Un altro pezzo di un nuovo “Manifesto”

Ho visto l’ultimo film di Ken Loach “Sorry We Missed You“. Scordatevi di trascorrere una serata divertente: non lo è e Loach non vuole che lo sia. Il cinema...
Kris Hitchen nel ruolo di Ricky in "Sorry We Missed You" di Ken Loach

Ho visto l’ultimo film di Ken Loach “Sorry We Missed You“. Scordatevi di trascorrere una serata divertente: non lo è e Loach non vuole che lo sia. Il cinema è anche riflessione, composizione artistica dell’esistente trasferita su pellicola per essere vista e rivista, massacrandosi anche l’animo o forgiando, con la ripetizione delle immagini, qualche sentimento di amore e di speranza, di gioia e di follia al tempo stesso.

Quella fatta da Loach non è solo un’opera di denuncia di un determinato tipo di lavoro nella brutalità del sistema capitalistico moderno. Si esce dallo schema del rapporto tra Ricky e la sua fatica, le sue quattordici ore passate tra carrelli con pacchi, scanner imperdibili, schede da compilare, interlocuzioni non proprio amichevoli con gli acquirenti e cani che lo rincorrono dentro ad una rimessa.

Loach prende l’ipersfruttamento dei corrieri delle grandi compagnie di vendita online per denunciare ancora una volta la potenza devastante del sistema capitalistico su ogni cosa, su ogni persona, su ogni aggregato sociale: dalla famiglia al gruppo di amici, dalla scuola alla conoscenza a due che si instaura sempre tramite il lavoro.

Sorry We Missed You” è certamente un pugno nello stomaco: per questo è la riaffermazione che Marx ed Engels fanno nel “Manifesto” sulla distruzione della famiglia e dei rapporti umani che il capitalismo porta avanti da secoli e che oggi raggiunge l’apice tramite la falsa trasparenza della bellezza delle consegne a domicilio.

La lotta dei riders, a questo proposito, è emblematica di un accanimento del ruolo di coloro che si spartiscono i dividendi dei profitti: nessuna etica può e potrà mai avere posto nel ruolo meccanicamente disumano del capitale. La funzione è quella: il padrone fa il padrone, il corriere fa il corriere.

Con una differenza: la disgregazione della famiglia del capitalista arriva da una consunzione per eccesso di noia per un tempo che si diluisce a dismisura, per eccesso di risorse, per contrasti proprio sul fondamento del potere: l’accumulo di ingenti patrimoni da spartire. La fetta più grossa e quella più piccola.

Invece la famiglia di Ricky rischia di andare in pezzi per la mancanza di tempo e la totale assenza di noia. Forse la noia coincide anche con la vita vera: ma una noia non dettata dall’indolenza, dal cullarsi nel dolce far niente; bensì dall’assenza di “tempo occupato“, quindi di sottrazione della vita alla vita stessa per consegnarne parte nelle mani del Maloney di turno che, va bene, esegue gli ordini ma che lo fa con rigore assoluto, senza empatia alcuna per i disagi dei dipendenti. “Intanto arriva sempre qualcuno con dei problemi in famiglia“.

La cultura di una piena realizzazione umana nella soddisfazione dei bisogni materiali uniti alla soddisfazione delle facoltà intellettive, morali e civili contro la contro-cultura dell’ozio che diventa il miglior alibi per un capitalista nel reclutamento di forza-lavoro concorrenziale tra chi rinuncia a fare un turno in più perché fisicamente impossibilitato o “perché la mia ragazza non vorrebbe“. L’elemosina della propria vita affidata al senso di colpa che il sistema genera in noi per farci sentire dei falliti, dei miserabili, degli abietti oziosi. Per l’appunto. Del resto, qualcuno aveva persino osato scrivere all’ingresso dei campi di sterminio e di concentramento: “Il lavoro rende liberi“.

Più grande è la menzogna vestita da buon proposito di verità, più feroce è l’inganno che vi si cela dietro.

Se volete capire perché è giusto, necessario e imprescindibile essere ancora comunisti, dovete vedere e far vedere “Sorry We Missed You“. E’, come altri film di Ken Loach, un capitolo nuovo ad un “Manifesto” moderno di un partito comunista tutto da ricostruire a livello tanto nazionale quanto internazionale.

Per la recensione vi rimando a quella scritta da Emanuele Sacchi di “Film TV”.

(m.s.)

foto: screenshot

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