La parola muta delle ancelle e l’ombra di Lanz

Ieri mi sono vestito da “ancella” anche io. L’unico uomo tra le tante donne. Non è stata soltanto una goliardata, una provocazione fine a sé stessa, un esibizionismo esplicito...

Ieri mi sono vestito da “ancella” anche io. L’unico uomo tra le tante donne. Non è stata soltanto una goliardata, una provocazione fine a sé stessa, un esibizionismo esplicito teso a far dire ciò che ho sentito in piazza: “Che strana ancella”. Lo ammetto, la stranezza colpisce sempre. Dovremmo domandarci il perché.

Cos’è “strano”? Cos’è “strano in quanto diverso”? Le due concettualità si accomunano e si legano molto bene tra loro in un mondo dove anche i pregiudizi si avvinghiano e si impalmano vicendevolmente.

Strano è ciò che è inconsueto, non comune, non conforme alla ritualità quotidiana di tradizioni, di luoghi, di rapporti personali. Diverso è ciò che, invece, per oggettività nei fatti non è uguale ad altro da sé stesso.

Ma ciò che è diverso può divenire strano se il diverso viene visto con sospetto, con paura, con timore che sia o possa assurgere al ruolo di minaccia (e anche qui la casistica è ricchissima…) per la maggioranza “normale” di una società che obbedisce a canoni morali (e moralistici) ben determinati da una millenaria induzione a ritenere soprattutto la sfera sessuale come discrimine tra ciò che dio consente e ciò che dio non consente. Secondo l’interpretazione ecclesiastica.

Ma esiste anche una parodia laica al dettame cattolico sull’unico fine assegnato al sesso: quello procreativo. La parodia laica non origina dal sovranismo neofascista dei nostri giorni: semmai questo ne è erede (se degno o meno sarà la storia a dirlo…). Si perde nella notte dei tempi il pullulare di sette popolari che sono arrivate fino ai giorni primi di un Novecento in piena crisi di identità, con stati sovranazionali implosi, guerre mondiali che mostravano il carattere imperialista del capitalismo, colonialismo e quindi nuovamente identità a confronto con altre identità.

Dal genere femminile contro maschile, dal rapporto donna e uomo al rapporto tra “razze” diverse. Tra le tante, l’intreccio tra clericalismo e razzismo lo si ritrova nel delirio antisemita e suprematista ariano di Adolf Lanz, un cistercense espulso dall’ordine e rifugiatosi nella creazione di una setta che rasentava un misticismo fatto di tutta una serie di simbologie che sarebbero divenute care alle SS di Himmler.

Lanz a Vienna pubblica una rivista che sarà molto amata da un giovanissimo Hitler: “Ostara“. Un giornale aggressivo verbalmente, pieno di pangermanesimo e pieno di stereotipi di genere: negli articoli in cui si parla delle donne, ancorché quelle “ariane”, si intende, si afferma che esse devono essere sottomesse all’uomo e diventare proprio quello strumento popolare dedito soltanto alla patria, al padreterno e alla famiglia.

E’ indubbio che Lanz attribuisse il concetto di “stranezza” a tutto ciò che fuorisciva dai canoni razzisti, omofobi e totalitari che aveva messo a base della sua megalomania: per noi è strano Lanz, per Lanz saremmo stati strani noi.

Il turbine del soggettivismo del concetto di “stranezza” non ci aiuterebbe a comprendere anche le derivazioni moderne di preconcetti e pregiudizialità arrivate sino a noi grazie ai regimi fascisti e nazisti, a tutta una serie di giustapposizioni linguistiche e tattiche sul piano politico volte a sommare falsità su falsità, creando quella che oggi si definisce una “narrazione” alternativa alla verità scientifica sull’origine umana e sulla sua espansione sull’intero globo.

La stranezza, dunque, è figlia di una alterazione della differenza, della diversità come elemento valorizzante le caratteristiche peculiari di ciascuno: nel pensiero di Lanz che, non lo si può escludere, ebbe influenze sull’Hitler pre e post-bellico in dirittura d’arrivo al cancellierato del Reich, ma pure nel pensiero di tante altre sette e gruppi razzisti, la diversità diviene stigma, onta e si tramuta in uno sguardo orrorifico sulla “contaminazione” tra uomini e donne stessi e, poi, tra esseri umani tutti.

La donna ariana deve essere sottomessa all’uomo ariano ma non potrà mai “contaminarsi” con uomini che non siano della sua stessa “razza”, quella che Lanz immagina come superiore ai popoli balcanici ad esempio o a quelli dell’Est Europa. La medesima repulsione che proverà anche Hitler nel parlare dei “popoli assoggettati” per creare lo “spazio vitale” a quell’amato popolo tedesco che, con la sua voglia di conquista, ha praticamente indotto e mandato allo sterminio.

La donna, come l’omosessuale, quindi la “diversa” e il “diverso” rispetto all’uomo inteso come “maschio” (genere e sesso vengono simbiotizzati in un assoluto inscindibile), sono da tenere a bada, da controllare quando possibile, da eliminare quando tentano di far valere la loro autonomia, indipendenza, i loro diritti di esseri viventi eguali a tutti gli altri.

Così avviene: nel Terzo Reich con l’olocausto di tutte le donne non ariane (rom, sinti, ebree, slave…) e con gli omosessuali in quanto “invertiti”, rovesciati proprio rispetto ad un ordine nazista che oggi torna sotto mentite spoglie quando prevede una restrizione dei diritti civili fatta passare come riforma del diritto civile nel rapporto tra genitore e genitore, tra genitori e figli, tra figli e figli stessi.

Siamo sempre nella spirale del dominio, della prevalenza della concezione maschile del mondo sostenuta da un patriarcalismo clericale che lascia libertà alle donne di professare la fede entro però un catechismo e una dottrina formulata soltanto da uomini.

Del resto, lo si sa fin dai banchi di scuola delle elementari, dio ci viene presentato con fattezze maschili, allegoricamente dipinto come un vecchio barbuto, pure da Michelangelo (che del resto non poteva esimersi dal raffigurarlo così, visto che di quel pane viveva…) e mai nessuno lo ha pensato “femmina”, “donna”. Del resto il dio cristiano e cattolico ha mandato un figlio a redimere l’umanità dai peccati sulla terra, non una “figlia”.

La figura di Maria, della donna (sarebbe meglio dire della bambina) concepita immacolatamente e strumento di dio nella sua opera di redenzione delle sue stesse creature, è in secondo piano ma non è certamente meno importante per questo. Tuttavia, è sempre l’uomo a creare dio, a crearsi un alibi per assolversi dalle malefatte di millenni e a proclamarsi mondo, netto e pronto ad una nuova esistenza.

Non è strano tutto ciò? Non è forse curioso? Ciò che gli esseri umani dicono di dio varia in tante narrazioni: tra cielo e terra si sono avvicendati in decine di migliaia di anni culti e dei diversissimi. Eppure sono tutti frutto della mente umana che ne ha sentito il bisogno per sottrarsi allo smarrimento causato dall’incomprensibilità della vita.

I pregiudizi sulle differenze interne alla stessa unica razza umana sono poi nati per istinto di sopravvivenza, per paura di essere sopraffatti da altri popoli, per difendersi da teorie rivoluzionarie in ogni epoca che proclamavano il giusto egualitarismo come fenomeno naturalissimo ed evidentissimo, eppure così facile da gettare sotto un orpello teleologico, origine delle religioni e delle superstizioni.

Nemmeno l’Illuminismo è riuscito a liberarci dalla sovrastruttura religiosa perché, benché percepita da molti credenti come una “necessità impellente” e, quindi, parzialmente ridotta nella sua accezione assoluta di verità rivelata, è e rimane una ipotesi a cui aggrapparsi: una ipotesi fatta di semplicità.

Facile spiegare tutto con dio. Ciò non toglie che dio possa esistere, ma indubbiamente non è ciò che gli uomini dicono sia veramente in tante lingue e in tante forme.

La donna, l’ancella vestita del copricapo bianco e del mantello rosso, silenziosa e torva nel suo sguardo di sofferenza e di dolore, è la figlia di un tempo in cui l’oppressione del pregiudizio e la mortificazione del corpo sotto il peso anche materiale delle bastonature e delle percosse dei maschi (padri, fratelli o altro che fossero) si manifestavano con grande violenza, senza alcun freno.

Oggi vi sembra molto diversa la condizione della donna? Vi sembra che le donne possano dire di essere “libere”? Libere di indossare una minigonna senza venire additate come “legittimo oggetto di stupro” o “provocatrici del naturale istinto maschile”?

Vi sembra davvero che ci sia tanta diversità tra il puritanesimo anglosassone e irlandese o la bigotteria cattolica dei secoli passati e la quotidiana persecuzione del corpo e dell’animo femminile che sfocia in assassinii brutali, in violenze morali e fisiche indicibili da parte di padri, madri… considerando che la gran parte degli stupri avviene tra le mura domestiche?

Non c’è grande differenza. A differenza si somma differenza, a pregiudizio ancora una volta si somma pregiudizio: così l’ombra delle follie di Lanz (se quella di Hitler vi sembra troppo enfatica!) è dietro ogni gesto, parola, atteggiamento che riteniamo “normale” nei confronti delle donne e di tutte le “diversità”: omosessuali, transessuali, nuove forme di genere che esistono a prescindere dall’opinione che ne possono avere i neofascisti del moderno sovranismo italico.

Fatevene una ragione.

MARCO SFERINI

9 marzo 2019

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