Fermiamoli subito! Opposizione di massa al decreto autoritario

Il governo non ci ripensa. Non ritira il decreto legge sull’ordine pubblico (perché di questo si tratta) spacciato come misura di contenimento degli eccessi che si registrano spesso nei...

Il governo non ci ripensa. Non ritira il decreto legge sull’ordine pubblico (perché di questo si tratta) spacciato come misura di contenimento degli eccessi che si registrano spesso nei rave party. E perché mai dovrebbe, in fondo, ritirarlo…

Stiamo parlando delle peggiori destre che ci sono in Italia sul piano istituzionale e popolare. Stiamo parlando delle destre che avevano, ed hanno, come si può ben vedere, propositi che coniugano il formale rispetto delle norme e delle libertà scrivendone di nuova tanto vaghe ad ampie nel loro spettro interpretativo, da poter essere adattate a qualunque contesto, contro chiunque, contro qualsiasi organizzazione o evento.

Veramente ci eravamo illusi che il volto da bon ton governativo di Giorgia Meloni e dei suoi ministri fosse il vero aspetto, oppure quello nuovo, adeguato ai tempi, con tanto di dichiarazioni delle più alte cariche dello Stato di presa di una certa ambiguissima distanza dal neo o post-fascismo che sia?

Perché se ci eravamo anche minimamente fatti qualche benevola illusione in merito, ecco che siamo stati tutti precipitati nella cruda realtà dei fatti con una norma improvvisata e, comunque, pensata per reprimere indistintamente e non distinguendo reato da reato; oppure essere scritta ad acta proprio per colmare una vacatio legis sui grandi raduni musicali di una gioventù contro cui il potere agisce poliziescamente, senza apertura, senza dialogo, senza il tentativo di stabilire una connessione fattiva e profiqua.

La destra, da sempre, non approfondisce i problemi sociali come elemento di arricchimento reciproco, di interscambio tanto generazionale quanto culturale, civile e morale. Un problema per conservatori e reazionari è soltanto un problema di ordine pubblico, di sicurezza, di tutela della legalità senza se e senza. Dura lex sed lex, echeggia da Palazzo Chigi al Viminale, dagli scranni più alti di Palazzo Madama a quelli di Montecitorio.

Nella lunga vita della Repubblica italiana non sono stati certamente pochi i tentativi di ridurre la Costituzione ad una mera espressione formalistica di un democraticismo egualitario dai tratti troppo socialisteggianti da un lato ed eccessivamente liberali dall’altro. Ci hanno provato cinquanta sfumature di trame nere, senza alcuna tonalità di grigio, servendosi della compiacenza deviante di servizi segreti, delle logge massoniche, degli intrighi post-bellici tra l’al di là e l’al di qua dell’Atlantico per fermare il “pericolo rosso“.

Oggi non c’è nemmeno più quel timore: il partito comunista è, come partes propriamente intesa e detta, una galassia di diaspore, di fraintendimenti politici, di atomizzazioni organizzative, di destrutturazioni e residualismi che devono essere ricomposti in una prospettiva di modernità politica tutt’altro che scontata per una visione complessa e complessiva dell’alterità sociale così come è declinata oggi tanto in Italia quanto in Europa e nel resto del mondo.

La sinistra impropriamente detta, quella dai tratteggi riformistico-democratici, che per troppo tempo ha convissuto con la cultura popolare e liberal-liberista, dando vita all’anomalo bicefalo del PD, è una opposizione tutta da dimostrare, prigioniera di una sconfitta storica, tanto quanto quella della sinistra di alternativa.

I tempi lunghi di un congresso di ulteriore logoramento, dentro una fase di urgenze che si sommano nella drammaticità esponenziale della guerra, della crisi economica e del confronto tra i poli capitalistici ed imperialisti emergenti, non fanno sperare in un rimescolamento delle carte per una proposta chiara e netta sul “cosa si vuole fare da grandi“.

Dunque, la destra estrema che è al governo del Paese non ha bisogno più di un nemico per autorigenerarsi, per preservare oggi il suo potere conquistato democraticamente. Vive di luce (o oscurità) propria.

Ha una sua fisionomia politica riconoscibile e accettata in quanto espressione di uno sdoganamento culturale, politico ed ideologico portato avanti da chi si è vantato di essere – da sinistra – portatore di valori superiori a quelli del grettume pattumiero degli attuali sovranisti e, al contempo, ha calpestato con politiche antisociali proprio quell’eguaglianza sociale disprezzata dal conservatorismo retrivo di cui testiamo oggi, proprio con il biglietto da visita del decreto legge sull’ordine pubblico, facciamo la più disinvolta e disarmante conoscenza.

Il rave party di Modena è stato un pretesto colto al momento giusto da un esecutivo in balia delle onde dei numeri sballati di una economia preda del disastro antisociale che proviene in parte da lontano e, in larghissima parte, da una contestualità di intersezioni problematiche che non sono, tuttavia, una equazione politicamente irrisolvibile.

Perché, comunque si guardino questi problemi strutturali dell’Italia atlantista e guerrafondaia, liberista e filoamericana, non c’è una soluzione politicamente corretta ma solo una serie di scelte da fare in merito a quale parte destinare i fondi del PNRR e su quali settori di popolazione intervenire.

La copertura securitaria data dal decreto di cui anche noi stiamo parlando qui da giorni, è il miglior modo per, ancora una volta, distrarre l’opinione pubblica e, nel frattempo, iniziare un percorso di avvicinamento della stessa ad una logica repressiva del dissenso come elemento disturbatore della buona azione di governo, del grande attaccamento dei neoconservatori reazionari alla “patria” e alla “nazione“.

Si rischia così, sfruttando l’ancestrale tendenza all’abitudinarietà degli esseri umani e dei cittadini, di cambiare radicalmente la cultura della socialità, della solidarietà e della elaborazione positiva delle differenze, nell’esatto opposto.

E questo senza che si debba ricorrere a legislazioni emergenziali, bensì a singoli episodi apparentemente slegati fra loro (le manganellate agli studenti de “La Sapienza” di Roma, le dichiarazioni sul 25 aprile del Presidente del Senato, tanto per fare due esempi molto vicini pluridimensionalmente a ciò che stiamo scrivendo) che consentono, unitamente all’atavico pregiudizio che si ha verso i rave party, di edificare un nuovo modo di ritenere risolvibili le problematiche.

Con decisione e prontezza, anzitutto. Per quanto possano essere apprezzabili concetti positivi soprattutto in politica e nell’amministrazione dello Stato, vengono ad essere i migliori alleati di una propaganda securitarista al sostegno di una narrazione che confermerebbe la risolutezza dell’esecutivo nell’affrontare quelle che, anche in questi giorni, sono state definite “emergenze” e che, invece, a cominciare dal rave party di Modena, sono state risolte con l’applicazione delle leggi vigenti.

Il carattere pretestuoso del decreto appena varato (e controfirmato dal Presidente della Repubblica, quindi pienamente in vigore così come è stato volutamente vagamente scritto per almeno sessanta giorni) è molto più che evidente. Si rileva qui una vecchia tendenza della destra: mostrarsi attenta ai bisogni popolari (tutt’altro che sociali) con misure e dispositivi atti a limitare sempre di più proprio la partecipazione del popolo alla vita sindacale, politica, culturale e ideale che è il sale della convivenza civile, della reciprocità e della vicendevolezza.

Dentro l’ambiguità della norma ufficialmente “anti-rave“, possono da oggi essere comprese tutte quelle azioni di protesta che, a partire dagli scioperi di fine ‘800, hanno determianto il cambiamento sociale, l’evoluzione delle classi subalterne, del mondo del lavoro e del disagio diffuso. Un picchetto davanti ad una fabbrica è un “raduno pericoloso per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica“? E l’occupazione di una scuola? Oppure un corteo che si improvvisa sit-in in una piazza al centro di una rotatoria stadale?

Come sarebbero stati trattati i tanti cortei antiscientifici dei no-vax, in tempo di pandemia, se questo decreto fosse stato in vigore? La maggior parte delle manifestazioni degli antivaccinisti e dei complottisti, molto vicini alla destra latente solo per opportunità politiche, ma strizzante l’occhio a questo sottobosco di incultura e decorticazione mentale, si sono tradotte in atti di vandalismo, di devastazione dei centri storici e, nel caso più eclatante, nell’assalto fascista alla sede nazionale della CGIL.

Qui saremmo stati in presenza di veri e propri “raduni pericolosi“, ma le leggi vigenti – a quanto pare – sono bastate per gestire (malamente) l’ordine pubblico in quei grigi pomeriggi e buie serate in cui le dirette internettiane trasmettevano la giaculatoria defatigante che ritmava: «La gente come noi non molla mai!».

Come mai i no-vax e tutti gli amici della libertà presuntamente negata allora, oggi non scendono nelle piazze per dire NO al decreto del governo che limiterà dei diritti costituzionali che sono un architrave della democrazia repubblicana?

Forse perché il provvedimento l’ha fatto un governo per cui molti di loro hanno votato e in cui ripongono le speranze di vedere esclusi dalle piazze tutti coloro contro i quali anche quelle manifestazioni antivacciniste erano rivolte: i democratici, gli antifascisti e quanti hanno difeso lo stato-sociale dal corporativismo, la libertà di scelta dall’ottundimento complottista, la fiducia nella scienza dalla fede in QAnon.

Quelle manifestazioni, dirette da forze apertamente neofasciste, oggi sarebbero tollerate nel nome della libertà di espressione? Se non significasse giocare col fuoco, rischiando di far scottare ancora di più la fronte febbricitante del nostro disgraziato Paese, sarebbe interessante poterlo appurare e vedere il comportamento del Viminale davanti a questi fenomeni di eterogenesi dei fini che si incontrano nel momento elettorale, che si disgiungono dopo per rimarcare la loro autonomia decisionale e la loro finta amicizia e vicinanza con la libertà a tutto tondo.

Occorre fermare questo decreto liberticida. Bisogna impedire che venga convertito in legge dalle Camere o, quanto meno, che venga convertito così come oggi [Per leggere il testo del decreto, ecco qui il collegamento].

L’unità delle opposizioni è necessaria in Parlamento. Quella di una opinione pubblica che si faccia critica ferma, laicamente repubblicana nel senso più alto del termine, è altrettanto importante e deve essere costruita in questi giorni per iniziare ad edificare un sentimento il più ampio possibile tra la popolazione che protegga la Repubblica – e dunque ciascuno e tutte e tutti noi – da una capovolgimento antidemocratico, da una torsione autoritaria ben visibile e riconoscibile da queste prime, repentine mosse del governo di Giorgia Meloni.

MARCO SFERINI

3 novembre 2022

Foto di Daniel Nouri da Pexels

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