Chi urla “grindaboð” e chi guarda i delfini giocare

Fino a poche ore fa, in quarantotto anni di vita, non avevo mai sentito parlare della Grindadràp. Poco male, dirà qualcuno: si ignorano talmente tante cose, tante persone e...

Fino a poche ore fa, in quarantotto anni di vita, non avevo mai sentito parlare della Grindadràp. Poco male, dirà qualcuno: si ignorano talmente tante cose, tante persone e tanti problemi che nemmeno la più nobile voglia di apprendere e conoscere potrebbe soddisfare una onniscienza riservata, del resto, soltanto alle divinità.

Ma ci sono cose, persone, situazioni, luoghi e fenomeni che sono paradigmi nell’oggi essendo veri e propri archetipi di un passato che non passa, che si trascina in un tragico futuro per il pianeta e per tutte le specie che lo abitano. Queste cose, persone, situazioni, luoghi e fenomeni andrebbero conosciuti come espressione apicale di un limite che – ci si augura – sia stato raggiunto: quasi sempre negativamente. E forse è l’unica buona notizia in cui si può sperare: l’impossibilità a fare peggio, ad andare ancora oltre.

Il nazismo e lo sterminio di milioni e milioni di persone in soli pochi anni di storia della Germania hitleriana, sono uno di questi paradigmi. Il fascismo pure. Lo stalinismo e tutte le torsioni autoritarie della bellezza libertaria del comunismo lo sono nei confronti del movimento anticapitalista dell’oggi e del domani.

Insomma, ognuno di noi ha il suo paradigmatico angelo custode che è l’esempio in negativo (o in positivo) che lo accompagna sempre nella vita, visto che non ci si può esentare dalla stessa e che pur qualche peso sulle spalle tocca portarlo, anche se intellettivamente e ideologicamente parlando.

Poi c’è chi il moderno supplizio di Tantalo, l’implacabile voglia di attingere ad una fonte del sapere che non estingue comunque le domande che ci poniamo davanti all’esprimersi di tanta brutalità e ferocia degli animali umani nei confronti degli altri animali. Ma conoscere è necessario, come affermava Primo Levi. Sempre. Perché dalla conoscenza proviene una parte della coscienza ed è importante non far regredire la nostra criticità primaria e di interessarla soltanto ad una superficiale osservazione dei fatti. Bisogna entrare nelle questioni che ci sono vicine e in quelle che ci sono molto lontane, perché il villaggio globale tutto si tiene e tutto si compenetra.

Così, ecco che la Grindadràp ci riguarda, nonostante noi non si viva nelle bellissime Fær Øer (Isole Faroe, in italiano). Avamposto vichingo, quindi danese, queste meravigliose terre dove troneggiano un bel po’ di vulcani, subiscono il contrasto di una tradizione millenaria che un tempo legava la mattanza di delfini e balene alla prova di crescita del giovane, una sorta di esame di maturità dell’epoca. Oggi questo contrasto diventa ancora più tinto di rosso, proprio come il mare che si è colorato del sangue dei millecinquecento mammiferi sventrati e sgozzati o barbaramente uccisi persino con dei trapani elettrici…

Se dovessimo santificare le tradizioni tutte, allora dovremmo anche prendere i nostri primogeniti, portarli su un altare costruito alla bell’e meglio e sgozzarli per placare le ire divine. Sacrifici umani e anche animali dovrebbero appartenere alle prime pagine della nostra ultramillenaria storia che chiamiamo pomposamente “evoluzione”, per sentirci tanto diversi dal primitivismo dei nostri lontani, lontani progenitori.

La specie umana, in questo 2021, anno secondo della pandemia covidiana, lotta contro sé stessa per affermare la supremazia di una propria parte sul restante della popolazione mondiale: qualcuno la chiama geopolitica e ne cerca le ragioni anche nelle tattiche di breve periodo o nelle strategie di più ampio raggio per un dominio globale che assicuri potere, ricchezza e benessere a chi diventa meritevole di avere tutto ciò per la forza che sprigiona militarmente grazie alla struttura economica che sostiene tutto il resto.

Ecco che la mitologia fa nuovamente il suo ingresso sulla scena di una attualità dove esistono ancora la schiavitù dei fanciulli, costretti a lavori degradanti e umilianti; il patriarcalismo in abbondanza, e non solo nelle cavernicole teocrazie afghane o iraniane, visto che “stati moderni” come l’Arabia Saudita non sono certo da meno in merito ai diritti delle donne nella vita di ogni giorno; i bambini soldato, addestrati ovunque vi siano aspiranti dittatori sostenuti da ricchissime compagnie petrolifere e da estrattori di ogni materia prima nella depredazione infinita del continente africano; il razzismo come stato di eccezione, come costituzione permanente soprattutto di finte democrazie che pretendono integrarsi nella “civilissima” Unione Europea; la discriminazione di genere e l’omotransfobia come coadiuvante dogmatico di certe religioni e di certe ispirazioni neonazi-onaliste.

L’elenco, ahinoi, non termina qui, ma ve ne è già in abbondanza per permettere di affermare che qualunque tipo di evoluzione sociale è impossibile finché perdurano tutta una serie di negazione di diritti fondamentali che gli umani attribuiscono solamente a sé stessi e che, invece, andrebbero presi in considerazione per tutta la popolazione mondiale: animale umana e animale non umana.

La nostra intelligenza, usata per lo più per creare tutti i presupposti atti a sostenere il dominio di un popolo su un altro, di una “razza” su un’altra e della nostra specie sulle altre, è lo spreco più grande che si possa fare, visto che nessun’altra parte della materia nell’universo conosciuto ci risulta essere arrivata al grado di complessità straordinaria che ci è proprio in quanto esseri umani. “Usata per lo più“, perché l’umanità ha fatto passi da gigante nei millenni in cui ha antropizzato il pianeta e lo ha ridotto a misura di sé stessa: ma sono quasi tutti passi compiuti a discapito degli altri esseri viventi e della natura stessa che ci permette di vivere, che ci compenetra e che ci include suo malgrado.

Dal caos universale, che tuttavia ha delle leggi inequivocabilmente evidenti nel prodursi e riprodursi di tutti i fenomeni che possiamo osservare, è venuta evolvendosi una molteplicità di vita che ha dell’incredibile: una possibilità di scavalcare la materialità stessa della materia che racchiude in sé differenti tipi di coscienza, di consapevolezza dell’esistenza propria e altrui.

Tra tutti questi esseri viventi, noi, la specie umana, siamo quella che più di tutte ha discernimento tra bene e male, tra giusto e ingiusto, grazie ad una proprietà intellettiva enorme rispetto al resto della vita esistente. Ma questo miracolo cerebrale, sensoriale, fisico e allo stesso tempo impalpabile, ancora oggi largamente inspiegabile, lo abbiamo utilizzato per privilegiare la nostra conservazione, evitando di pensare ad una vita in comune con gli altri animali e con l’ecosistema.

Quando abbiamo riflettuto su un ripristino dell’armonia comune sulla Terra, lo abbiamo comunque fatto mettendo sempre e soltanto noi stessi al centro del dibattito e del problema, facendo finta di evitare l’antropocentrismo, mentre lo utilizzavamo ancora come leva per uno sviluppo nel futuro dove l’umanità potesse salvarsi, nonostante l’estinzione di migliaia di animali, di tante specie fino ad oggi esistite.

Chi, nell’eco delle mitiche storie vichinghe, ancora oggi urla «Grindaboð» alle Isole Faroe e approfitta dello spirito di gruppo dei delfini, che non abbandonano mai un loro simile in difficoltà (a differenza di noi umani), e li aspetta, insieme alle balene, vicino alla riva per massacrarli a migliaia, spreca tutta l’intelligenza umana, n e fa un’arma di distruzione di massa. Un’arma con una carica inesauribile tanto quanto la ferocia che abita dentro al conscio tradizionalismo che va rispettato e che, forse un po’ inconsciamente, dimostra tutta la prepotenza umana nel dimostrarsi superiore, dominatrice e possidente di ogni vita esistente sul pianeta.

Una percezione di eccellenza che è peggio del razzismo, praticato solamente all’interno della propria specie. Una superiorità efferata, sterminatrice, che giustifica ogni atto con alibi che spaziano dal tradizionalismo autoctono alle leggi del mercato capitalistico che riduce tutto e tutti nel degradante stato di “merce“.

Dovremmo pensare ad un “salto di specie“, ad una evoluzione ulteriore che salvaguardi le qualità umane e le faccia diventare una ricchezza, un valore aggiunto per ogni abitante del pianeta, per il pianeta stesso. La natura ci sta già presentando un conto salato e non pagabile a rate. Ogni gesto è fondamentale, ma la sinistra, le forze progressiste e anticapitaliste hanno un obbligo morale che è anche politico: lavorare ad una ridefinizione delle rivendicazioni sociali, unificando i diritti di tutti, animali umani e animali non umani.

Senza la riformulazione dell’anticapitalismo in una lotta contro lo specismo e l’antropocentrismo, non sarà possibile una vera liberazione umana e non sarà possibile nessuna “transizione ecologica” di sorta. Liberarci dal razzismo entro la specie umana e dallo specismo entro la totalità dell’esistenza cosciente, della vita sulla Terra. Soltanto così anche l’umanità avrà una possibilità di sopravvivere. Insieme a tutti gli esseri che, se non ci fossimo noi, oggi vivrebbero meglio, decisamente molto meglio.

Chi grida «Grindaboð» e chi guarda i delfini giocare nel mare sono due umanità diverse. Scegliete a quale volete appartenere.

MARCO SFERINI

16 settembre 2021

Altri articoli sull’antispecismo

categorie
Marco Sferini

altri articoli