarle, ma nemmeno sottovalutarle, occorre una attenta analisi dei rapporti di forza insieme alle contingenze che si determinano repentinamente: le notizie dal fronte, quelle da Mosca e Pietrogrado devono essere valutate con scrupolo per coordinare le forze rivoluzionare, per non lasciare nessuna iniziativa al governo di Kerenskij.

Gli avversari di Lenin, proprio nell’Ottobre, parlano attraverso le colonne dei giornali e direttamente nelle piazze e nelle vie. Mostrano alla gente la calma che c’è nelle strade. Non ci sono folle che inneggiano alla rivolta. Non ci sono combattimenti. Trotsky annota: «Usavano queste formule per parlare di cospirazione di una minoranza insignificante, di avventura di un pugno di bolscevichi».

Dopo la presa del Palazzo d’Inverno, dopo la fine del governo repubblicano e l’inizio dell’esperienza veramente rivoluzionaria, a smentire le voci di una sommossa che avrebbe creato stragi, morti e violenze di ogni tipo, tutte le cronache sono concordi nell’affermare che, precipitato Kerenskij, non vi a Pietrogrado nessuna risposta controrivoluzionaria. Gli junker vengono disarmati. Operai, marinai, soldati, tutti sono con i bolscevichi. Le bandiere rosse – scrive Trotsky – venivano innalzate sulle statue che ornavano i palazzi del potere zarista e messe loro tra le braccia.

La stabilizzazione del nuovo Stato dei lavoratori avverrà con la fine della guerra civile: Kerenskij non sosterrà né i bolscevichi né i bianchi. Fuggirà in America, diventerà un conferenziere e morirà nel 1970 dopo aver tentato di ricostituire una sorta di unità dei russi attorno alla bandiera di una liberazione dal socialismo che non raccoglierà che pochissimi adepti.

La lunga storia del 1917 e degli anni seguenti è descritta da Lev Trotsky con un piglio quasi letterario, con una modulazione delle frasi capace di trasportarci fin dentro le vie dove marciarono le prime manifestazioni di rivolta al regime zarista, fin dentro le stanze meravigliosamente ornate degli enormi palazzi dell’ex impero zarista. E’ molto di più di un viaggio storico: è quasi la cronaca della rivoluzione. Giorno per giorno. Ora per ora.

Il lascito migliore che è dato è quello di saper leggere la Storia in tutta la sua straordinaria complessità, proprio perché fatta di minuti, ore, giorni e, quindi, irriducibile ad una sintesi che non finisca per consegnarsi alla più infruttuosa, demistificante e vuota banalità.

La Rivoluzione d’Ottobre, per quanto come tutti i grandi eventi dell’umanità possa essere tutt’oggi oggetto di controversie, è una pietra miliare nell’evoluzione di una popolazione mondiale che, per qualche attimo, ha avuto l’occasione di diventare altro da ciò che il capitalismo l’aveva ridotta: un grande ammasso di sfruttate e di sfruttati, un piccolo nucleo di privilegiati.

STORIA DELLAY RIVOLUZIONE RUSSA
LEV TROTSKY
EDIZIONI ALEGRE
€ 38,00

MARCO SFERINI

23 agosto 2023

foto di pubblico dominio


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