La “geopolitica” alla ribalta della scena mondiale

Questo articolo si propone di dare alcune delucidazioni di qualche serietà su questa materia, fino a due mesi fa, campo di elezione di pochissimi specialisti. Si prenda una carta...

Questo articolo si propone di dare alcune delucidazioni di qualche serietà su questa materia, fino a due mesi fa, campo di elezione di pochissimi specialisti.

Si prenda una carta politica dell’Europa d’oggi, dove s’incrociano le frontiere di oltre cinquanta Stati e staterelli, e la si confronti con quella del 1914, dominata da pochi imperi, o anche del 1949, quando il continente era diviso dalla “cortina di ferro”.

Con la crisi del paradigma ideologico della guerra fredda sono emersi latenti conflitti territoriali che le contrapposte ideologie imperiali tenevano ben dissimulati.

L’attuale acuta conflittualità del sistema internazionale non va attribuita ad una presunta natura matrigna dell’uomo, la cui eventuale pericolosità viene accentuata dal presidenzialismo, istituzione catastrofica come forma governo, che accentra in modo abnorme il potere, a maggior ragione in paesi con scarsa dimestichezza democratica, quanto ad una banalissima tendenza spaziale: la progressiva differenziazione dei contesti geografici.

Più si procede nel rinvenimento di nuove risorse naturali e più aumenta il differenziale di valore economico fra i luoghi della terra. Le diversità tra le società umane, dal canto loro fanno lo stesso. Differenti sistemi di valori e condizioni di vita esasperano le differenze fra le idee del mondo in maniera sempre più inconciliabile e la stessa pace viene concepita secondo diversi codici culturali.

L’appannamento del modello multilaterale a partire dalla inefficacia dell’ONU nel risolvere le controversie e dare risposte efficaci alla necessità di ordine del mondo, ha favorito un sistema internazionale senza regole dove la forma più comune di soluzioni delle tensioni è diventato lo scontro, sia esso militare, diplomatico, o commerciale.

La geopolitica precisando le grandi aree culturali in contrapposizione giunge a identificare i futuri territori di scontro del pianeta, cioè le sue linee di faglia determinate dal loro differenziale geopolitico che nel caso dell’Ucraina è stato generoso: affaccio strategico sul Mar Nero, interposizione inaggirabile tra Europa e Russia, fertile granaio, fornitissimo sottosuolo per centri industriali primari. In quelle aree popolate da collettività attratte da più modelli culturali distinti si scaricherebbero le tensioni internazionali in forma violenta.

L’Ucraina è proprio su una di queste linee, soggetta quindi alle influenze di culture espressione di due potenze opposte, quella russa e quella occidentale.

Molti attribuiscono la paternità di questa disciplina a Friedrich Ratzel, geografo e etnologo tedesco. Ratzel traeva dal darwinismo geografico gli elementi per una concezione biologica tendente a istituire una similitudine tra gli stati e le creature viventi con i loro habitat e necessità di reperimento di risorse, insomma uno spazio vitale; un uso della geografia definito “attivo”, direttamente connesso all’azione del potere politico sui territori.

Dopo la seconda guerra mondiale la geopolitica fu quasi abbandonata sia in Europa occidentale sia nei Paesi di impostazione socialista, perché bollata come “pseudo-scienza nazistoide”. Sebbene verso la fine del secolo scorso, nell’Occidente trionfante, in nome di un “mondo piatto” omologato dalla liberaldemocrazia e dal libero mercato si volle prevedere una tendenza alla eclissi dello Stato, la geopolitica  è tornata ad essere studiata con interesse a causa dello slittamento dell’asse politico-economico dalle grandi potenze occidentali verso quelle mediorientali e asiatiche e alla crescita di colossi come India e Cina.

La geopolitica è una disciplina che studia le relazioni tra la geografia fisica e l’azione politica. La notorietà di questa disciplina deriva dalla capacità attribuitale dai suoi cultori che dalla disposizione dei fenomeni nello spazio derivi almeno una parte dei comportamenti politici, e che perciò, in base all’analisi di quella disposizione, sia possibile interpretare gli eventi verificatisi e prefigurare scenari futuri; la si potrebbe definire una sorta di coscienza geografica dello Stato.

La geopolitica ha problemi di solidità disciplinare, debolezza epistemologica, illimitatezza tematica; non è scienza, non possiede leggi. È studio di casi specifici la cui pregnanza euristica delle analisi deriva dalla capacità di mettere a confronto i punti di vista in competizione, non di affermarne la verità di uno; non è quindi patrimonio di una dottrina politica.

Più modesta di quelle discipline che intendono ambiziosamente pacificare il mondo, la geopolitica si limita a cercare di comprenderlo studiando le ragioni degli scontri.

Ha un lessico di base di cui ne fanno parte “regione strategica”, “proiezione di potere”, “sfera di influenza”, “ordine globale” etc. Fra le tante espressioni due dominano il suo vocabolario: “rimland” e “heartland”, rispettivamente margine esterno ed entroterra.

L’Ucraina è già heartland, come lo sono Kirghizistan, Bielorussia e Georgia. Il pericolo quindi è penetrato nel cuore dello heartland e questo la Russia non potrà mai accettarlo, a livello psicologico, prima ancora che militare.

La Russia non è una potenza globale ma è più assimilabile ad un impero. Fuori dal proprio ambito può svolgere azioni di disturbo per rivendicare uno status mentre si comporta diversamente nel proprio estero vicino in cui non tollera, come ogni impero, interferenze. Non è un problema di maggiore quantità di spazio rivendicato ma di qualità di spazio, a cui non vuole rinunciare.

La geopolitica analizza i conflitti di potere in spazi e tempi determinati. Per questo incrocia nel suo ragionamento competenze e discipline diverse: dalla storia alla geografia, dall’antropologia all’economia.

Il suo campo di applicazione si è ampliato: accanto al tradizionale ambito delle relazioni inter e sovrastatali, per il quale il riferimento obbligato continua a essere lo Stato, sono apparsi i problemi dei gruppi etnico-linguistici, i temi demografici e dello sviluppo umano, con speciale riguardo ai flussi migratori e alla diffusione del benessere, le questioni relative all’allocazione delle risorse, la gestione delle forme di regionalizzazione amministrativa ed economica, la circolazione di materie prime, capitali, informazioni; lo studio della competizione per le risorse naturali, le politiche ambientali.

Ma oggi è soprattutto carica di storia. Gli attori geopolitici ricorrono alla storia, interpretata in vista della conferma del proprio status e dei correlativi progetti territoriali, per legittimare se stessi e le proprie azioni.

La retroversione del presente cerca selettivamente e strumentalmente nel passato le prove della propria visione. Ecco riapparire magicamente, a partire dalla fine della guerra fredda, spazi e miti un tempo consegnati alla storia. Così Putin è lo ‘’zar’’ che intende salvare l’impero russo dalla disgregazione finale, Erdoğan il sultano reinventore dello splendore ottomano, Orbán il ricostruttore della Grande Ungheria amputata nel 1920 dal Trattato del Trianon e così via.

La guerra in Ucraina è la distruzione del sogno di chi profetizzava la fine del vincolo territoriale nelle guerre moderne e proclamava che le nuove poste in palio delle tensioni internazionali avrebbe avuto carattere despazializzato e immateriale (dai princìpi ai bitcoin) senza correre rischi vitali.

La potenza, diretta e come espressione di sfera di influenza, invece si misura ancora, come è sempre stato, in chilometri quadrati.

L’uomo resta animale territoriale. I nostri spazi di esistenza restano contendibili.

LUCA PAROLDO BONI

14 maggio 2022

foto tratta da Pixabay

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