Accanto a “Potere al Popolo!”, non con “Potere al Popolo!”

Dunque, proviamo ad essere chiari, limpidi, cristallini, come diceva Tom Cruise in un celebre film con Jack Nicholson. Proviamo ad essere cristallini in merito alla confusione che inizia ad...

Dunque, proviamo ad essere chiari, limpidi, cristallini, come diceva Tom Cruise in un celebre film con Jack Nicholson.
Proviamo ad essere cristallini in merito alla confusione che inizia ad essere sovrana, amplificata dai botta e risposta sulle reti sociali internettiane, in merito ai rapporti a sinistra anche, e soprattutto, dopo l’ennesima batosta elettorale registrata nelle amministrative al primo turno e, successivamente, nei ballottaggi.
La scomparsa della sinistra di alternativa e di quella genericamente e malamente intesa come tale ed individuata nei rimasugli di Partito Democratico che ancora esistono e che si dividono tra ipotesi di superamento del medesimo (Calenda) e costituenti (Orlando), tra picche e ripicche fra renziani e non renziani, è un dato di fatto ormai acclarato, interpretabile fino ad un certo punto.
Siamo davanti all’azzeramento tanto delle forze politiche e sociali marcatamente alternative, che hanno offerto e offrono una visione opposta a quella del sistema in cui viviamo, portando con sé l’esatto contraltare in termini di programmi politici e di proposte per l’immediato in cui ci troviamo a dimenarci quotidianamente, e siamo davanti anche all’esaurimento progressivo di forze come il PD che hanno consumato sé stesse imitando malamente anche il più riformista dei centrosinistra nati e vissuti in questo Paese per mettersi all’opera nei governi precedenti con politiche che hanno falcidiato i diritti sociali e hanno reso più precario chi già lo era e più povero chi non poteva ulteriormente sopportare arretramenti di natura economica.
Detto questo, la mancanza di punti di riferimento a sinistra e nel decrepito centrosinistra che qualcuno si ostina ad immaginare ancora come un punto di approdo per, paradosso dei paradossi, rilanciare la sinistra…, ha provocato un vuoto in cui questa volta oltre a penetrare la destra classica, fascista e xenofoba, s’è fatta largo anche quella che vorrebbe fregiarsi dell’indistinzione, della trasversalità a tutti i costi, dell’a-ideologismo.
Una diversità dai partiti della “casta” che non è quella diversità sempre affermata e praticata dai comunisti che non si univano al coro dei liberali e dei socialisti che volevano ammansire le pretese di privilegio del capitalismo, del padronato e dei finanzieri; quella grillina è una diversità che è uniformità all’esistente, che mostra qualche cenno di progressismo in termini di critica ambientale, di diritti civili ma che poi va in televisione e spende parole di difesa dell’operato del ministro Salvini in termini di politica estera, benché sia il ministro degli Interni, in termini di politica economica, benché sia il ministro degli Interni e così via.
Matteo Salvini, del resto, se volesse capitalizzare l’enorme consenso che abilmente si è conquistato con le sue quotidiane esternazioni sul primato tutto italiano dei diritti di qualunque natura, dovrebbe andare alle elezioni quanto prima, visto che i sondaggi peggiori danno la Lega al 29%, comunque ormai azionista di maggioranza del governo giallo-verde.
La martellante propaganda che ci porta verso una “democrazia illiberale” (da definizione secondo me molto appropriata di Emanuele Macaluso) sta forgiando una pubblica opinione che tende a diventare maggioritaria fondandosi sui principi di morale politica e sociale del ministro degli Interni: il respingimento di ogni principio di equivalenza tra italiani e non-italiani riesuma il diritto di fregiarsi di controvalori che sono apertamente dicotomici rispetto a quelli costituzionali o, anche solamente, ad una base di buon senso e di umana e (per chi è credente) cristiana comprensione verso la disperazione che approda sulle nostre coste.
La sinistra di alternativa, i comunisti, sono spinti, costretti dalle circostanze a parlare sempre e solo di immigrazione e di razzismo, di xenofobia e di antiziganesimo. I temi dello stato sociale, del lavoro, quindi, della sanità e della scuola passano in secondo piano davanti all’ondata di odio che permea il Paese e che non è rivolta contro chi sfrutta i lavoratori, i precari, contro chi impedisce ai disoccupati di accedere al mercato del lavoro; il nemico non è il padrone ma il povero e lo sfruttato tanto quanto noi.
Un capolavoro di ingegneria della contrapposizione nella stessa classe sociale o, quanto meno, nell’ambito del medesimo recinto di sfruttamento con le dovute differenze da caso a caso.
Il Partito Democratico a tutto ciò non può dare, dall’opposizione, una risposta: è stato fino a pochi mesi fa parte del problema. E’ una delle tre destre che hanno collaborato alla realizzazione delle condizioni per l’ascesa a Palazzo Chigi di un governo che non teme di essere definito “sovranista”, che rivendica il primato degli italiani, lo ius primae noctis tutto politico e sociale, creando così il terreno fertile per essere percepito come amico del popolo.
Ciò che rimane della sinistra, dunque, è altamente insufficiente ad affrontare la crisi della democrazia e l’avanzata dell’illiberalismo cui assistiamo. Con preoccupazione. Perché non si sa mai quale possa essere la definizione del “punto di non ritorno”: più il consenso attorno al governo (e a Salvini) cresce, più la legittimità che promana dal popolo scavalca persino quella costituzionale.
Pensare che, in questo contesto così complicato e drasticamente in movimento, si possa affermare che l’ultima speranza per la sinistra di alternativa sia una formazione, un “movimento” come “Potere al Popolo!” è prima di tutto una cecità politica e, in secondo luogo, una sopravvalutazione tanto delle ragioni – giuste – che avanziamo quanto della capacità recettiva (quindi comunicativa) nostra.
Non è convincente, del resto, nemmeno la mera proposta di aggregare Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, Possibile, magari elementi critici del PD, Articolo 1 e creare un ennesimo fronte elettorale privo di un fondamento quanto meno ideale per portare avanti una sostanza di programma che rimetta al centro dei temi la contrapposizione tra capitale e lavoro.
Esperimenti aggregativi di questa portata sono già stati tentati e hanno inesorabilmente fallito perché non sono nulla di “nuovo”, sono la stanca ripetizione di un passato fatto di divisioni che non coincide con la voglia di cambiamento di un Paese che non esige uguaglianza e solidarietà ma egoismo e individualismo. A queste esigenze la destra populista e sovranista sa dare una risposta e la declina in termini sociali.
Si potrebbe dire che i vecchi rigurgiti socialisti di un certo fascismo di inizio ‘900 si sono abilmente evoluti in queste forme di orgoglio patriottico, di difesa dei confini, di primato degli italiani uber alles
Dunque, si domanda, qual’è la ricetta magica di una sinistra che si innovi e che si rinnovi, che torni a vincere nelle piazze e nel Paese, che sia nuovamente protagonista dell’interpretazione politica del disagio sociale?
Di sicuro non può “Potere a Popolo!” pensare di essere così altamente inclusivo da assumere la spocchia di dirsi l’unico contenitore della nuova sinistra di alternativa: non può provocatoriamente aprirsi anche a Sinistra Italiana, Possibile, ecc., pensando che forze che hanno comunque una rappresentanza parlamentare si inseriscano in un progetto fallimentare che non è entrato in Parlamento e che di questo mancato ingresso si fregia per dire che la propria cultura non “di potere”, come se portare alla Camera e al Senato dei deputati e dei senatori comunisti (loro non li chiamerebbero così…) fosse poi così poco importante per aprire la strada ad un cambiamento sociale anche solamente riformista…
Non lo può fare perché è proprio prima di tutto l’impostazione culturale che viene a scontrarsi con quella anche di Rifondazione Comunista (almeno così mi auguro) che non è un partito extraparlamentare per vocazione, ma per forza delle circostanze. Per colpa? Certo. Ma la fase delle autoflagellazioni ormai è finita e se proprio ci si deve ancora colpire con una frusta per espiare cattolicamente dei peccati, dovremmo farlo per aver consentito che un progetto politico tendenzialmente a-istituzionale diventasse quasi egemone nel corpo del Partito, conquistando i compagni e le compagne con una sorta di fideismo unidirezionale: “indietro non si torna”. Le parole d’ordine sono imperative, non ammettono replica.
Troppe cose in “Potere al Popolo!” non ammettono replica, non ammettono critica: chi critica, chi replica, chi osa contraddire l’impostazione data da organismi dirigenti autoformatisi senza una delega esplicita della intera “base” del movimento (di cui fanno parte anche quei tanto vituperati partiti senza i quali non ci sarebbe stata nessuna lista alle elezioni politiche…), viene trattato con sufficienza, sbeffeggiato su Facebook e gli viene indicata la porta.
Cultura politica e metodologie interne di gestione dei passaggi di costruzione del movimento medesimo lasciano, dunque, già profondamente perplessi.
Il coordinamento provvisorio ha deciso le tappe di costruzione del soggetto politico: adesioni online, similmente ai grillini, con la piattaforma adottata dal Partito dei pirati; possibilità di iscriversi al progetto anche per via cartacea; chiusura delle adesioni a fine settembre (un tesseramento estivo, velocissimo!) dopo un campeggio estivo toscano; ad ottobre assemblea costituente.
Siccome Rifondazione Comunista ha deciso di aderire al “progetto” in un contesto elettorale, sarebbe quanto meno politicamente corretto che di questo percorso ulteriore si discutesse non solo sulla comunque utile pagina del forum creato sul sito nazionale del Partito, ma che si coinvolgessero tutte le federazioni provinciali e i circoli.
“Potere al Popolo!”, questa è la domanda delle domande, può, date queste premesse avere la connotazione esemplare di una France Insoumise? Oppure di una Izquierda Unida?
Certo, dipende dal contesto che si intende coinvolgere: vista l’attuale situazione di deriva politica autoritaria in Italia, siamo tornati ai tempi del primo centrodestra, peggiori per certi versi, e i comunisti non possono rinchiudersi in una formazione che non concepisce il dialogo con Sinistra Italiana, con Articolo 1, con tutta quella parte di sinistra che sta nella CGIL, nell’ANPI e nell’ARCI che viene sofferta perché magari ha guardato o tutt’ora guarda ancora ad un PD irriformabile per bocca dei suoi stessi dirigenti.
Mettere le etichette ed escludere vuol dire fare un cattivo servizio alla sinistra in Italia. Compito di noi comunisti non è rimanere autonomi in una unità priva di sbocchi sociali, di collegamenti sindacali di massa, di interazione con grandi associazioni partigiane e culturali che hanno fatto la storia del progressismo e della democrazia nel Paese.
Dobbiamo rimanere comuniste e comunisti, affrontare il moderatismo di una certa sinistra ma non possiamo pensarci “mutualisti” senza essere anche proiettati in un orizzonte di riconquista del consenso sociale attraverso una sponda politica che miri alla rappresentanza istituzionale.
La Repubblica diventa e rimane la forma di Stato e di potere organizzato più agevole per il socialismo se si sa interpretarne a fondo le ragioni originarie, costituzionali, resistenziali.
Altrimenti come sinistra di alternativa vivremo in un contesto di continua replica e commento di ciò che gli altri faranno. E gli altri non sono le socialdemocrazie ma forze xenofobe, autoritarie, sovraniste che hanno in spregio i fondamenti della laicità repubblicana a cominciare dal lavoro, inteso sempre e solo come variabile dipendente dal maggior profitto da realizzare privatamente.
Rifondazione Comunista deve decidere. Deve farlo anche in fretta. Possiamo camminare accanto a “Potere al Popolo!” insieme ad altre forze di sinistra. Non possiamo essere “Potere a Popolo!” perché esclude tanta parte della nostra cultura libertaria ed istituzionale al tempo stesso.
Troppo libertarismo conduce all’irrilevanza istituzionale e troppo istituzionalismo condurrebbe nuovamente ad una sindrome del governismo a tutti i costi che va evitata.
Rifondazione Comunista può avere quel ruolo di mediazione tra due opposti e unire la sinistra attraverso i dettami della sua storia che rimane una storia importante nella vita della sinistra e del comunismo italiano.

MARCO SFERINI

foto tratta dalla pagina Facebook nazionale di Potere al Popolo! 

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