La Chiesa a metà tra evangelizzazione e conservazione del potere

Più che una affermazione di un diritto entro il novero dei comportamenti di un fedele, di un credente cristiano, di un cattolico più o meno praticante, l’apertura del Vaticano...
papa Francesco

Più che una affermazione di un diritto entro il novero dei comportamenti di un fedele, di un credente cristiano, di un cattolico più o meno praticante, l’apertura del Vaticano al battesimo per le persone transessuali e alla possibilità per quelle omosessuali di fare da padrini o di essere testimoni ad un matrimonio, la posizione assunta dal cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto per la dottrina della fede, e dallo stesso pontefice appare come una constatazione che nulla osta nel diritto canonico in questa direzione.

Non si tratta di una questione di lana caprina: la Chiesa osserva che, in fondo, se un transessuale o un omosessuale si approssimano ai sacramenti o all’essere parte attiva nelle cerimonie battesimali o matrimoniali, non si crea una discrasia con le fondamenta dottrinarie di un impianto più articolato, di una sorta di compromesso costante proprio tra la fede e la quotidianità, tra la tradizione e la modernità, se proprio vogliamo dirla con una pennellata di spirito laicale.

Dunque, nonostante le apparenze, ciò che oggi viene fatta passare come una grande concessione del pontificato di Francesco a chi era considerato fino ad un secondo prima un irrimediabile peccatore, escluso quindi da una serie di funzioni che – in quanto credente e cattolico – avrebbe potuto ricoprire dentro la sfera del cerimoniale ecclesiastico, altro non è se non una presa di consapevolezza cui, tuttavia, la Chiesa è arrivata per gradi, con la lentezza tipica del gigante bimillenario che è e che intende continuare ad essere.

E’ abbastanza ovvio che per tutte e tutti coloro che non sono religiosi o che, pur essendolo, non aderiscono alla comunità cattolica, la valenza di ciò che ha proclamato il papa è di ben altro spessore, o sarebbe meglio dire “sottigliezza“.

Non di meno, va riconosciuto che tutto quello che ci avvicina ad una sempre maggiore considerazione della diversità sessuale e biologica come a qualcosa di assolutamente naturale e, quindi, comprendibile entro la sfera della normalità senza alcuna distinzione pregiudizievole, non può essere trascurato e, anzi, merita attenzione.

Conoscendo sufficientemente bene la storia della Chiesa cattolica apostolica romana e, in particolare, il suo cammino novecentesco, la sua fuoriuscita dal potere temporale (per poi rientrarvi parzialmente con la fondazione dello Stato della Città del Vaticano) e la sua, per così dire, “secolarizzazione” in centocinquant’anni di rapidissima evoluzione sociale, economica, scientifica e medica, non si fa poi molta fatica a capire lo sforzo di un adattamento del Vaticano alla mutevolezza dei tempi.

E’ evidente che la Chiesa persegue lo scopo di un rafforzamento di sé medesima in un contesto di rapidissimo cambiamento dei rapporti sociali, di quelli civili e dei diritti che, ad iniziare dalla seconda metà del secolo scorso, hanno conosciuto una stagione espansiva su un piano globale.

Ed è evidente che tutto venga fatto con la duplice funzione di consolidarsi anche nel nuovo millennio come una potenza sociale, civile e morale cui guardare con attenzione e con l’intento di contrastare un sempre maggiore scetticismo verso la religione e nei confronti di chi la rappresenta.

Ma non si può negare che, per quanto l’istituzione ecclesiastica cerchi l’autoconservazione e, in questo modo, la sua perpetuazione nel tempo, un interessante dibattito sui diritti civili si apra anche grazie a questa dialettica che prende spunto dal contrasto tra morale laica e morale religiosa, tra Stato e Chiesa, tra atei, agnostici e credenti.

Non possiamo tralasciare il fatto che, in molti paesi che si dicono in via di evoluzione e di modernizzazione, che hanno la bomba atomica e che sono così indietro nel riconoscimento dell’uguaglianza tanto economica quanto civile e umana (nonché animale…), i diritti delle persone LGBTQIA+ sono considerati ancora qualcosa di innominabile e, laddove c’è un briciolo di tolleranza, permane comunque questo piano inclinato tra chi tollera e chi è tollerato. Accade in Stati in cui prevale un diritto laico, accade in altre nazioni in cui vigono regimi teocratici.

Il Vaticano è una teocrazia, una monarchia assoluta che, dopo la fine dello Stato della Chiesa nel 1871, ha ritrovato una commistione tra temporalismo e secolarismo nel compromesso dei Patti Lateranensi con il Regno d’Italia; ma, più ancora, è entrato nella scena della politica nazionale, per espandersi nuovamente in quella europea e mondiale, operando una distinzione (tutt’altro che netta) tra governo della Chiesa e missione pastorale.

La duttilità con cui le gerarchie ecclesiastiche hanno saputo interpretare i mutamenti del Novecento la dice lunga sulla resilienza vaticana e, in senso molto più lato, di una Chiesa cattolica dalle mille sfaccettature: basti pensare alle declinazioni mediorientali della stessa, a quelle nell’Est europeo o, ancora, ai riti che vigono, in comunione con Roma, presso comunità africane molto grandi come quella etiope o là dove si tenta una nuova evangelizzazione che sia, allo stesso tempo, anche penetrazione istituzionale: Cina, Mongolia e, in generale, l’Asia ne sanno qualcosa.

Il messaggio è abbastanza chiaro: la Chiesa cattolica vuole essere sempre più vicina ai propri fedeli, di qualunque latitudine o longitudine del pianeta, di qualunque colore, di qualunque appartenenza politica, di qualunque cultura filosofica, di qualunque genere: maschile, femminile, fluido, transgender… Ciò che importa è traghettare questo apparato di potere e di fede nel nuovo millennio, prima che le minime condizioni per farlo spariscano del tutto. Lo sa bene la Congregazione per la dottrina della fede e lo sa bene il papa.

Certo che c’è anche un briciolo di buona fede in tutto questo, non fosse altro perché si concede a Francesco e ai suoi cardinali di crederci un po’ in tutto quello che dicono e fanno. Ma, senza dubbio, c’è anche molto della distorsione secolare del potere, che corrompe, che logora, che affascina, seduce e impedisce di trascurarlo quel tanto da rimanerne autonomi, distaccati, dediti alle sole opere di carità ispirate ad una sincerità della fede che è, sì, la vera base della credenza.

Non c’è confronto, si intende, con la linea tracciata da Benedetto XVI: un sentiero di conservazione, di durezza anche ideologica nella proposizione di tutta una serie di giudizi che venivano dati sulla scorta del “relativismo” di un mondo moderno visto come avversario per la Chiesa e non come un interlocutore a tutto spiano. Francesco supera questa dicotomia, unisce la necessità della tradizione col bisogno di una empatia collettiva che è irrefrenabile in un mondo di sempre meno credenti.

La precarietà dell’esistenza, il nonsense affidato all’imperscrutabilità totale dell’Universo, al mistero come elemento primordiale di una radice fideistica che è propria tanto delle culture primitive quanto della più moderna condizione religiosa che, di per sé, implica uno status entro la società, sono stati i timori fondamentali su cui la Chiesa ha giganteggiato nel corso dei secoli.

La crisi del creazionismo, ad opera di un diffondersi dell’evoluzionismo come spiegazione recente e solida di una parte della verità oggettiva dell’esistente, non ha tuttavia intaccato le fondamenta della chiesa come espressione intrinseca della società che cerca nella fede un lenimento alle sofferenze e alla impossibile comprensione delle stesse.

La forza della religione sta proprio nell’effetto narcotico che ha nei confronti del dolore psicologico e, a volte, pure di quello che deriva da conseguenze psicosomatiche.

Quando si fa riferimento alla Chiesa non si può non pensare alla religione come ad un tutt’uno con essa, come a qualcosa che la riguarda senza soluzione di continuità: il potere temporale, anche oggi, impedisce di considerare equivalente la complessità dell’istituzione con quella del fenomeno prettamente religioso che, come già detto, è inseparabile da ogni tensione emotiva personale, diretta o indiretta e, checché se ne dica, riguarda un po’ tutti nella vita.

La sessualità, a questo proposito, è fisicità, ed è emozione, sentimento, desiderio: corpo e animo (la psiche ellenica essenzialmente) si pervadono e offrono alla religione un campo aperto in cui scrutare per cogliere quelle fragilità che sono tipiche di una umanità che, proprio grazie ed a causa dell’autocoscienza, diviene consapevole di sé medesima, di ciò che la circonda e del rapporto che intercorre con tutto quello che rientra tanto nel suo campo visivo quanto in quello di una dimensione impalpabile dei pensieri che, per l’appunto, non hanno confini.

La sessualità, dunque, privata della libertà che le avevano concesso le culture antiche, non appena si è incontrata e scontrata con le religioni rivelate ha dovuto piegarsi alle esigenze del potere che andavano costituendo o complementandosi.

Per arrivare fino a noi, migliaia di anni dopo i racconti dell’Esodo, duemila anni dopo la nascita di Cristo, millequattrocento dopo la fondazione dell’Islam, con tutto il portato di pregiudizi e prevenzioni che hanno tenuto in equilibrio Stati e culti in una reciprocità quasi perfetta.

E’ per questo, guardando con il massimo di obiettività storica, al cammino lunghissimo della questione religiosa unitamente a quella della formazione degli imperi, dei regni e delle teocrazie che ancora oggi resistono, che non si può non apprezzare qualunque sforzo questi poteri facciano per adattarsi ad una inevitabile progressione dei diritti universali e di una certa idea della naturalità di ogni espressione della sessualità, quindi dell’istinto a desiderare una felicità che arriva da una congiuntura tra materiale e immateriale, che va ben oltre la contrapposizione tra sacro e profano.

Il potere che oggi la Chiesa cerca, deve necessariamente rifondarsi su nuove basi teologiche che, senza scostarsi troppo da una interpretazione teleologica classica (quindi il principio creazionistico cui non si può chiedere ai cattolici di rinunciare…), si avvicini il più possibile ad una linea di compromesso con l’oggettività scientifica. Nessun membro della Curia romana si sognerebbe oggi di affermare che i vaccini sono strumenti del demonio.

Eppure una parte della variegatissima comunità dei credenti è stata disposta a credere alle teorie no-vax piuttosto che avere fiducia nell’operato della medicina. Ma questo aspetto riguarderebbe ben più marcatamente il rapporto di mancata fiducia, comprensibile fino ad un certo punto, tra istituzioni e popolazione, tra Stato e cittadini.

Quindi, per tirare alcune somme, bene ha fatto papa Francesco a riconoscere che la Chiesa non aveva nulla in contrario a che le persone transessuali si potessero battezzare o che potessero fare da madrina o padrino ai battesimi stessi. Ciò vale anche per i bambini nati da fecondazione assistita. Un passo tutt’altro che scontato.

Quando parla ai diritti delle persone, il papa parla in chiave oggettivamente progressista. Quando parla di pace e si oppone a qualunque militarismo, a qualunque guerra, il papa parla ad una comunità mondiale che deve essere concepita come multipolare, internazionale (ma non internazionalista).

Quando parla di ciò che è permesso, il papa fa ovviamente riferimento a quello che la Chiesa consente se le si riconosce un diritto di giudizio, di indicazione, di predisposizione delle nostre vite. Alle parole del papa si deve prestare ascolto se indicano una via di uguaglianza, ma pronti a prendere le distanze da qualunque intento moralistico in chiave universale. Perché la morale cattolica è il piedistallo del potere della Chiesa.

Non bisogna escludere la condivisione delle proprie idee in materia di uguaglianza sociale, civile e di convivenza tra i popoli con il mondo cattolico. Va detto in particolare a sinistra. Ma non bisogna nemmeno confondere la lotta per la liberazione degli sfruttati con un messaggio che, obiettivamente, è limitato entro il mantenimento dell’istituzione che lo esplicita. La dualità del papa-re non è più quella di Pio IX, ma entro questi termini rimane tutta.

Il segno che la Curia romana si pone la sfida della sua attualità attraverso una innovazione che, dietro le più nobili apparenze, è – siamo generosi – per metà evangelizzazione che prescinde dal temporalismo e per l’altra metà il potere che non sfugge a sé stesso.

MARCO SFERINI

10 novembre 2023

foto: screenshot ed elaborazione propria

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