Da decenni scriviamo contro ogni guerra e, di conseguenza, a favore di ogni salvezza e accoglimento per chi dalla guerra fugge in cerca di una nuova possibilità di vita. Così, di fronte all’«ultima» strage a mare di migranti viviamo uno sconforto di rabbia e impotenza che ci fa dire che, ormai, scrivere è solo epigrafe.

Di fronte all’evidenza delle responsabilità, sarebbe bastato un silenzio pietoso per gridare l’umanità sepolta nei cimiteri marini del Mediterraneo.

Invece no. Stavolta c’è un governo che straparla, giustifica e colpevolizza senza vergogna le vittime, e così facendo è come se rivendicasse, come un monito necessario, la strage di Cutro di persone annegate a cento metri dalla riva, dove il numero dei morti senza nome cresce di ora in ora.

«Non strumentalizzate questi morti» ha gridato nervosa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: possibile che non comprenda che con queste parole tradisce un malcelato senso di colpa? E poi c’è il barbaro in giacca e cravatta Piantedosi, che ripete convinto la sua litania funebre anche sul luogo del relitto: «L’unica cosa che va affermata è che non devono partire». Ma da dove partono e perché gli uomini, le donne e i bambini naufragati a Cutro? Sono partiti da Smirne, da quella Turchia riempita di miliardi di euro proprio perché bloccasse gli arrivi in Europa di centinaia di migliaia di esseri umani.

Spesso intrappolati senza scampo nell’inferno della rotta balcanica; dalla Turchia dell’ atlantico Erdogan ora alle prese con il disastro del terremoto e della marea umana di sfollati interni.

Ma queste persone, non «carichi residuali dove l’essere umano è equiparato a merce» ha ricordato in queste ore don Luigi Ciotti, fuggono anche dalla Libia dove un mese fa la presidente Meloni è andata a promettere la chiacchiera di un «piano Mattei», ma in sostanza ad incrementare lo scambio di mercato tra un nuovo accordo sul gas e nuovi aiuti e cinque motovedette alla «guardia costiera» – le milizie libiche – per fermare gli imbarchi «clandestini», confermando la Libia come «posto sicuro» quando per le Nazioni unite è il luogo del martirio dei migranti, raccolti in galere e campi di concentramento per l’avvio di un sistema concentrazionario che si vorrebbe esteso a tutta l’Africa.

Dove abbiamo esternalizzato le frontiere di una Europa che si considera ormai come fortezza.

E partono perché questa è la natura delle migrazioni epocali che viviamo: fuggono dalle troppe guerre che spesso abbiamo provocato noi, come in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, fuggono dalla miseria – quanto è ipocrita la distinzione dominante tra «profugo» e «migrante economico» – e dalle diseguaglianze, aspetti che ci riguardano perché spesso provengono da paesi, come quelli africani, poveri ma ricchissimi di materie prime che noi deprediamo per il nostro modello di sviluppo, fuggono dalle nuove devastazioni climatiche e ambientali dei loro territori. Ma per Piantedosi «non devono partire», ma aspettare «in sicurezza l’arrivo delle istituzioni».

Quali, come, dove, quando? La menzogna del ministro si fa soccorrere dalla citazione dei «corridoi umanitari», certo positivi ma una goccia nel mare rispetto alle necessità; solo uno Stato e una unione di Stati come l’Europa, potrebbe costruire una legale sicurezza istituzionale che non c’è – solo l’esperienza di Mare Nostrum è stata una alternativa, purtroppo cancellata.

Il governo Meloni è complice di questa tragedia. Ha approvato una legge che impedisce l’operatività delle Ong di soccorso in mare con un boicottaggio che rischia di preparare nuove tragedie e che – hai voglia a gridare al trafficante – apre la strada proprio alla criminalità organizzata che lucra sulla disperazione dei migranti.

Una legge scellerata, fondata sull’ideologia della «difesa dei confini nazionali», sovranista e nazionalista, che si schiera apertamente con i provvedimenti sui migranti delle democrature dell’est come Ungheria e Polonia, che alla fine è diventata una sorta di polizza assicurativa di ricatto per la residua Unione europea, sempre divisa sulla redistribuzione dei migranti in arrivo.

Adesso Meloni e Piantedosi invocano l’intervento immediato dell’Europa, ma solo due settimane fa tornavano confortati dall’ultimo Consiglio europeo.

Che ha approvato una visione che potremmo definire quella di un «Minniti collettivo»: costruire nuovi muri, finanziare iniziative di sorveglianza aerea e rafforzare il controllo delle frontiere, con acclamazione e fondi per i Paesi che lo faranno, più esternalizzazione delle frontiere (riecco Libia, Egitto, Tunisia) come pure delle procedure d’asilo e, soprattutto, grande spazio ai rimpatri, sia dai paesi Ue che da paesi di transito verso altri paesi terzi e verso i paesi di origine, con un’ulteriore arma di ricatto, come hanno denunciato le associazioni del “Tavolo Asilo e Immigrazioni”: la condizionalità dei fondi per lo sviluppo e delle politiche di commercio, cioè niente fondi a chi non rimpatria.

Una visione europea che non impedirà alle persone di rischiare la vita in cerca di sicurezza in Europa, mettendole ancor più alla mercé dei trafficanti di esseri umani.

Siamo ad un doppio fallimento dell’Europa che ora mette i muri pure alla solidarietà, usando un doppio standard tra profughi: ucraini di serie A e tutti gli altri ricacciati nel limbo. Siamo al «Minniti collettivo»: il ministro neocoloniale del Pd che nel 2017 con l’esternalizzazione delle frontiere e i fondi alle milizie libiche voleva fermare le migrazioni per impedire alla destra di strumentalizzarle e così mettere a rischio la democrazia.

Bene: le stragi in mare continuano, fermiamo «virtuosamente» la disperazione dei migranti violando i diritti umani, ma la democrazia non è salva e la destra estrema è arrivata al governo..

TOMMASO DI FRANCESCO

da il manifesto.it

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