Riunione d’emergenza all’Eliseo, Elisabeth Borne e qualche ministro in prima linea attorno a Emmanuel Macron, per cercare una via d’uscita alla crisi sociale. Che ormai è multipla.

Dopo la Marcia contro il carovita (e la non-azione climatica, passata però in secondo piano nel corteo di domenica a Parigi), oggi c’è lo sciopero interprofessionale per l’aumento dei salari, che iniziato nelle raffinerie da Cgt e Fo si espande ad altri settori e altri sindacati: ferrovie, trasporto urbano parigino, licei professionali, Ephad (le Rsa francesi), è prevista inoltre la partecipazione delle organizzazioni di studenti.

Sono in agitazione anche dei lavoratori Edf delle centrali nucleari, aprendo lo spettro di una penuria di energia quest’inverno. Alla Sncf, l’azienda del trasporto pubblico ferroviario, il sindacato Sud Rail ha votato per uno sciopero a oltranza. Mentre ieri, hanno protestato poliziotti e magistrati, contro la riforma della Polizia giudiziaria.

Ai salari si è aggiunta la rivendicazione sul “rispetto al diritto allo sciopero”, in seguito alle precettazioni di alcuni dipendenti delle raffinerie. Intanto, ci sono state nuove precettazioni a Total, a Dunkerque e Lione, per far uscire i camion cisterna. Il 30% dei benzinai è a secco, con punte oltre il 50% nella regione parigina, la protesta cresce tra chi ha bisogno dell’auto.

La crisi è politica. Il tempo stringe per approvare la finanziaria 2023. Ci sono state più di 50 ore di dibattito, ma senza concessioni, né del governo né delle opposizioni, anche i deputati di Renaissance si sono divisi su alcuni emendamenti.

Il governo, che ha solo una maggioranza relativa, a giorni dovrebbe ricorrere all’articolo 49.3, che permette di far passare una legge senza voto. Una decisione drastica, che comporta le mozioni di censura (la sfiducia) da parte delle opposizioni. Ce ne saranno almeno due, della Nupes e del Rassemblement national, ma il governo Borne non dovrebbe cadere, perché sinistra e estrema destra non votano assieme.

Ma il ricorso al 49.3 arroventa il clima in Parlamento e getta le basi per scontri futuri: nei giorni scorsi c’è stato quello sulla riforma che restringe i diritti alla disoccupazione e in prospettiva c’è l’esplosiva riforma delle pensioni. Cresce la polemica sulle tasse ai super-profitti, Macron frena e si limita ad applicare le indicazioni di Bruxelles per un intervento temporaneo.

Intanto, il governo annaspa per cercare di trovare una soluzione alla mancanza di carburanti. Sabato iniziano le vacanze dei Santi (due settimane), con i distributori ancora vuoti. Macron ha fatto appello allo «spirito di responsabilità». Borne ha allungato di 15 giorni il contributo pubblico di 30 centesimi per litro di benzina (Total ha fatto lo stesso con 20 centesimi).

La prima ministra ha chiesto ai lavoratori di Total di «rispettare l’accordo», firmato dai due sindacati maggioritari (come è successo alla Exxon, dove lo sciopero è stato sospeso). Ma la Cgt e Fo non ci stanno: la Cftd con un altro sindacato dei quadri è maggioritaria alla Total, ma non lo è nelle raffinerie, inoltre il diritto allo sciopero è individuale per la Costituzione.

Borne ha spiegato in tv che il ricorso alle requisizioni non è stato «un atto banale» e che «il diritto di sciopero è protetto dalla Costituzione», mentre da destra si alzano voci sempre più insistenti che chiedono al governo di agire d’autorità per mettere fine al caos.

Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, giudica lo sciopero «illegittimo» dopo l’accordo. La prima ministra si è rivolta al padronato: «Tutte le imprese che possono, devono aumentare i salari». Ma non tutti sono Total, che ha accumulato super-profitti grazie alla guerra in Ucraina, ha distribuito dividendi mentre il presidente, Patrick Pouyanné, si è aumentato la remunerazione del 52% (arrivando a più di 6 milioni l’anno).

L’accordo firmato da Total prevede un aumento dei salari da novembre del 7% (5% per tutti, più 2% a titolo individuale), più dei “premi” di produzione tra i 3mila e i 6mila euro. La Cgt chiede il 10%: 7% per compensare l’inflazione (che è sotto il 6%), 3% per la condivisione delle ricchezze. La piccola e media impresa non può seguire.

Nella Marcia contro il carovita, domenica, c’è stata la rivendicazione di indicizzare i salari all’inflazione, soppressa nel 1983, con la svolta del rigore di Mitterrrand (resta in vigore solo lo Smic, il salario minimo).

ANNA MARIA MERLO

da il manifesto.it

Foto di Alotrobo