La guerra contro i curdi finisce in decima pagina

Non produce ancora abbastanza morti e genocidi la guerra scatenata dalla Turchia di Erdogan contro i curdi del Rojava per guadagnarsi ogni giorno la prima pagina dei giornali italiani....
Manifestazione curda per il presidente Ocalan a Kobane

Non produce ancora abbastanza morti e genocidi la guerra scatenata dalla Turchia di Erdogan contro i curdi del Rojava per guadagnarsi ogni giorno la prima pagina dei giornali italiani. Si va su altro: dai cento anni di carcere inflitti ai leaders catalani fino alla mancata copertura per la finanziaria che il cosiddetto governo “giallo-rosso” dovrebbe annunciare, nei suoi provvedimenti essenziali, a breve.

Per avere titoli sempre da prima pagina dovrebbe diventare una sorta di guerra “mondiale“, come ai tempi dei conflitti che scoppiavano al centro del Golfo Persico, allorché con vari pretesti, gli Stati Uniti e le sante coalizioni che vi si radunavano attorno (Italia compresa) si disponevano con portaerei e battaglioni di marines ad invadere l’Iraq e a ricacciare la guardia repubblicana di Saddam Hussein oltre la regione di Bassora, puntando verso la città delle Mille e una notte, diritti verso Baghdad.

Poi succedeva che, ottenuto il controllo delle principali fonti petrolifere, le guerre finivano a metà, i dittatori non venivano rovesciati e si rimandava il tutto ad una eventuale nuova guerra che, magari lasciati passare due lustri, pronta veniva servita su un piatto d’argento da un ennesimo pretesto, fomentato in tutti quegli anni: armati i talebani di tutto punto, creati dei mostri per equilibri geopolitico-economici nella zona afghana, messe sotto attacco le Torri gemelle da questi ultimi, ecco una seconda guerra e, questa volta, un Iraq tutto occupato, distrutto nella sua integrità territoriale, sociale e politica.

Il Medio Oriente è, ad oggi, forse la zona veramente più “calda” del Pianeta in quanto a intersecazione di conflitti che originano dalla fine dell’Impero Ottomano e che sono aumentati nel tempo con l’insediamento israeliano in Palestina, con i conflitti tra Iran e Iraq, con le differenti alleanze che si sono create tra sauditi ed emirati meridionali, con collegamenti più o meno diretti con bande armate come quelle del califfato nero del Daesh e, dall’altra parte gli stati sovrani impegnati disinnescare queste bombe terroristiche con alle spalle le grandi potenze mondiali: Russia e Stati Uniti.

Difficile riconoscere chi sta dalla “parte giusta” in un tale contesto.

Solo i curdi, in tutto questo scenario complicato e pieno di nodi gordiani, erano riusciti a discostarsi da tirannie residue, egemonizzazioni imperialiste americane ed ex sovietiche, tentativi di infiltrazione di formazioni teocratiche nell’amministrazione dei territori da loro liberati in Siria e in Iraq.

Solo i curdi avevano ed hanno creato un esperimento di democrazia confederativa sociale che aveva unito princìpi di socialismo ad un municipalismo libertario molto pericoloso per tutte le potenze che si contendono la ricchezza geostrategica rappresentata dal confine tra Turchia, Siria e Iraq.

In pratica, proprio il cuore del Kurdistan è diventato veramente il centro delle ostilità nuove che quotidianamente stiamo raccontando e a cui assistiamo passivi, capaci solo di manifestare la nostra solidarietà alle YPG e alle YPJ combattenti con presìdi di piazza, cortei e un continuo non calare l’attenzione su quanto avviene un poco più a nord della Mezzaluna fertile babilonese.

Invece, i giornali italiani, ad iniziare da alcuni giorni, hanno smesso di mostrare le foto delle atrocità compiute da Ankara appena varcato il confine siriano. I bollettini di guerra più veritieri e verificati con fonti presenti sul campo, si hanno dal sito italiano della Rete Kurdistan (che vi invitiamo a leggere e a diffondere).

Se è anche vero che in tempo di guerra la prima vittima è proprio la verità, voi comprenderete che è molto difficile potersi affidare all’informazione turca per seguire una aggressione imperialista che il presidente Erdogan chiama “Sorgente (o “Fonte”) di pace“…

Se si mente già nel chiamare col loro nome i fondamenti della guerra stessa, quindi chiamando guerra la guerra, aggressione l’aggressione, e invasione l’invasione e ci si definisce per l’appunto “portatori di pace“, allora viene istintivo schierarsi non solo dalla parte dell’aggredito e del più debole, ma apprendere da lui quanto avviene: cum grano salis, verificando le fonti, intrecciandole fra loro e dal confronto trarre quel minimo indispensabile di veridicità necessaria per capire cosa accade, in che termine e quanti morti tocca contare ogni giorno…

Ma, del resto, un senatore come Tacito, esimio storico, già lo diceva: la guerra è un deserto e quel deserto fatto di cadaveri sparsi in terra, a tappeto di una terra lordata di sangue di popoli che potrebbero invece vivere l’uno accanto all’altro, quel deserto oggi pieno di buche, di case distrutte e atterrate, senza un orizzonte definibile, quel deserto continuiamo a chiamarlo come ai tempi della Roma dei Cesari: pace.

I curdi sono vittime più della loro pace, quella della società che hanno provato a creare in questi anni di lotta al Daesh, piuttosto che della guerra crudele e sanguinaria di Erdogan. Sono vittime di una speranza di libertà che non intendono lasciar morire e che difenderanno, giustamente, anche attraverso tattiche come quella messa in campo in queste ore: il patto con la Siria, con Assad per respingere un vero e proprio tentativo di olocausto nel Rojava.

Noi dobbiamo avere come imperativo morale, politico ed anche civile il mantenere viva l’attenzione su tutto quanto sta avvenendo: ciò non significa dimenticare i fatti pietosamente miserevoli di casa nostra, della cara Italia dove tiene banco un dibattito televisivo tra Matteo Salvini e Matteo Renzi.

Ma, forse, alla guerra mediatica, fatta per risollevarsi nell’agone politico da parte di uno e per innescare nuovi odi sovranisti che, come si può anche evincere dalle amministrative ungheresi, alla lunga pagano davvero poco. Ma nell’immediato comunque funzionano, eccitano, esaltano le cattiverie che ognuno di noi sedimenta dentro i propri travagliati animi intrisi di pregiudizi e di precostituzione di alibi per rovesciare sugli altri le colpe delle disavventure nazionali e degli accadimenti internazionali.

Le guerre, ormai siamo tornati a saperlo, nonostante la Storia in questo avrebbe dovuto esserci ampiamente maestra in saecola saeculorum…, trascinano dietro loro milioni di disperati che fuggono dalle distruzioni: attendetevi dunque gli occhi extraorbitanti di una fascista e l’ugola declamante di un altro fascista moderno (travestito da nazionalista) esprimersi a vario titolo e modo e dire che i porti sono chiusi.

Peccato che chi stia ricattando l’Europa con l’apertura delle frontiere per milioni di migranti curdi sia proprio il loro esatto ritratto politico turco, un signore che dorme bene la notte nonostante abbia ordinato l’ammazzamento di un popolo intero.

Anche per questo, stare con i curdi e con il Rojava in lotta è oggi una forma di lotta di classe, una chiara opposizione all’autoritarismo moderno, alla repressione etnica, per dimostrare al mondo che l’autogoverno dei popoli è possibile e che gli Stati si possono superare mantenendo comunque l’identità di “nazione” nell’essenza stessa della comunità confederata: libera, democratica e sociale.

MARCO SFERINI

15 ottobre 2019

foto: screenshot

categorie
Marco Sferini

altri articoli