La tempestività con cui il presidente della Repubblica ha voluto rispondere all’appello di Roberto Salis, addirittura meno di 24 ore, dice molto su diversi aspetti della vicenda di Ilaria, la concittadina detenuta in Ungheria in attesa di giudizio in condizioni al di fuori degli standard europei. Ma induce anche una riflessione su tema più generale dei rapporti tra il governo e il Capo dello Stato e sulla riforma del premierato che stravolgerebbe gli attuali assetti.

Venerdì pomeriggio, dopo la provocatoria udienza a Budapest, il padre aveva annunciato l’invio di un appello a Sergio Mattarella chiedendogli di «smuovere il governo italiano perché non aveva fatto quello che doveva fare». La telefonata del presidente della Repubblica è arrivata ieri mattina, praticamente subito, e già questo è un modo per condividere l’affermazione di Roberto Salis che il governo Meloni «non ha fatto quello che doveva fare».

A corroborare tale interpretazione c’è il fatto che lo stesso Mattarella ha autorizzato il suo interlocutore a diffondere la notizia della sua telefonata. Come qualche giorno fa, il 26 marzo, aveva autorizzato la vicepreside del liceo di Pioltello, professoressa Maria Rendani, a rendere pubblica la sua lettera di «apprezzamento» per il lavoro svolto dai docenti di quell’istituto scolastico, finito nel mirino del ministro Valditara.

Evidentemente il presidente della Repubblica ritiene importante controbilanciare con i propri interventi gli atti del governo quando risultano essere divisivi dell’opinione pubblica del Paese, come appunto l’attacco ai docenti di Pioltello per una scelta inclusiva verso le famiglie con una fede diversa da quella della maggioranza dei cittadini, o come l’inazione dell’esecutivo nei confronti di Ilaria Salis.

La divisività di questa inazione è stata esplicitata da Mattarella nella telefonata, allorché ha parlato di una «disparità di trattamento tra due cittadini italiani, disparità che colpisce l’opinione pubblica». La prima disparità a cui si sono riferiti Roberto Salis e Mattarella è quella tra Ilaria e Gabriele Marchesi (non estradato in Ungheria della magistratura italiana, proprio per le condizioni detentive a cui andrebbe incontro se fosse trasferito a Budapest).

Ma ve ne è una seconda implicita, vale a dire quella tra Ilaria e Chico Forti, l’italiano condannato negli Usa e in carcere da 24 anni, per il quale l’attivismo di Giorgia Meloni è stato teatrale. Volutamente teatrale, al punto da rendere macroscopica l’inerzia per Ilaria. E sapere che un cittadino italiano è protetto dal governo pro-tempore a seconda delle proprie idee politiche è senz’altro una «disparità che colpisce l’opinione pubblica».

Mattarella nella telefonata di ieri mattina a Roberto Salis ha detto che «farà quanto è nelle sue possibilità, che non sono ampie sul piano operativo e passano attraverso il governo». Un modo non tanto per mettere le mani avanti rispetto ad un eventuale fallimento dei propri interventi, bensì per sottolineare che invece il governo «le possibilità operative» in favore di Ilaria le ha, ma non vi è ricorso.

La telefonata di ieri e la lettera alla vicepreside di Pioltello, evoca una celebre frase con cui il 22 dicembre 1947, in Assemblea Costituente, Meuccio Ruini – illustrando il lavoro della Commissione dei 75 – definì la figura e il ruolo del presidente della Repubblica nell’architettura della Costituzione: «Il grande moderatore e regolatore dei poteri dello Stato, il capo spirituale più che materiale della vita comune».

Parole che il giurista Mattarella bene conosce e interpreta dal Quirinale. La domanda dunque è: atti divisivi del governo fanno avanzare o arretrare una società già divisa? La telefonata di Mattarella serve dunque non solo a sollecitare il governo ad attivarsi, ma anche a tenere unita una società almeno sui fondamentali della nostra Carta, come appunto la parità di diritti, l’inclusività.

E la seconda domanda è: ci vuole molto a capire che è un azzardo approvare la riforma del premierato che introduce un ulteriore elemento divisivo – appunto l’elezione diretta di un Capo che sarà di una sola parte – e che la nostra Repubblica non avrà più un «grande moderatore» e «un capo spirituale» in grado di tenere unito il Paese? Più che un azzardo è una follia.

KASPAR HAUSER

da il manifesto.it

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