Il principio si può condividere. Tra le novità previste dal disegno di legge Nordio, l’obbligo di ascoltare l’indagato prima di imporgli una misura cautelare e la competenza collegiale (non più monocratica) sul carcere preventivo possono essere considerati un passo in avanti. Ma persino negli uffici del ministero c’è preoccupazione sul modo in cui questi principi riusciranno a essere concretamente applicati. Si parte da un dato problematico: la pianta organica della magistratura presenta diverse scoperture.

Per stare solo alle figure coinvolte da questo aspetto della “riforma”, manca oggi negli uffici giudiziari italiani il 14,5% dei giudici in organico. Al punto che, come dice una fonte in via Arenula, «abbiamo trovato quelli che preparano le bozze ma non abbiamo quelli che scrivono le sentenze». Il riferimento è ai nuovi ingressi nell’ufficio del processo, uno strumento previsto nel Pnrr (che invece non stanzia risorse per assumere magistrati) che dovrebbe servire a ridurre i tempi della giustizia.

Il problema principale, adesso, è che moltiplicando per tre il numero dei giudici competenti per l’arresto preventivo (oggi lo decide il solo gip), Nordio triplica anche le incompatibilità: nessuno di quei giudici potrà più pronunciarsi nel merito. Nei tribunali di medie dimensioni, dove lavorano tra i venti e i trenta giudici, è più che un problema, è un disastro annunciato. Nei tribunali piccoli, si prenda il caso di Urbino dove i giudici sono sei, presidente compreso, è semplicemente una novità impossibile da applicare.

Il ministro lo sa e infatti nello stesso disegno di legge ha previsto un aumento di organico di 250 giudici di primo grado (non tutti destinati al nuovo collegio gip). E ha indicato in due anni (dall’approvazione della legge) il tempo necessario a metterli in servizio: fino ad allora questa parte della la “riforma” resterà congelata. Ma anche questo non basterà.

Non si tratta infatti solo di ingaggiare nuovi giudici – in un numero che è più o meno pari ai magistrati collocati fuori ruolo, lontani cioè degli uffici giudiziari – , si tratta soprattutto di farli arrivare lì dove servirebbero davvero a limitare il problema delle incompatibilità. Cioè nelle sedi piccole e medio piccole. Che però, contemporaneamente, il governo immagine di aumentare, tornando indietro rispetto al taglio della geografia giudiziaria deciso nel 2012.

I piccolissimi tribunali piacciono molto agli avvocati e trovano ascolto anche al ministero, sia il sottosegretario Delmastro che il ministro Nordio si sono espressi a favore. La Lega ha presentato l’unico disegno di legge sul tema e va oltre la riapertura dei vecchi uffici: inventa un tribunale tutto nuovo, il «tribunale della Pedemontana».

Due anni, poi, rischiano di non bastare per mettere al lavoro i nuovi giudici. Ora si fanno più concorsi per magistrati, forse addirittura troppi perché c’è chi partecipa più volte in attesa di conoscere l’esito e ci sono casi di vincitori di più concorsi. Nel testo del nuovo disegno di legge si parla adesso di un concorso per i nuovi 250 giudici di primo grado da bandire nel 2024 e da tenere l’anno successivo.

Purtroppo però ci vogliono in media quattro anni dal momento in cui il concorso viene bandito a quello in cui i giudici, dopo il tirocinio, entrano effettivamente in funzione. E allora per evitare il disastro delle incompatibilità, le novità del disegno di legge andrebbero tenute ferme quattro, non due anni. Oppure bisognerebbe legare la nuova disciplina più rigorosa sulle misure cautelari all’effettivo ampliamento di organico. Probabile che alla camera, dove il testo comincerà il suo iter, arriveranno questi emendamenti.

ANDREA FABOZZI

da il manifesto.it

Foto di Sora Shimazaki