Un popolo incapace di capire la crisi di governo

La risposta dei mercati è il metro con cui Zingaretti valuta positivamente il tentativo (perché a questo ancora siamo) di formazione del nuovo governo tra PD e Cinquestelle. La...

La risposta dei mercati è il metro con cui Zingaretti valuta positivamente il tentativo (perché a questo ancora siamo) di formazione del nuovo governo tra PD e Cinquestelle. La risposta dei mercati piuttosto della risposta della piazza che, a ben vedere, in effetti non c’è: vaga blandamente tra la fine delle ferie estive e l’ingresso nel settembre ibrido tra “andiamo è tempo di migrare” e qualche bagno di sole che ancora si cerca tra una nuvola e l’altra.

Anzi, molto probabilmente, la sensazione popolare è di smarrimento rispetto ad una crisi di governo che è talmente veloce nel suo svilupparsi ed invilupparsi da non riuscire nemmeno a far tenere il passo alla supersonicità dei social network, ai leoni da tastiera, ai cosiddetti “troll“, a coloro che si insinuano nella pagine avversarie e le tempestano di messaggi di odio e di disprezzo, alimentando polemiche sempre e soltanto fini a sé stesse.

Pochi hanno il coraggio di scrivere pensieri articolati, di provare a ragionare su un determinato punto di svolta o di rivolta della crisi di governo: facilissimo tweettare, lanciare messaggi brevi, banali, vuoti, tutte invettive, anche da parte di chi si ritiene comunista, di sinistra e quindi dovrebbe provenire da una scuola di politica abituata alla dialettica.

Invece no, si preferisce il mordi e fuggi, il presto e veloce, il lancia il sasso e nascondi la mano o, se non proprio quella, almeno il tuo vero nome e cognome, la tua identità.

L’impressione è che la complessità della crisi di governo non sia affatto capita da una popolazione che con grande superficialità si approccia a temi non solo politici ma di cultura generale: i telequiz di Gerry Scotti e Carlo Conti sono lì a dimostrare che davanti a domande elementarissime, che dovrebbero far collocare Hitler nella prima metà del secolo scorso, arriva il concorrente che invece ritiene possibile l’emanazione della “soluzione finale del problema ebraico” nel 1977.

Cascano le braccia, come minimo, al constatare che c’è purtroppo assoluta buona fede in una risposta del genere e che, quindi, è molto probabile che, vista la retrocessione culturale, sociale e civile del popolo italiano e, parimenti, l’avanzamento di una tecnologia che ha alienato milioni di menti tramite il protagonismo di quelle “legioni di imbecilli” evocate più che giustamente da Umberto Eco, anche la crisi di governo venga percepita come un susseguirsi di contraddizioni incomprensibili.

Una certa giustificazione la si può concedere alla grande maggioranza ignorante del popolo italiano: non è in effetti semplice districarsi nei meandri di corridoi mediatici che fanno da specchio ad altri corridoi di palazzo dove pochi minuti prima s’è affermata quella che pareva una verità incontrovertibile e pochi istanti dopo questa assume le sembianze di una contraddizione, di una smentita, di una mezza verità che è pasto goloso del cannibalismo televisivo.

La dichiarazione di Luigi Di Maio, perentoria e priva di interpretazioni di sorta, secondo cui o si accettano i venti punti (ma non erano dieci?) declamati all’uscita dal colloquio con il Presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte, oppure si può anche pensare di recarsi alle urne quanto prima possibile, ecco che rientra perfettamente nel pandemonio mentale di un italiano medio-classico, che generalizza molto, che banalizza tanto, quello che ha appena gli strumenti per sapere che esiste un Parlamento, che c’è un Capo dello Stato e che ci sono come partiti Cinquestelle, PD, Forza Italia e Lega. Già andare oltre e parlare di Fratelli d’Italia e de La Sinistra è chiedere troppo all’italiano-medio-classico: figuriamoci se ci addentriamo nella storia del nostro Paese anche soltanto di una decina d’anni or sono piombando nel recentissimo passato…

Non tanto la stabilità dei governi, quanto la stabilità di certe ideologie e visioni della società è venuta meno, sostituita dal carismatico leaderismo che oggi prende le forme di Matteo Salvini e domani di Giuseppe Conte che, da misconosciuto capo del governo, terza parte mediatrice e primus inter pares come molti meno poteri di Augusto, è effettivamente molto emerso e maturato anche nel raffronto con i capi di Stato europei, con quelli d’Oltreoceano e persino con il pontefice.

Molto difficile, quindi, ridimensionare la figura di Conte oggi: ha il sostegno della Presidenza della Repubblica, la fiducia (seppure stiracchiata) del PD, una larga parte di fiducia del M5S (di cui, del resto, dovrebbe essere espressione “indipendente“), l’appoggio di Donald Trump e Bill Gates e, per finire, l’abbraccio fraterno di papa Francesco che qualcosa vorrà ben pur dire.

In mezzo alla tanta superficialità antisociale degli italiani, alla loro stanchezza per la mutevolezza di una politica di governo che, alla fine, termina sempre con imposizioni di sacrifici per le classi più deboli e miserevoli del Paese, la crisi di governo prosegue e riserverà ancora sorprese: soprattutto se arriverà a concretizzarsi un governo che dovrà presentarsi alle Camere.

Lì assisteremo a tutto il fuoco di fila delle opposizioni neofasciste e sovraniste: ci verrà da tifare per l’esecutivo nascente ascoltando quelle parole; ma poi ci ricorderemo (anzi, ce lo ricorderanno dai banchi del PD Renzi, Boschi e altri deputati e senatori) che il governo seguirà le orme liberiste dei suoi predecessori e che cambierà soltanto (non è certamente poco ma è altamente insufficiente per dichiarare questa una stagione “riformatrice” e “giallo-rosso” un governo che di rosso non ha niente) l’approccio alle politiche civili, tornando ad un rispetto delle libertà singole e collettive in sintonia con la Costituzione ma in distonia con le problematiche economiche di ciascuno di noi.

Saremo liberi di parlare, scrivere, criticare e magari la furia neonazista e neofascista sollevata dai liberisti, la tronfietà della recrudescenza di questi decerebrati abbasserà un poco le ali… o forse le dispiegherà meglio sotto i colpi della retorica sovranista… ma le nostre vite continueranno a dipendere da variabili di mercato tutte protese alla tutela dei profitti e non certo all’incremento dei diritti dei lavoratori e dei precari o ad una soluzione concreta per la disoccupazione di lungo periodo.

Saremo ancora una volta liberi di pensare: sì, a come sbarcare il lunario mentre pochi altri gozzovigliano grazie ai nostri consumi, grazie al lavoro di milioni e milioni di lavoratori sfruttati ogni giorno.

MARCO SFERINI

31 agosto 2019

foto tratta da Pixabay

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