Un mondo da sanare negli occhi di Gino Strada

Indagini. «Una persona alla volta», a cura di Simonetta Gola per Feltrinelli. Le riflessioni radicali su guerra e diritto alla salute del fondatore di Emergency scomparso lo scorso anno che spiegava come «la costruzione e la pratica dei diritti umani sono il migliore antidoto, la migliore prevenzione della guerra»
Gino Strada

È appena uscito per Feltrinelli Una persona alla volta di Gino Strada (pp. 176, euro 16), a cura di Simonetta Gola, responsabile della Comunicazione di Emergency, sposata con Strada dal giugno dello scorso anno. È il racconto in prima persona di una scelta radicale ma «Non un’autobiografia, un genere di cosa che proprio non mi piace, ma le cose più importanti che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro», avverte il fondatore di Emergency, morto a 73 anni il 13 agosto 2021.

Tuttavia, pur non essendo un diario intimo, il volume restituisce comunque il suo «modo straordinario di guardare il mondo», come scrive Gola nella toccante postfazione che alla fine si tramuta in una lettera aperta al compagno scomparso a cui spiega che «ora più che mai serve dare una casa al alcuni dei tuoi pensieri perché non vadano smarriti».

Non sono solo i fatti del giorno a rendere Una persona alla volta un libro urgente, necessario. Anche se leggerlo mentre la macchina della guerra globale si dispiega di nuovo, e nel cuore dell’Europa, è quanto mai utile innanzitutto per confutare quello che a certa stampa con l’elmetto piace chiamare il «dilemma dei pacifisti» – appoggiare o meno l’invio di armi letali all’Ucraina.

Il libro, con la sua scrittura precisa, verrebbe da dire «chirurgica», è una riflessione radicale sull’abolizione della guerra e sul diritto universale alla salute, una critica serrata alla miseria della geopolitica e alla ferocia del modello di produzione. E, mentre Buskashì (Feltrinelli, 2002) fu praticamente dettato via telefono dall’unico occidentale in corsa verso Kabul sotto le bombe, Una persona alla volta, è l’esito di un processo più lento al punto che nei dialoghi familiari, tra Simonetta e Gino, era soprannominato «l’incompiuto» o, addirittura «il maledetto».

Strada è il primo a laurearsi in una famiglia di operai, naturalmente antifascisti. «Sesto (S.Giovanni) era un buon posto dove diventare grandi», confessa l’autore rivelando le comunità decisive per la sua formazione: da quella operaia e solidale sorta attorno alle grandi fabbriche fino al movimento studentesco, l’incontro con Raul Follereau e il «debito» verso Giulio Alfredo Maccacaro conosciuto grazie a Medicina e Potere, collana di Feltrinelli diretta proprio dal fondatore di Medicina democratica. Sarà la passione per la chirurgia a portare Strada in giro per il mondo, prima negli Usa poi nei teatri di guerra – Pakistan, Etiopia, Thailandia, Afghanistan, Perù, Gibuti, Somalia, Bosnia, Sierra Leone, Sudan – dove matura la consapevolezza di fondare Emergency che, dal 1994, ha curato più di undici milioni di persone.

È dentro i pronto soccorsi, sfogliando i registri nei rari momenti di pausa, che Strada si rende conto che le vittime della guerra sono quasi tutte civili, quasi mai i «capitani coraggiosi in tuta mimetica o con il turbante che seminavano mine come fossero grano, per mutilare i bambini del nemico». È la mutazione di quella che nelle Accademie si chiama «arte militare»: la guerra è soprattutto strage di civili, dal 60% della II guerra mondiale al 90% della guerra afgana.

Per questo Strada fa a pezzi ogni retorica bellicista, ogni narrazione nazionalista, ogni interventismo democratico – «La guerra è essa stessa terrorismo legittimato, ingiustizia assoluta, violazione irrimediabile di ogni diritto» – fino a denunciare che è permanente e pervasiva, la guerra, e che è sempre contro i poveri, legata intimamente alla riproduzione delle disuguaglianze. «Togliere risorse al pubblico somiglia più a un sabotaggio che a un incremento delle possibilità di cura». Uno snodo che dirotterà Emergency portandola anche in Italia, ad esempio nel ghetto di Castelvolturno, per esempio nella Calabria nei giorni della pandemia.

Eppure le risorse ci sarebbero per costruire l’esigibilità del diritto alla salute. Basterebbe fermare la privatizzazione e sottrarre risorse alle spese militari. Con gli occhi delle vittime Strada insegna che la guerra «si può solo abolire» e a chi ribatte che sarebbe solo utopia il fondatore di Emergency risponde che «Utopia è il nome di desideri, idee, progetti che possono diventare realtà». Basta scegliere. «La costruzione e la pratica dei diritti umani sono il migliore antidoto, la migliore prevenzione della guerra».

CHECCHINO ANTONINI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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