Una manifestazione antifascista e democratica e noi, giovani operai che, dopo settimane di provocazioni, attacchi e azioni squadriste, lasciammo la fabbrica, diretti verso Brescia. La mattina del 28 maggio 1974 per me iniziò così.

L’arrivo in una piazza stravolta, l’odore acre della carne bruciata, la vista dei corpi straziati, le urla della gente che scappava e la voce dell’oratore che invitava le persone alla compostezza restano tutt’oggi – quasi cinquant’anni dopo la strage di Piazza della Loggia – un segno indelebile nella mia vita di sindacalista.

Ricordare quella giornata, però, è molto più di un semplice esercizio di memoria. È impegno politico e continua a essere responsabilità democratica, la stessa che venne esercitata allora dal movimento operaio.

Erano anni attraversati dalla violenza politica. Contro la strategia della tensione, che aveva come obiettivo il contrasto alla democrazia nata dalla Resistenza e ancora giovane, il movimento operaio assurgeva a presidio forte e collettivo per la tenuta democratica del Paese. Fu forse proprio questo a rendere la classe operaia e quella piazza, piena di lavoratori, dei bersagli. Diversamente da altre, altrettanto terribili stragi, come quella di piazza Fontana, quel giorno l’attacco fu deliberatamente diretto al movimento sindacale, a chi presidiava i luoghi di lavoro, al soggetto che più si spendeva nell’opporsi alla violenza.

Continuammo a opporci con fermezza anche il giorno successivo, in tutte le fabbriche, in ogni azienda e luogo di lavoro. Lo facemmo per le otto vittime, per gli oltre cento feriti e per difendere la nostra Repubblica democratica e antifascista.

A ridosso di questa ricorrenza, quindi, mi ha colpito ma non sorpreso che l’attuale governo di destra, che affonda le sue radici nel Movimento sociale, sia anche il primo che non comparirà come parte civile in un processo per quella strage, quello a carico di Roberto Zorzi. L’istanza è stata presentata tardi e, per questa ragione, respinta. Palazzo Chigi si è giustificato sostenendo che l’esecutivo non fosse a conoscenza dei tempi dell’udienza, tuttavia rimane un segnale preciso che marca una inequivocabile distanza dalla storia del sindacato.

D’altro canto, l’atteggiamento del governo lascia spesso trasparire insofferenza rispetto alla democrazia e ai suoi diritti, dal diritto al dissenso – il caso della ministra Roccella al Salone del libro di Torino parla da sé – ai fondamentali diritti della persona. Un atteggiamento subdolo che tende a comprimere i processi democratici, a rifiutare qualsiasi confronto, a misconoscere la rappresentanza sociale e persino a ignorare le ragioni delle piazze.

È in questa chiave che leggo anche la spinta presidenzialista: mal sopportando la democrazia parlamentare, si sceglie la scorciatoia decisionista e più pericolosa. Se a questo uniamo il disegno di autonomia differenziata, la direzione è evidente: ridurre gli spazi democratici, spezzare il Paese e consegnarlo al salvatore – o alla salvatrice – della patria, archiviando così l’idea di un Presidente sopra le parti, garante della Repubblica e della Costituzione.

La partecipazione alla vita politica e sociale nel nostro Paese si è già ridotta, come dimostra la sempre minore affluenza alle urne; la vera sfida è invertire la tendenza. Ed ecco quindi che torniamo al senso profondo di questa giornata di memoria e impegno. Oggi più che mai, davanti a questo governo, abbiamo bisogno di allargare la partecipazione e di rilanciare una battaglia culturale che ricostruisca il valore del diritto di voto, che non lasci a una minoranza il potere di decidere sulla maggioranza, che restituisca voce e forza a chi è più debole e in difficoltà perché la differenza tra destra e sinistra è e resterà sempre tangibile tanto radicata nella storia quanto nelle divergenti idee di società e di progresso.

Come testimonia quello che accadde il 28 maggio del 1974, il movimento sindacale, che è storia della democrazia e forma partecipata, oggi deve ritrovare il suo ruolo unitario e di contrasto a qualsiasi forma di compressione dei livelli di democrazia e partecipazione.

IVAN PEDRETTI
segretario generale Spi Cgil

da il manifesto.it

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