Contrordine, camerati. Dopo aver passato due giorni a sostenere su Facebook l’innocenza dei Nar condannati per la strage di Bologna, dopo essersi paragonato a Giordano Bruno ed essersi detto pronto ad ardere sul rogo nel nome della verità, dopo aver accusato le «massime autorità dello Stato» di conculcare la giustizia, ieri mattina Marcello De Angelis ha chiesto scusa.

In parte, cioè, pur ribadendo che i giornalisti non perdono occasione per infangare il suo onore, il comunicatore «istituzionale» del presidente del Lazio ha ammesso che la sua «unica certezza» sul 2 agosto 1980 «è il dubbio» e che – meno male – nutre «il massimo rispetto per il Quirinale e le istituzioni» oltre che per le vittime, per i loro familiari e per la magistratura, «composta da uomini e donne coraggiosi che si sono immolati per difendere lo Stato e i suoi cittadini». È così che, scrive De Angelis, arrivano «le mie profonde scuse nei confronti di chi io possa aver anche solo turbato esprimendo le mie opinioni».

Certe opinioni, peraltro, non sono affatto minoritarie a destra, tant’è vero che ancora si vagheggia l’esistenza di nuovi documenti e si spinge per fare commissioni parlamentari d’inchiesta alla ricerca di prove per una pista che non sia quella neofascista. Tuttavia, ammette il portavoce, alcune affermazioni «possono essere fraintese», soprattutto in un post di Facebook, al quale andrebbe perdonata «l’enfasi di un testo non ponderato, ma scritto di getto sulla spinta di una sofferenza interiore che non passa ed è stata rinfocolata in questi mesi».

Il weekend nero dell’ex Terza Posizione (ed ex fuggitivo a Londra, ex cantante del gruppo fasciorock 270 Bis, autore in gioventù dei versi «E io ho il cuore nero / E me ne frego e spunto in faccia al mondo intero», ex deputato del Pdl ed ex direttore del Secolo d’Italia) si chiude con un clamoroso passo indietro: la disponibilità a farsi sbranare dai leoni per difendere la propria eresia, a conti fatti, è durata sì e no 48 ore e tutte le richieste di dimissioni piovute da ogni dove sono destinate ad essere respinte, anche se le opposizioni in regione chiedono un confronto in aula.

Eppure le cose sembravano essersi messe male per De Angelis, scaricato persino dai suoi, più per questioni di opportunità che per altro, visto che la sua linea sulla strage di Bologna è la stessa sostenuta da FdI fino a pochissimo tempo fa. Però, ecco, nel percorso di normalizzazione istituzionale che Giorgia Meloni sta portando avanti a tappe forzate non c’è spazio per uscite del genere né per il tritacarne mediatico che ne deriva, tanto più se al centro c’è un personaggio come De Angelis, uomo dal passato (per così dire) ingombrante e cognato di Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva per la bomba del 2 agosto.

È stato Rocca in persona, ieri mattina, a rendere esplicito quello che sapevano tutti: «Io mi sento con la Meloni spessissimo, abbiamo avuto modo di sentirci, ma velocemente: mi ha chiesto di approfondire, di chiarire e sicuramente non era felice per quanto accaduto». Anche qui, non è tanto un fatto di merito quanto di metodo: De Angelis ha sbagliato, ma «si tratta di una sua posizione personale» (cosa quantomeno buffa per un portavoce) e comunque il suo ruolo in regione non è politico ma istituzionale, dunque nessun imbarazzo.

La linea ufficiale è quella stampata da «Ore Otto», il mattinale compilato dall’ufficio stampa di FdI ad uso e consumo dei parlamentari per orientarsi nel dibattito pubblico senza fare troppi danni: rispettare le sentenze, la verità su Bologna «è acclarata», ma chiedere il licenziamento di De Angelis denota una mentalità «comunista e sovietica».

Segue il contrattacco: se «il coinvolgimento di esponenti della destra neofascista è acclarato come verità giudiziaria e i rappresentanti delle istituzioni hanno il dovere di riconoscere e rispettare questa verità» si può aggiungere che «non altrettanto ha fatto la sinistra quando c’è stata qualche sentenza a loro non gradita. Una per tutte la condanna del sindaco di Riace, Mimmo Lucano».

Non c’entra niente, ma tanto basta per assolvere De Angelis. Previa abiura. Perché l’onore, la verità e la giustizia sono importanti, ma evidentemente c’è qualcosa che conta anche di più.

MARIO DI VITO

da il manifesto.it

foto: screenshot tv