La libertà di pensiero e le fantasie dei no-vax

Quelli che chiamiamo (o che si fanno chiamare orgogliosamente) “no vax” non sono ascrivibili alla categoria trasversale della “gente da convincere” per limitare gli effetti della quarta ondata pandemica....

Quelli che chiamiamo (o che si fanno chiamare orgogliosamente) “no vax” non sono ascrivibili alla categoria trasversale della “gente da convincere” per limitare gli effetti della quarta ondata pandemica.

Non lo sono perché l’irriducibilità di cui si fanno protagonisti, con toni aggressivamente aspri, saccenteria e presunzione antiscientifica, è ormai divenuta l’espressione manifesta di un dogmatismo primitivissimo che poggia le sue ragioni sul niente e, proprio per questo, è adattabile a qualunque contesto, contro qualunque interlocutore, in qualsiasi manifestazione.

La duttilità dell’antivaccinismo è una forma di religiosità a-confessionale, anche se molti no vax sono seguaci di un cattolicesimo negazionista che fa riferimento al tradizionalismo dei lefebvriani, passando per nuove “milizie di Cristo“, per radio dove si recita il rosario contro il Disegno di Legge Zan e si considerano le donne fonte di un atavico peccato che ci riporta indietro di secoli rispetto alla lotta per l’emancipazione di sessi e generi.

I no vax sono convinti che veramente esista una dittatura che è parte di un complotto mondiale dove si intersecano il 5G, le scie chimiche, il “deep state” alla QAnon, il “grande reset” della popolazione mondiale e così via.

Queste, che sono tutte fantasie di complotto (molto bene descritte – ripetiamolo ancora una volta – nel libro “La Q di Qomplotto” di Wu Ming 1), hanno ottenuto la promozione di verità incontestabili che, proprio perché denigrate dal sistema (parola con cui si intende tanto la semplice forma dello Stato quanto il cosiddetto “nuovo ordine” su scala planetaria…), assumono ancora più ragione d’essere e di proporsi in quanto tali.

L’assurdo all’ennesima potenza sta proprio nel sovradimensionamento di una falsità che, rimbalzata da profilo social in profilo si ingigantisce e deve la sua immeritevole rilevanza alla quantità piuttosto che alla qualità. Per questo è sempre molto difficile smontare le fake news: perché sono banali, perché prendono la forma che gli si vuole dare al momento e, proprio per questo, non hanno una distinguibilità ideale, culturale, socio-politica, economica. Non si fondano su analisi e studi, ma solo sul sentito dire, sulle ricerche tramite Google che, da motore di ricerca, diventa archivio di medicina nonché esperto in tale disciplina chi automaticamente lo consulta. Anche per una sola volta.

Noi possiamo anche ritenere la libertà di pensiero rispettata quando decine di migliaia di persone si abituano a depensare in questo modo, abbandonando ogni metodo critico ed ogni attenta esegesi, ma se alla forma deve corrispondere una sostanza, allora siamo sicuri di stare proteggendo quel diritto di libertà, quel diritto singolare e collettivo di formulazione anche delle peggiori sciocchezze nel nome dell’intangibilità di un arbitrio che appare sempre meno libero e sempre più condizionato invece da chi ha tutte le intenzioni di distrarci dalle vere ragioni antisociali di politiche sono devastanti se non come, almeno similmente agli effetti della pandemia?

Siamo sicuri che il ritenere tutto questo libertà di pensiero e di espressione sia davvero fare un favore a quelle libertà stesse, alla Costituzione, alla Repubblica e alla nostra imperfetta democrazia?

Oppure, senza volerlo, anche noi, che siamo fiduciosi nella scienza, che ci vacciniamo per tutelare noi stessi e la comunità in cui viviamo e che, pari tempo, manteniamo una critica senza se e senza ma nei confronti del governo Draghi e di tutti i cascàmi che piovono sulle esistenze della povera gente, delle classi più disagiate, entriamo a far parte di un cortocircuitico ingranaggio, di una perversione antisociale che sostiene il sistema nel propugnare le fantasie di complotto?

La consapevolezza di un dubbio è, di per sé, un elemento utile allo sviluppo di una critica sempre più ampia e disinteressata: una critica che muove i suoi passi lontano dalle strettoie del pregiudizio e della pretestuosità: la lotta contro la pandemia è indubbiamente interclassista e interpartitica.

Ed è plurale nell’essere convergente su grandi temi su cui non si può fare spallucce e da cui non si può fuggire: prescindendo dal livello di anticapitalismo di ognuno di noi, consci della mercificazione di ogni attività umana e di ogni essere umano, di ogni animale e della natura intera su questo pianeta, la fiducia nella scienza non può venire meno, perché si fonda sulla “dimostrazione“, quindi sulla sperimentazione e non su illazioni, su vagheggiamenti attribuiti a questo o quel personaggio del web.

Così pure, in altro campo, il metodo storico sperimenta e dimostra non in laboratorio ma negli archivi di Stato, attraverso la sovrapposizione di documenti, con il confronto delle fonti e mediante una perseveranza che punta a trovare un frammento di conoscenza in più su un determinato periodo del cammino umano, su un singolo fatto o persona che interessi lo svolgersi degli eventi.

Se si relativizza non la morale, come rimbrottava Joseph Ratzinger agli inizi del suo intransigente pontificato, ma invece l’oggettività della dimostrazione, che è figlia dell’empirismo, si perde qualunque razionalità, ogni legame tra percezione e realtà come fluire di un processo che evolve e che non resta relegato nel mero campo ipotetico delle supposizioni. Non dovrebbe essere attribuibile alla “libertà di pensiero“, all’esercizio di un diritto costituzionale lo spargere falsità a man bassa nella popolazione per il gusto di sentirsi protagonisti per un giorno della piazza mediatica, per soddisfare un narcisismo supponente e arrogante.

Sarebbe molto più semplice evitare questi accostamenti tra libero pensiero e libere falsità se si ristabilisse un corretto utilizzo delle parole: iniziando da “dittatura“. L’abuso delle terminologie è causa di enormi disastri nella riconoscibilità e nella corretta identificazione tra significato e significante, tra termine e riscontro reale. Gridando “Al lupo! Al lupo!“, alla fine nessuno più corse ad aiutare il pastore di Esopo. Sbraitando quotidianamente alla “dittatura sanitaria“, al “colpo di Stato” contro la libertà e la democrazia, tutte le parole si svuotano e muoiono di una inedia fatta di una inflazionata insensatezza.

I no vax non sono soltanto pericolosi per sé stessi e per gli altri in quanto veicolo possibile della quarta ondata di Covid che si sta già verificando, ma sono una devastante antinomia per la solidità di una aderenza tra un moderno mondo delle idee e un altrettanto moderno mondo della realtà.

Oltre alla pandemia da coronavirus non possiamo permettercene una anche da relativizzazione e banalizzazione delle coscienze e della critica. Gli effetti della malattia saranno pur sempre brevi se paragonati a quelli di una analfabetizzazione di ritorno per una minoranza rumorosa che pretende di avere la verità in tasca, prescindendo da qualunque chiamata alla dimostrazione delle affermazioni che va urlando nelle piazze o delle scritte complottiste su cartelli e striscioni.

Sentirsi esentati da ciò non è libertà di pensiero: è solamente prevaricazione e violenza. Verbale o fisica che sia. Quanto di più lontano possa esservi da quella libertà che i no vax pretendono di rappresentare.

MARCO SFERINI

18 novembre 2021

foto: screenshot

categorie
Marco Sferini

altri articoli