Trump e il declino dell’impero americano

Una analisi della crisi della cosiddetta "più grande e antica" democrazia del mondo: senza stabilità sociale nessuna libertà è davvero al sicuro

Un utile introduzione
La migliore fotografia degli Stati Uniti di oggi l’ha tratteggiata Roberto Saviano in una intervista concessa a ‘’Rep tv’’ nei primi giorni di novembre. Dice Saviano:

«Gli Stati Uniti sono raccontati in un modo molto diverso da come sono realmente. Mi sono fatto tutta la prima ondata pandemica lì. E noi abbiamo l’idea che gli Stati Uniti siano New York, Los Angeles, San Francisco. Abbiamo invece a che fare con un mondo di immensa e sterminata ignoranza in cui, una figura come Kim Kardashian, può determinare il clima individuale di milioni e milioni di persone; non attraverso un consiglio su come ci si veste, ma il ‘’sentire’’ di una nazione in cui gli intellettuali sono al margine del dibattito.

Fra l’altro anche profondamente codardi in quanto, se prendessero posizione, verrebbero invitati meno dai ‘corporates’ di destra che li fanno mangiare. C’è una frase di Howard Zinn famosissima in cui si diceva che gli Stati Uniti sono il paese del terzo mondo più ricco e potente del pianeta. Sembrava una frase radical chic e invece la povertà e l’ignoranza abissale che si incontra negli Stati Unti non la incontri in Europa.

Forse è il tempo di ri-raccontare gli Stati Uniti e di non subire la loro narrazione. Gli stessi democratici raccontano di un paese inesistente, la sinistra europea ci crede, ma quando sono stato lì mi sono reso conto che non è il paese di Yale o delle grandi università dove ci sono i soldi per la ricerca o i campus, ma invece un posto infame dove la prima cosa che è stata acquistata durante il lockdown è stata l’erba e le glock.

Gli Stati Uniti sono questa roba qui, solo che continuiamo ad avere una prudenza nel racconto che non ci fa comprendere che stiamo parlando di un paese già al disastro culturale da decenni».

Psicologia e complottismo
Le teorie del complotto furono un fenomeno marginale, radicato soprattutto nella controcultura degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso collegato a forme di indagine critica e artistica. Oggi il complottismo, invece, fa parte del mainstreim politico: dal movimento no-vax, alle teorie di Qanon tra i sostenitori di Trump, alle sciocchezze sul piano segreto di sostituzione etnica in Europa, le teorie del complotto sono diventate un aspetto fondamentale del discorso politico dell’estrema destra.

Il fenomeno comunque non è nuovo, in quanto il fascismo del ‘900 fece largo uso delle teorie complottiste a cominciare dalla più famosa e cioè il falso documento dei ‘‘Protocolli dei savi di Sion’’. Per la maggior parte degli studiosi le teorie del complotto vengono considerate soprattutto come un fenomeno di dis-ordine psicologico, collegando questi modi di pensare a determinate distorsioni delle funzioni cognitive; questo disordine sarebbe l’effetto dell’attribuzione di non casualità o intenzionalità a determinati eventi all’interno di una modalità spontanea della attività cerebrale che di norma viene superata dallo sviluppo del ragionamento logico nel corso dell’educazione.

In questa prospettiva, contrastare le teorie del complotto diventa una questione di rieducazione cognitiva attraverso la correzione del ragionamento, rinforzando le critiche alle falsità e illogicità dei discorsi complottisti. Continuando a vedere nelle catastrofi il risultato di una intenzione e di un disegno nascosto, le teorie del complotto sono un formidabile strumento di coordinazione ideologica e di organizzazione politica dal basso e a basso costo che, capitalizzando vari risentimenti, aprono nuovi spazi politici fuori dai vecchi partiti o come nel caso del partito repubblicano ne prentendono il controllo.

Il rischio di ridurre una questione politica a una questione ideologica o psicologica, e quindi velarla, è reale. Si tratta invece di ritrovare un quadro politico entro il quale questi fenomeni si collocano. Non è solo nell’impoverimento culturale o nelle bolle informazionali dei social che vanno cercate le cause , ma nell’incapacità di dare una risposta politica alla crisi che sta attraversando il neoliberismo.

Le sue politiche economiche e sociali creano diseguaglianze senza precedenti e rappresentano gli interessi di una parte sempre minore della popolazione. Il che significa che le forze che rappresentano questi interessi possono sempre più difficilmente vincere le elezioni senza assicurarsi il sostegno di chi subisce queste politiche. E’ in questo contesto che le teorie del complotto diventano sempre più centrali offrendo una ‘’supposta razionalizzazione’’ del disagio sociale.

Fragilità della democrazia americana
Gli avvenimenti del 6 gennaio dimostrano che un secolo e mezzo fa il nord vinse la guerra ma perse la pace. Biden ha affermato che la democrazia è “fragile“. Vero. Ed era già un organismo assai infragilito quello consegnato nelle mani di un demagogo senza scrupoli quattro anni fa. Sul piano politico lo hanno reso tale i partiti e i presidenti dagli anni Settanta a oggi.

Ognuno dei presidenti, con la parziale eccezione di Obama, si è meritato la sua menzione disonorevole: ma il danno che hanno fatto alla politica e alla società Nixon, Reagan, Bush figlio e Trump è stato diverso per ciascuno ma sempre più grave. Anche Bill Clinton ha fatto la sua parte contro i lavoratori e a favore dei capitalisti ed entrambi i partiti, democratico e repubblicano, hanno sempre obbedito agli imperativi di arricchimento e sopraffazione sociale che gli erano imposti dal grande capitale.

Nessuno ha messo in discussione le logiche neoliberiste che approfondivano sempre più le disuguaglianze. Il mondo del lavoro, storico baricentro stabile della società, perno dell’economia e garante della democrazia, è stato marginalizzato. Contro minoranze e donne sono state rinfocolati i pregiudizi, chiave per il loro indebolimento sociale e politico, che con fatica erano stati delegittimati nei decenni precedenti. Il principio guida di politici e capitalisti è stato la scomposizione della società in frazioni separate e possibilmente antagoniste tra loro: dividere per dominare. Barack Obama ha interrotto quel processo, coagulando il consenso necessario per arrivare alla presidenza e mostrando che un’inversione ricompositiva era possibile.

Il Partito repubblicano, il cui solo obiettivo era la riconquista a ogni costo del potere politico, ha aperto la strada al demagogo Trump. Entrambi sono stati e sono privi di principi, disposti a fomentare per poi mobilitare i problemi, lo scontento e i risentimenti sedimentati dalla Grande recessione del decennio scorso. Hanno riattizzato i pregiudizi, rilegittimando le correnti razziste, sessiste, suprematiste, irrazionaliste e fasciste. Hanno avvelenato la società statunitense.

Ci sono oggi settanta e più milioni di cittadini americani che votano Trump, (più dei voti della prima elezione )e migliaia di loro (anche dentro la polizia) pronti a prendere le armi in suo nome. Perciò si tratta di entrare in questo cuore di tenebra e cercare di capire, per riconoscere le cause e cercare di affrontarle e risolverle. L’America ha deluso molti suoi cittadini. Costoro stanno cercando qualcuno da incolpare per il loro malessere, e il partito repubblicano ha imparato l’arte di dare tutto ai ricchi per poi dire agli americani che le difficoltà sono state causate dagli immigrati e dalle persone di colore piuttosto che dai miliardari e dai legislatori che prendono ordini e tangenti da quest’ultimi per farne gli interessi.

D’altra è difficile guardare al mondo con lucidità quando sei cresciuto immerso in una cultura dell’odio, quando i tuoi genitori, il pastore in chiesa ti insegnano che il razzismo non è solo qualcosa di corretto ma una forma di lealtà verso i tuoi cari.

Nel corso del suo mandato Trump non ha fatto nulla per dissimulare chi è o a che cosa possono portare le sue idee e i 74 milioni di persone che lo hanno votato erano lì , in spirito, con i violenti di Capitol Hill. E’ al razzismo di un’America bianca, che non si rassegna a perdere il potere, che il banditi della Casa Bianca stavano parlando. Alcuni esempi recenti: nel 2016, una milizia armata ha occupato per 41 giorni un parco nazionale in Oregon per contestare l’uso federale delle terre pubbliche; il 1 maggio 2020 una folla armata ha invaso il parlamento del Wisconsin per protestare contro il lockdown, e la polizia (come a Washington) li ha lasciati entrare.

Nessuno ha riconosciuto allora questi fatti d’armi come sintomi di qualcosa di più vasto, più profondo e grave. Il partito democratico non si è accorto di nulla, salvando banchieri falliti e aggravando le diseguaglianze, celebrando la vittoria di Obama e un po’ di sanità pubblica, ma battezzando ogni fenomeno del disagio violento come malessere passeggero. Invece era la nascita di una nazione.

Iniziamo a chiederci perché sempre meno gente crede ai media, perché sempre meno gente ha fiducia nelle istituzioni e nello stato, perché sempre meno gente pensa di avere i mezzi per decidere della propria vita? Che media, che istituzioni, che democrazia gli stiamo offrendo? Perché, mentre ci riempiamo la bocca sui valori della democrazia, ce n’è così poca nella vita delle persone? E perché a questa domanda inespressa di contare qualcosa, non siamo capaci di dare risposte democratiche, di sinistra, di uguaglianza dignità e diritti, e lasciamo che sia il peggio della destra ad alimentare e cavalcare il rancore confuso con le sue spiegazioni avvelenate e false.

Sul sito di Bloomberg Wealth, non proprio una fonte di sinistra: «Milioni di americani si aspettano di perdere la casa nella tempesta del Covid». Succede solo lì, dopo la crisi del 2008? C’è ancora qualcuno che parla di diritto alla casa? Non credo, ma è stata proprio la normalità di ieri a preparare il disastro di oggi. Il trumpismo è l’esito di mezzo secolo di demolizione del senso del bene comune e delle istituzioni: quando Reagan diceva che lo stato è il problema e non la soluzione apriva la porta a un’antipolitica qualunquista legittimata da un’ideologia neoliberista a cui la sinistra non ha saputo opporre alcuna resistenza (restandone anzi a volte sedotta, vedi Clinton).

Ma prima ancora, le radici stanno anche nel lato oscuro della tradizione americana: per esempio, in una visione della libertà declinata fin dall’inizio in termini individuali (senza fraternità, senza uguaglianza) e quindi disponibile ad essere letta in termini antistatali. E non è stato certo Trump a inventarsi la guerra civile e il suo infinito dopoguerra, le bandiere sudiste sbandierate a Washington dai manifestanti, lo schiavismo, la segregazione, la «southern strategy» di Nixon, la supremazia bianca – ancora celebrata da innumerevoli statue e monumenti coraggiosamente difesi dai nemici del politically correct.

È questa la vera faccia degli Stati Uniti: la violenza, nei rapporti sociali interni e internazionali, ammantata di democrazia. Una deriva sociale e politica alle prese da anni con una guerra civile strisciante, armata per “diritto costituzionale” dove decine di milioni di persone, spesso diseredate e misere (la pancia dell’America) seguono il sogno della Great America, bianca, razzista e suprematista.

Trump
Dopo la presidenza Trump passeranno molti anni prima che un qualsiasi rappresentante degli Stati Uniti possa dare lezioni di democrazia, ma pochi si chiedono come mai 74 milioni di persone abbiamo votato per Trump, lo seguano come un guru anti-élite, lui che è un oligarca di Manhattan, mentre i sondaggi tra gli elettori repubblicani plaudono all’assalto squadrista fomentato poco prima dal presidente in carica al grido: «È una frode».

The darkest hour è costata cinque morti e decine di feriti e di arresti. Trump è rimasto convinto fino all’ultimo di avere il diritto di capovolgere l’esito del voto popolare e di rimanere in carica nonostante quasi sessanta giudici, inclusa la corte suprema gli abbiano detto a vario titolo di no. Trump è il prodotto ultimo di una lunga evoluzione del Grand Old Party. È un personaggio legato ad un’idea di sviluppo antica, che odia il progresso scientifico, ama il low tech, e non vuole togliere le armi alla National Rifle Association. Ama il popolo degli Stati del sud che sono lo zoccolo duro dei repubblicani, dove il suprematismo bianco la fa da padrone e dove Creazionismo e anti-darwinismo non sono mai morti.

Il fatto che abbia cercato i voti degli anti-establishment pur avendo fatto affari con l’establishment per tutta la vita, forse è più un escamotage dai suoi esperti di comunicazione. In realtà si è opposto a tutto ciò che è cambiamento dello status quo, ed è stato anti-scienza nella misura in cui lo è un conservatore populista che intende confermare gli attuali assetti socio-economici. Infatti non ha fatto altro che favorire le compagnie petrolifere eliminando tutte le leggi ambientali dell’amministrazione Obama.

Dunque è perfettamente inserito in un establishment e allo stesso tempo si mostra “amico” del popolo. Trump, con il suo linguaggio povero, il vocabolario ridotto a 2500 parole e i suoi pensieri di una banalità sconcertante parla a quell’America profonda, quella che ha paura che il mondo cambi lasciandola indietro dove sta. Un elettorato particolarmente permeabile alle fake news e al cospirazionismo, che rifiuta non solo la scienza ma anche la realtà, e abolisce il pensiero critico.

E’ quell’America bianca intrisa di odio e violenza, ma anche di disperazione e senso di abbandono, che tanta parte ha avuto nell’ascesa e nel successo politico di Donald Trump. Da parte sua Trump scopre che più grosse le spara, più consensi raccoglie. L’essenziale è avere un grosso network alle spalle, e Fox coopera con entusiasmo. Consumarsi le dita su Twitter indicando agli esclusi un nemico da combattere e raccogliendo la rabbia con il miraggio di una rivalsa è il tocco finale. Il mob che ha travolto il Campidoglio arriva da qui.

Le connivenze dei reparti sicurezza
C’è un mistero profondo intorno alle forze dell’ordine. Le talk radio di destra hanno fomentato per giorni la convocazione nazionale a Washington delle milizie? L’insurrezione è precipitata proprio con il comizio di Trump in cui ha indicato il Campidoglio esortando la folla a marciare su quel palazzo a riprendersi il paese. Se il presidente incoraggia a violare una legge, è probabile che qualcuno dei suoi seguaci lo farà. Come si spiega la clamorosa insufficienza delle misure di sicurezza che ha spalancato le porte del Campidoglio a quella folla stracciona?

La Capitol Police ha un bilancio 460 milioni di dollari con duemila agenti effettivi eppure a contrastare l’avanzata dei facinorosi si è visto un esiguo manipolo di poliziotti impreparati senza l’ombra di rinforzi. 340 soldati della Guardia nazionale, dei 2.700 effettivi, questo nel centro del potere di un paese con una polizia notoriamente militarizzata e brutale. Nelle immagini si vedono alcuni agenti fraternizzare con i manifestanti. Sfortunatamente.

Nei decenni, le forze dell’ordine si sono sempre più militarizzate e sono state addestrate per vedere i civili, specialmente le persone di colore, come il nemico. Per fortuna che dietro la porta del congresso c’erano uomini armati ma bianchi; se ci fosse stato qualche nero la situazione sarebbe sicuramente degenerata. Ricordiamo che nella spianata attigua di Lafayette Square sei mesi prima dimostrazioni pacifiche di Black Lives Matter sono state violentemente represse da forze speciali, guardia nazionale etc. La differenza abissale tra questi due momenti cristallizza il suprematismo bianco istituzionalizzato dal trumpismo.

Democrazia al tramonto?
Il tramonto politico di Trump è assicurato, ma il sentirsi in balia di potenze invisibili e oggetto di manipolazioni, la perdita del senso dell’agire e il vanificarsi del mondo come realtà agibile e ospitale, riflette un’ansia esistenziale molto diffusa. Le teorie del complotto danno una forma a questi sentimenti, in una situazione di precarietà economica sempre più diffusa, di rischio ambientale generalizzato e di pandemia globale.

In questo contesto la lotta contro il complottismo e contro i suoi risvolti politici non può limitarsi ad una lotta culturale sulla scienza e sulla verità ma deve essere anche una lotta politica. La crisi della democrazia americana si riverbera nel mondo. Le democrazie liberali presentano dei margini di debolezza impensabili. In fondo è questa la tragica lezione che ci arriva dagli Stati Uniti.

Due insegnamenti: il primo è che ogni democrazia ha oggi una quota di trumpismo. Il secondo è che la forma di governo parlamentare si dimostra più adatta ad affrontare in chiave di inclusione le conflittualità di società divise in classi. Nella borsa delle istituzioni, è meglio oggi investire sul parlamento rappresentativo piuttosto che sul governo decisionista o peggio ancora di un solo uomo al comando. E poi, dopo Capitol Hill, è consigliabile e rassicurante che ci sia la possibilità che un capo di governo vengo sostituito ad horas con un voto di sfiducia.

C’è una residua speranza? Sì, il voto storico in Georgia degli afroamericani preparato da una vasta mobilitazione sociale, la protesta diffusa delle minoranze e del Black Lives Matter; i movimenti per i diritti delle donne e sociali, la richiesta di socialismo ormai di casa nelle fila democratiche e ora anche al Congresso. Questa è la democrazia che può difendere la democrazia stessa. Che non sta sulla canna dei fucili, né nel mondo né negli Stati Uniti.

Ci fu un tempo, un’altra grande crisi, in cui non mancarono pulsioni di estrema destra, ma alla quale Roosevelt seppe rispondere con una svolta, un cambio di paradigma, un New Deal imperniato sulla costruzione dello stato sociale, sulla forza del movimento operaio, sull’orientamento a sinistra di gran parte degli artisti e degli intellettuali. Le condizioni sono cambiate (e abbiamo contribuito anche noi a smontarle), ma c’è bisogno di un salto di immaginazione dello stesso tipo e della stessa ampiezza, un diverso New Deal capace di cominciare a ricomporre il paese.

Abbiamo bisogno di veri cambiamenti che riguardino le tasse, il sistema sanitario, l’economia, il sostegno offerto alle classi disagiate. La lotta contro la diseguaglianza è la più solida messa in sicurezza della democrazia.

LUCA PAROLDO BONI

24 gennaio 2021

foto: screenshot

categorie
Luca Paroldo Boni

altri articoli