L’Europa tra liberismo sfrenato e voluta illiberalità di Orbán

Al suo terzo mandato da capo del governo ungherese, Victor Orbán, rappresenta ormai l’antitesi di destra estrema rispetto al liberismo macroniano e merkeliano; soprattutto ora che si accinge ad...

Al suo terzo mandato da capo del governo ungherese, Victor Orbán, rappresenta ormai l’antitesi di destra estrema rispetto al liberismo macroniano e merkeliano; soprattutto ora che si accinge ad incontrare un nuovo leader sovranista e populista, dopo Marine Le Pen.
La linea dura, intransigente contro i migranti si sposa a Budapest con la limitazione della libertà di stampa, di espressione e con una riforma molto contestata della magistratura ungherese e fa il paio con l’avanzata autoritaria del governo austriaco guidato dal giovane Kurtz.
Le Pen, Salvini, Kurz, Orbán. La grande alleanza antieuropea e, soprattutto, quella che esalta l’esclusione, che nel “meticciato” culturale e sociale vede una minaccia seria alla grandezza della cultura occidentale, per la protezione dei singoli popoli del Vecchio Continente, avanza prepotentemente contro il dualismo franco-tedesco privo di altri appoggi veramente consistenti: la Gran Bretagna va avanti nel suo processo di uscita dall’Unione; la Spagna socialista ha un profilo defilato e gli altri Stati sembrano stare alla finestra ad osservare quale delle due impostazioni sarà la prevalente.
E’ un’Europa, dunque, completamente rivoluzionata, distaccata dalle sue radici ed origini comunitarie, fatta di piccole patrie, di esaltazioni nazionaliste visibili nell’erezione di muri di confine per respingere, nel migliore dei casi, i migranti e per arrestarli, nel peggiore dei casi, come fanno in Austria.
La “civilissima Austria” ha dichiarato Matteo Salvini in queste ore: “Faremo come loro”. Non ne avevamo dubbi: più la sfida ai falsi problemi sociali è alta, più il populismo sovranista dal sapore nero novecentesco alza il tiro, assume su di sé quella pericolosa megalomania tipica di chi pensa di poter conquistare il mondo con la “guerra totale” e si ritrova nel cratere profondo delle macerie pochi mesi dopo: giustamente umiliato, sconfitto, senza via di scampo.
I paesi di Visegrad, dunque, hanno in Orbán il loro portavoce che passa la linea immaginaria della vecchia cortina di ferro per venire in Italia, per stringere una nuova alleanza ora che il governo è cambiato e che la vecchia classe politica protettrice della normalità capitalista del profitto è stata archiviata.
Si tratta di un evento di grande portata che non può e non deve essere sottovalutato. Sembra di rivivere un poco quegli incontri che Galeazzo Ciano aveva, come ministro degli esteri dell’allora fascista Regno d’Italia, con le cancellerie europee, soprattutto con una con la quale, seppur recalcitrante, avrebbe firmato il famoso “Patto d’Acciaio”.
Siamo lontanissimi dalla scenografia di mostrine, fez, enfatiche divise militari e cappelli neri con l’aquila troneggiante esposta in bella mostra. Siamo lontanissimi dai progetti bellici di Hitler e di Mussolini.
Ma le guerre esistono e si combattono su altri fronti: la guerra alle migrazioni è la nuova Polonia il cui confine è già stato varcato da tempo e che chiede rinforzi a Budapest, sostegno all’Albania, all’Irlanda e persino al Vaticano per non far camminare sul territorio della Repubblica Italiana 150 esseri umani (centocinquata!) richiedenti un aiuto umanitario che è stato loro negato per giorni e giorni.
Del resto, per bocca dello stesso primo ministro magiaro, la democrazia borghesemente liberale non ha ragione d’essere e quindi un “nuovo ordine” deve essere costruito.
Occorre essere testimoni del nostro tempo e citare opportunamente tra virgolette le sue parole:
Dobbiamo abbandonare i metodi e i princìpi liberali nell’organizzazione di una società. […] Stiamo costruendo uno stato volutamente illiberale, uno stato non liberale [perché] i valori liberali dell’occidente oggi includono la corruzione, il sesso e la violenza.“.
Siamo per la formazione di un consenso in Europa circa il fatto che la reintroduzione della pena di morte sia competenza nazionale. […] Io sono per la vita, ma sono pronto ad accettare la pena di morte, se la maggioranza della gente pensa che questa rappresenti una difesa più efficace contro il dilagare della criminalità.“.
“Volutamente illiberale”. Non c’è purtroppo interpretazione alcuna e bisogno di alcuna esegesi: il concetto politico è chiaro. Si va verso una finta democrazia mantenuta come tale per rimanere nella grande famiglia del Partito Popolare Europeo ma creare un clima di caccia allo zingaro, di repressione brutale del dissenso, di costruzione di muri con filo spinato alla frontiera con la Serbia, di respingimento dei migranti, di alleanza con le peggiori forze della destra neofascista e autoritaria che pretenderebbe di essere solamente “nazionalista”.
Il consenso delle classi dominanti viene a volte estorto ma sovente supporta reazioni politiche fatte di protezionismo delle economie nazionali e sposa i peggiori istinti di crudeltà, inumanità e negazione della democrazia pure liberale basta raggiungere un livello concorrenziale sul piano economico che permetta la sopravvivenza delle piccole patrie capitaliste dentro alla speculazione bancaria continentale e al confronto fra i grandi poli mondiali dell’accumulazione del profitto.
La tolleranza del capitale in tal senso è, ancora una volta, il terreno più o meno garantito su cui questi regimi possono impostare una politica che nega i princìpi di Adam Smith, che li contraddice in quanto a connessione armonica tra economia e diritto e che, disperati per l’isolamento che subiscono in Europa si uniscono provando a contrastare il potere vero, quello della BCE.
Tutti gli altri, esclusi Francia e Germania, stanno lì sulla riva del fiume a guardare. La sfida è aperta e alla Sinistra Europea tocca il compito di infilare, in mezzo a questo dualismo mortifero per i diritti sociali e civili, una alternativa capace di risvegliare gli interessi di tasca e le coscienze critiche di popoli anestetizzati dalle paure terroristiche prima e ora da quelle delle invasioni delle migrazioni.
Non sarà facile, ma un’opportunità bisogna darla ad un’Europa che non può e non deve ripetere gli errori del periodo successivo alla Prima guerra mondiale: dare “per persa” l’Italia è un errore imperdonabile. Nessun Paese (in quanto popolo) deve essere lasciato solo. Se così si facesse, i sovranisti avrebbero già partita vinta.

MARCO SFERINI

28 agosto 2018

foto tratta da Pixabay

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