Se facessimo il gioco della torre non c’è dubbio che tra Draghi e Berlusconi gli italiani getterebbero il secondo. Nell’attuale parlamento i risultati del gioco non sarebbero così scontati. Se poi mettessimo a confronto le due personalità, del “candidato” B. emergerebbero l’ego smisurato, il narcisismo, la scaltrezza, la volontà di potenza; di D. emergerebbero la serietà, il riserbo, il senso della misura, la competenza. Guardando le cose da un altro punto di vista, D. è un personaggio riconosciuto e stimato all’estero per aver servito con “disciplina e onore” le istituzioni. B., invece, com’è risaputo in tutto il mondo, si è servito delle istituzioni per i suoi affari o per uscire da guai giudiziari.
Salire sul colle più alto non è una gara né un riconoscimento di fine carriera. Il Presidente delle Repubblica rappresenta l’unità nazionale, l’equilibrio dei poteri, il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche.
B. e D. hanno in comune l’adesione ai principi del liberalismo, ma B., con i suoi governi, ha incarnato una sorta di “liberismo all’italiana”, che si traduce concretamente nell’appropriazione di beni pubblici per ricavarne profitto privato; nello strizzare l’occhio a furbetti ed evasori; nello slogan “padroni a casa propria” che accompagnò il famigerato Piano casa; nell’affermazione su vasta scala di disvalori quali l’avidità, l’egoismo, la corruzione dello spirito pubblico.
La popolarità di B. nasce da una gestione della cosa pubblica a misura delle classi agiate ma attenta al rampatismo sociale. Si devono ai suoi governi una serie di condoni (edilizi e fiscali), l’eliminazione della tassa sulla casa (anche per i più ricchi), l’abolizione della tassa di successione. Il capitalismo italiano prende un’altra piega. Molti imprenditori trovano più conveniente passare dalla manifattura ad “attività in concessione” e allungano le mani su autostrade, servizi, beni pubblici. Un mercato protetto si sviluppa all’ombra dello Stato. Lo stesso B., d’altro canto, è stato antesignano e interprete di questa versione “domestica” di capitalismo. I suoi successi imprenditoriali si devono proprio alle concessioni edilizie e all’uso dell’etere a condizioni di vantaggio.
Da allora il capitalismo “predone” non ha trovato ostacoli. In nome dell’efficienza e della concorrenza, la privatizzazione forzata dei servizi pubblici è andata avanti, assicurando comode rendite di posizione. Emblematica in questo senso è la trasformazione della sanità da servizio pubblico ad “azienda” gestita con criteri privatistici, con tanto di manager, analisi costi-benefici, tagli di posti-letto e di interi reparti. Una riforma voluta dal centro-destra e, purtroppo, assecondata dal centro-sinistra (in piena ubriacatura blairiana). A questa scelta sciagurata si deve lo smantellamento della medicina territoriale con conseguenze nefaste sui servizi di cura. Si è messo in piedi un modello ospedalocentrico e si è “inventata” una falsa concorrenza pubblico-privato con l’unico scopo di dirottare metà delle risorse destinate alla sanità pubblica verso strutture sanitarie private. Questo modello ha mostrato tutta la sua debolezza con il Covid. Senza che ancora si sia sentita una voce di ravvedimento. Si sprecano, però, abbondanti lacrime di coccodrillo sul fatto che malati gravi (non da Covid), non vengano curati per mancanza di terapie intensive e di personale.
Il liberalismo di Draghi, che è riassumibile nel governo dei “migliori”, forte di una presenza tecnica e sostenuto da una larghissima coalizione, si è arenato sia per la persistenza e mutevolezza del virus che per l’insorgere di difficoltà economiche (in ultimo il caro energia). I motori inceppati della produzione e dei consumi non si sono accesi come molti osservatori auspicavano.
Pur rafforzando la credibilità dell’Italia, tuttavia Draghi non ha provato nemmeno a mettere mano ai suoi nodi strutturali. La sua immagine di deus ex machina che ci avrebbe tirato fuori dai guai in tempi brevi, ne è risultata appannata. Montano la rabbia e il malcontento, che se non incanalati in un movimento di lotta, rischiano di offrire altre carte al populismo di destra.
La destra è in cerca di revanche. Il messaggio che lancia schierando il leader di Forza Italia è : ”Ora tocca a noi”. La scelta dell’inquilino del Quirinale assume questa volta un’importanza particolare, direi di tenuta democratica. I giochi di palazzo e le forzature politiche, tendenti collegare e confondere due piani distinti – l’elezione del capo dello Stato e la conferma del governo delle larghe intese fino alla scadenza della legislatura – rischiano obiettivamente di complicare la scelta.
Il campo democratico e di sinistra esca da una prudenza paralizzante e proponga una personalità prestigiosa, autorevole e unitaria. Uomo o, meglio, donna, purché sia garante della Costituzione e di un corretto gioco democratico. E’ auspicabile un ritorno della politica, uscendo dal frastuono mediatico che ci circonda.
GAETANO LAMANNA
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