Ben 72 su 95 capoluoghi di provincia italiani censiti superano i livelli di inquinamento fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Allo stesso tempo, 29 città sono fuorilegge rispetto alla molto più lasca normativa italiana sulle polveri sottili. L’inquinamento atmosferico continua a essere molto forte, specie lungo la pianura Padana, producendo costi sociali e sanitari fortissimi.

Il quadro è mostrato dai dati del rapporto annuale di Legambiente «Mal’Aria di città 2023: cambio di passo cercasi» che partono con una clamorosa constatazione che rende bene l’idea di quanto il nostro paese sia ambientalmente arretrato: «Non è stato possibile recuperare e analizzare i dati per le regioni Abruzzo, Basilicata e Campania».

A guidare la classifica delle città più inquinate superando il limite dei 35 giorni di sforamento previsti per le famigerate Pm10 è Torino (centralina Grassi) con 98 sforamenti, seguita da Milano (Senato) con 84, Asti (Baussano) 79, Modena (Giardini) 75, Padova (Arcella)e Venezia (Tagliamento) con 70, limitandosi solo a quelle che hanno doppiato il numero di sforamenti tollerati dalla norma.

Anche per le Pm2.5 – il cosiddetto «particolato fine» caratterizzato da lunghi tempi di permanenza in atmosfera e in grado di penetrare più in profondità nell’albero respiratorio umano – la situazione di criticità è analoga. Delle 85 città di cui si aveva a disposizione il dato, ben 71 (l’84% del campione) nel 2022 hanno registrato valori superiori a quelli previsti al 2030 dalla prossima direttiva europea. Monza (25 nanogrammi per metro cubo), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (23), Alessandria, Bergamo, Piacenza e Torino (22), Como (21) sono le città che di fatto ad oggi doppiano quello che sarà il nuovo valore di legge (10 nano grammi per metro cubo).

Situazione molto negativa anche per quanto riguarda il biossido di azoto (NO2) – inquinante molto pericoloso prodotto dal traffico veicolare e dagli impianti di riscaldamento – : sono 57 su 94 (il 61%) le città che, pur non superando il limite attuale, nel 2030 saranno fuorilegge (20 nanogrammi per metro cubo), con le situazioni più critiche registrate a Milano (38 nanogrammi per metro cubo), Torino (37), Palermo e Como (35), Catania (34).

I dati portano Legambiente a denunciare come «le città italiane sono lontane dagli obiettivi da raggiungere nel giro dei prossimi sette anni»: per il Pm10 le città più lontane dall’obiettivo sono Torino e Milano (43%), Cremona (42%), Andria (41%) e Alessandria (40%). Per il Pm2.5 sono lontanissime Monza (60%), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (57%), Bergamo, Piacenza, Alessandria e Torino (55%), Como (52%), Brescia, Asti e Mantova (50%) che dovranno più che dimezzare le concentrazioni attuali.

Per il biossido di azoto le città più indietro sono ancora Milano (47%) e Torino (46%), seguite da Palermo (44%), Como (43%), Catania (41%), Roma (39%), Monza, Genova Trento e Bolzano (34%) che dovranno ridurre di oltre un terzo le attuali concentrazioni. Stando «alle tendenze di riduzione registrate negli ultimi 10 anni, potrebbero impiegare mediamente altri 17 anni per raggiungerlo. Il 2040 anziché il 2030. E Città come Modena, Treviso e Vercelli potrebbero metterci oltre 30 anni!», denuncia Legambiente. Anche per «il biossido di azoto la situazione è analoga e una città come Catania impiegherebbe più di 40 anni a risanare l’aria».

Per «cambiare passo» Legambiente lancia sei proposte. Si parte con il passaggio dalle attuali Ztl (zone a traffico limitato) alle Zez (zone a zero emissioni). La seconda riguarda i Lez (low emission zone, zone a bassa emissione) anche per il riscaldamento: «serve un grande piano di riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica e privata, incentivare una drastica riconversione delle abitazioni grazie a misure strutturali, come il Superbonus, opportunamente corretto dagli errori del passato come gli incentivi alla sostituzione delle caldaie a gas».

La terza guarda al «potenziamento del Trasporto pubblico e Trasporto rapido di massa (Trm) quadruplicando l’offerta di linea e la promozione di abbonamenti integrati.

E ancora: sharing mobility (incentivare la mobilità elettrica condivisa e realizzare ulteriori 16mila km di percorsi ciclabili invece azzerati dall’ultima legge di bilancio); ridisegnare lo spazio pubblico urbano a misura d’uomo, «città dei 15 minuti», sicurezza stradale verso la «Vision Zero», «città 30» all’ora seguendo l’esempio di Cesena, Torino, Bologna e Milano; tutto elettrico in città, anche prima del 2035, grazie alla progressiva estensione delle Zez, alla triplicazione dell’immatricolazione di autobus elettrici e l’istituzione dei distretti Zed (Zero Emissions Distribution) lasciando entrare solo veicoli merci elettrici.

Un piano che, considerando la sensibilità ambientale della maggioranza di destra, appare una sfida politica totale che va supportata con la mobilitazione di tutti.

NINA VALOTI

da il manifesto.it

Foto di Life Of Pix