La Russia va verso il default

Crisi ucraina. La fuga delle multinazionali significa meno entrate per il fisco e più uscite per politiche sociali. E la censura non può nascondere la crisi. Oggi Putin incontra i consiglieri economici per studiare le contromisure

Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha usato ieri per la prima volta il termine «guerra». Non parlava, però, dell’intervento militare in Ucraina, bensì delle ultime sanzioni decise dagli Usa. «Ci hanno dichiarato una guerra economica», ha detto Peskov: «È di questo che si tratta, di una guerra, niente di diverso da una guerra».

Ventiquattro ore prima il presidente americano, Joe Biden, aveva stabilito il blocco all’import di gas e di petrolio dalla Russia, una scelta che avrà costi per gli stessi Stati Uniti. Sulla stessa posizione è arrivata la Gran Bretagna, che ridurrà l’acquisto di greggio sino al livello zero entro la fine del 2022. L’Unione europea potrebbe assumere un orientamento simile su tempi più lunghi.

Il timore è che da Mosca possano rispondere bloccando in anticipo i gasdotti. Sarebbe l’ultima cosa che i legislatori di una economia basata in maniera quasi esclusiva sullo scambio di materie prime contro valuta pregiata prime vorrebbero fare. Ma a questo punto della crisi quelli russi hanno possibilità ridotte a disposizione. La pressione su Duma e governo è elevata. Le notizie sulle operazioni saranno anche filtrate dalla legge che prevede quindici anni di carcere per i resoconti diversi da quelli ufficiali. Ma le conseguenze sulla vita quotidiana milioni di cittadini cominciano già ad avvertirle.

Vladimir Putin vedrà quest’oggi la squadra dei consiglieri economici per valutare contromisure. Sul tavolo c’è un documento che il primo ministro, Mikhail Mishustin, ha chiuso ieri pomeriggio con i suoi ministri.

«Abbiamo discusso alcune iniziative ulteriori rispetto a quelle già approvate la scorsa settimana», ha detto il capo del governo, secondo il quale «la priorità adesso è adattare il sistema economico alle circostanze, dobbiamo sostenere i cittadini e le imprese in questo periodo di turbolenze». Ieri ha dovuto trovare nel bilancio 25 miliardi di rubli per sovvenzioni ai produttori agricoli. Nelle stesse ore la Banca centrale ha fissato un nuovo limite al ritiro di valuta straniera, questa volta a diecimila dollari.

Il problema per la Russia è che le sanzioni dei governi sono seguite dalla fuga delle multinazionali. McDonald’s ha chiuso 850 punti vendita su tutto il territorio federale. Amazon ha deciso di terminare le operazioni. L’Oreal, Unilever, Coca Cola e Pepsi hanno fatto lo stesso. La settimana scorsa era stata la volta dei grandi marchi dell’industria dell’auto, da Volkswagen a Toyota. Decine di miglia di posti di lavoro sono a rischio.

Per lo stato significa meno entrate del fisco e più uscite per politiche sociali. Di fronte a questo scenario le principali agenzie di rating hanno ridotto il giudizio sul debito russo. Fitch lo ha portato ieri da B a C e ha definito «imminente» il default. Nonostante gli sforzi di Mishustin e del governatore della Banca centrale, Elvira Nabiullina, c’è poco oggi che gli economisti del Cremlino possano dare a Putin per tranquillizzare il paese.

L’offerta dell’istituto di credito VTB di conti in yuan con tasso dell’8 per cento dell’anno è interessante dal punto di vista politico, ma difficilmente aprirà al paese una strada alternativa sul piano finanziario. Ora come ora non c’è settore che sembra in grado di reggersi da solo, dal comparto farmaceutico al complesso militare.

Le previsioni sono incomplete per stessa ammissione del governo: «Semplicemente non abbiamo dati sufficienti», hanno rivelato al quotidiano Kommersant. La logica generale comprende un ampio insieme di strumenti che dovrebbe ridurre l’impatto delle sanzioni.

Insomma, una versione rafforzata del modello «Fortezza Russia» che il governo ha messo in pratica a partire dal 2014, l’anno in cui la Crimea e Sebastopoli sono tornate sotto l’autorità del Cremlino. Significa risorse pubbliche a favore delle imprese sotto forma di prestiti e finanziamenti; sanatorie per recuperare capitali; e un radicale taglio dei controlli e degli stress test.

Questa crisi potrebbe, quindi, rendere ancora più ibrido il sistema economico russo, fra pesanti interventi statali ed enormi libertà concesse agli imprenditori. Nessuno, però, può dire con certezza quanto profondo sarà il crollo, neanche nel breve periodo.

LUIGI DE BIASE

da il manifesto.it

foto: screenshot

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