Le parole di Mattarella e due proiettili di colore diverso…

Il Presidente della Repubblica, nel rivolgersi alle associazioni combattentistiche e d’arma, ha espresso storicamente molto bene le ragioni per cui un popolo e degli eserciti riuscirono a liberare l’Italia...

Il Presidente della Repubblica, nel rivolgersi alle associazioni combattentistiche e d’arma, ha espresso storicamente molto bene le ragioni per cui un popolo e degli eserciti riuscirono a liberare l’Italia dal nazifascismo, a «ricomporre l’unità nazionale per consegnarci un paese libero e democratico». Almeno questa era l’aspirazione che un po’ tutti, dopo la caduta del regime di Mussolini il 24 luglio del 1943, avevano e portavano avanti in contesti e forme molto, molto differenti fra loro.

Mattarella sottolinea che quel popolo fu un “popolo in armi” e che il desiderio era l’affermazione della pace dopo vent’anni di dittatura fascista e una rovinosa guerra mondiale. Una guerra che aveva raso al suolo mezza Europa, sterminato milioni e milioni di persone con l’intento genocida di annientare intere categorie sociali e appartenenti a comunità religiose, politiche o facenti riferimento ad un medesimo ceppo etnico.

Le rappresaglie contro i civili furono efferate e coinvolsero interi paesi, regioni. La morte era diventata uno strumento che superava i confini spregevoli della guerra stessa: non più tra combattenti in armi, ma contro la popolazione intera. Contro donne, anziani, bambini. Nessuno poteva dirsi al sicuro e nessuno, infatti, lo era.

Giustamente il Presidente evidenzia che proprio in questi ultimi due mesi «abbiamo assistito a scene di violenza sui civili, anziani donne e bambini, all’uso di armi che devastano senza discrimine, senza alcuna pietà». L’orrore si è impossessato delle nostre giornate, seppure indirettamente, tramite lo scorrere delle immagini in televisione, sui nostri computer e sui telefonini. E siamo stati costretti a fare i conti con una realtà che non pensavamo potesse scatenarsi quasi nel cuore della vecchia Europa, leggermente più ad est, ma comunque a soli duemila chilometri dalle nostre case, dalle nostre vite.

E dice ancora più giustamente Mattarella che «…la pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo». Termini, questi ultimi, che raramente si sentono pronunciati non soltanto dal Capo dello Stato ma anche da deputati, senatori e uomini e donne di governo.

La guerra in Ucraina ha imposto, anche ai più politicamente lontani e refrattari, l’utilizzo di categorie novecentesche, lasciate ad uso e consumo della sinistra cosiddetta “radicale” per una critica internazionalista, anticapitalista e altermondialista del sistema economico, politico e militare che di volta in volta si impone in diverse parti del pianeta.

E’ un bene che il Presidente abbia adoperato terminologie così precise, circostanziando una realtà che non merita l’ambiguità delle frasi di circostanza: perché la guerra tutto è fuorché ambigua.

Il discorso del Capo dello Stato non fa una grinza. Anzi, è straordinariamente esplicito, liberato dal protocollarismo delle parole più formali che sostanziali, ed arriva ad esprimere una condanna dell’aggressione russa all’Ucraina che non è materia di opinabilità, richiamando nel 25 aprile una festa della Liberazione che esprima il valore supremo della pace al di sopra di qualunque altra interpretazione.

Eppure “la Repubblica” ed altri grandi quotidiani nazionali hanno scritto una micro esegesi delle parole di Mattarella che tenta di piegarle all’interpretazione del rifiuto della cosiddetta posizione del “né – né“, la posizione pacifica (oltre che pacifista), quella che non vuole l’equidistanza morale nei confronti tanto dell’aggressore quanto dell’aggredito, ma che invece rivendica la terzietà di tutta una vasta parte dell’opinione pubblica, del mondo del volontariato, dell’associazionismo, della cultura e della politica che indica come via per la soluzione della guerra la fine stessa del conflitto, ma non mandando sempre più armi all’Ucraina, bensì attivando un percorso di trattative.

Secondo i quotidiani che sponsorizzano le posizioni guerrafondaie della NATO e degli Stati Uniti, la guerra pone fine alla guerra e la pace è solo una conseguenza e non invece il presupposto per mettere fine a qualunque conflitto.

Secondo i giornalisti de “la Repubblica“, le parole di Mattarella stroncherebbero ogni riferimento alla soluzione diplomatica immediata e, pertanto, si discosterebbero da quel 60% e più di italiani che non vede di buon occhio tanto l’invio di armi a Kiev quanto l’aumento delle spese militari a tutto scapito di quelle con cui si potrebbe invece finanziare ciò che veramente ci serve ogni giorno: scuola, sanità, assistenza sociale.

Persino il manifesto dell’edizione straordinaria della “Marcia Perugia – Assisi è diventato oggetto di critica isterica: sarebbe prigioniero della logica nefasta del “né – né“, perché quell’imperativo rivolto a tutti i contendenti sul campo di battaglia, quel “Fermatevi!” non lo si deve rivolgere se non ai russi. Se lo si esprime universalmente, un po’ come fanno il papa e il segretario generale dell’ONU, si diventa immediatamente passibili di essere sospettati di filo-putinismo.

E poi… poi sul manifesto ci sono due proiettili che sibilano volando tra una mamma e un bimbo impauriti. Uno è colorato di bianco e l’altro di nero. Che vorrà mai dire? Che un proiettile è buono e l’altro è cattivo? Che uno viene dall’Europa e l’altro è migrante dall’Africa?

Oppure sono due proiettili che vengono da due direzione opposte mentre in mezzo ci sono proprio quei civili che muoiono, quel popolo ucraino che finisce cadavere per le strade mentre gli imperialismi si scrutano, definiscono le prossime mosse e continuano a giocare una cinica partita della morte e dell’orrore sulla pelle di poveri innocenti. Centinaia di migliaia di civili intrappolati in mezzo a due eserciti: l’uno che attacca e aggredisce, certo, l’altro che attacca per difendersi, certo pure questo.

Ma pur sempre di due eserciti si tratta e quando si invoca la via diplomatica, non lo si fa con l’ingenuità idealistica di chi pretende di seguire la guerra dalla comoda poltrona del salotto o dietro alla tastiera di un computer. Lo si fa pensando che ogni pallottola che vola è una probabile vita in meno un secondo dopo.

Quando Mattarella si riferisce a della associazioni combattenti parlando del 25 aprile come una festa soprattutto di coloro che hanno voluto la pace, lo fa indicando nella Resistenza un movimento di popolo che non ha combattuto una guerra, ma ha messo in piedi e organizzato una lotta, grazie al grande contributo dei partiti antifascisti, contro la guerra stessa, per arrivare il prima possibile alla pace per una Italia esangue, priva di forze morali, materiali dopo cinque anni di disastri militari, di lutti e di deportazioni in massa di civili.

Quella lotta è stata fatta con le armi. Certo! Qui non si tratta di fare del pacifismo un feticcio, ma un principio da seguire e che non deve diventare umiliante, oggetto di ridicolizzazione e stigma nei confronti di chi rifiuta, senza alcun indugio, senza se e senza ma, di entrare in contatto con degli strumenti di morte. Anche il più intransigente dei pacifisti se aggredito si difende, quanto meno resiste. La resistenza non è mai “passiva“, come invece sostengono molti suoi detrattori: perché la resistenza è attività e lo è proprio nel momento in cui provoca, in chi vuole piegare il nostro volere, una reazione.

Le ragioni che possono differenziare la nostra contrarietà all’invio di armi in Ucraina e l’aumento delle spese militari sono, indubbiamente, non quelle del Presidente della Repubblica che in quel discorso ai combattenti non propone di mettere fiori nei cannoni, di spezzare i fucili e di fare un lungo corteo pacifista fino a Kiev.

Ma il Capo dello Stato, facendo più volte riferimento alla cooperazione tra i popoli e alla pace, non permette alla guerra di essere la sola protagonista delle sue parole: la condanna dell’imperialismo è evidente che è più che altro un sinonimo della condanna dell’aggressione di Putin all’Ucraina, piuttosto che un duplice riferimento tanto alla voglia espansionista russa quanto a quella americana e atlantica.

Non si pretende da Mattarella un discorso anti-imperialista fino ai confini della critica marxista e anticapitalista. Ma è molto importante che la pace sia stata tra i protagonisti di quelle frasi e che, soprattutto, sia stata letta storicamente come l’obiettivo primo ed ultimo dell’antifascismo e della lotta resistenziale di Liberazione.

Se il Capo dello Stato scrivesse al posto di alcuni giornalisti su “la Repubblica” e su altri quotidiani nazionali, ci saremmo risparmiati letture di caffè mattutini ed editoriali in cui la pace è obbligata a mascherarsi buffonescamente da maschera dell’illusione infantile di una sinistra utopista, radical-chic e salottiera.

E ci saremmo risparmiati, soprattutto, articoli in cui si disserta sul colore delle pallottole invece che sostenere un nuovo, nascente movimento per la pace che non vuole la resa di nessun popolo ma non ne vuole nemmeno l’immolazione sull’altare della sfida geopolitica delle grandi potenze mondiali…

MARCO SFERINI

23 aprile 2022

foto: particolare del manifesto della Marcia straordinaria “Perugia – Assisi” 2022

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