Un po’ evento un po’ assemblea, Michele Santoro e Raniero La Valle scoprono le carte e si presentano al Teatro Ghione di Roma per annunciare la loro iniziativa in vista delle elezioni europee di giugno. La scommessa apparirà ardita, e assume anche i tratti dell’iniziativa un po’ calata dall’alto da un personaggio che ha una forte visibilità mediatica (siamo di fronte a un doppio deja vu quando scopriamo che le decisioni si prendono votando sulla sua piattaforma digitale, costo due euro al mese).

Ma Santoro conosce il linguaggio della comunicazione, ha capito che proprio il fatto di diventare un competitor alle urne rappresenta un fatto perturbante, l’elemento che scompagina. «Se non entriamo in campo noi, gli altri partiti, compresi quelli più sensibili al tema, non parleranno di quella che è la principale ragione di ciò che sta succedendo in Europa: la guerra», è il ragionamento.

Per i promotori, la guerra è il meta-tema, quello che contiene tutti gli altri e che attraversa ogni possibile rivendicazione, dai temi ambientali alle politiche sociali. Intravedono il rischio che per inerzia e quieto vivere i partiti maggiori finiscano per evadere la questione. Quanto alle forze alla sinistra del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle, chiedono loro di convergere su un simbolo elettorale caratterizzato dal no alla guerra.

Questa prospettiva già coinvolge Unione popolare e Rifondazione comunista, convince meno Sinistra italiana e le forze civiche ed ecologiste. Anche se Nichi Vendola, che molti vogliono in procinto di candidarsi se dovesse concludersi in tempo utile il processo che lo coinvolge per l’Iva, ha firmato l’appello di Santoro e La Valle. Si direbbe una forma di interlocuzione.

Il front man dice che è finito il tempo di stare a guardare, rivendica come un successo che i partecipanti all’evento si siano auto-tassati e assicura che non ha bisogno di simboli e aiuti dai partiti esistenti: «Se servirà raccoglieremo le firme, l’alta astensione dimostra che c’è un vuoto di rappresentanza». C’è il rapporto con il mondo del pacifismo, che in questi mesi si è battuto contro la guerra è che ha intravisto il rischio di strumentalizzazione elettoralistica. Santoro dice di rispettare quella galassia e la sua autonomia, ma rivendica: «Non possono pretendere di avere il monopolio del rifiuto della guerra».

Da questo punto di vista il progetto del teatro Ghione ha bisogno ancora di definirsi: se soggetto centripeto in grado di smuovere e forzare il superamento delle divisioni della sinistra radicale, se elemento di disturbo e pungolo per il dibattito o se nuova avventura destinata ad affiancarsi a quelle degli altri aspiranti ricostruttori della sinistra italica. Convenuti e iscritti alla piattaforma online di Servizio pubblico approvano la «presentazione di una lista per le elezioni europee e un programma con l’indicazione di alcuni punti programmatici da approfondire nei prossimi mesi».

C’è Ginevra Bompiani, con Alessandro Bergonzoni, Donatella Di Cesare e Vauro. C’è anche il carabinieri antimafia noto come Capitano Ultimo, che dopo aver fatto l’assessore nella giunta di centrodestra di Iole Santelli in Calabria dice di volersi batter per l’uguaglianza e rivendica il diritto alla resistenza.

E De Magistris, che rivendica il diritto degli ucraini di combattere: «Dobbiamo metterci insieme non mi appassionano le formule ma mi interessa unire chi non si fa comprare», dice l’ex sindaco di Napoli. «Dobbiamo rivendicare un’idea di Europa che sia all’altezza delle sue migliori tradizioni». Insieme agliambientalisti di Ultima Generazione e Friday fot Future, che da tempo vanno dicendo che le Europee saranno fondamentali, compare anche lo street-artist Jorit, protagonista dello scivolone del murale nella Mariupol devastata e occupata dai russi qualche settimana.

«Intraprendiamo un cammino, non stiamo decidendo niente di definitivo» dice Santoro chiamando in causa Massimo Cacciari e cercando di non circoscrivere il perimetro della lista. Il quale fa un discorso sulle disuguaglianze che emergono da anni «ci stiamo giocando la democrazia, che deve reggersi sul progressivo allargamento dei diritti.

«Non si fa politica senza organizzazione, bisogna lavorare senza settarismi», dice il filosofo ed ex sindaco di Venezia. «Non c’è un solo modo di fare politica» sostiene Raniero La Valle ricordando che «i fascismi sono nati dopo una guerra». E Cacciari chiede: «Perché l’Europa esclude a priori di non essere uno spazio imperiale come Cina e Usa?».

GIULIANO SANTORO

da il manifesto.it

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