Per fermare la guerra una nuova conferenza di Helsinki per la pace

Mattarella ha sollecitato «una sede internazionale che rinnovi radici» a pace, sicurezza e cooperazione, come «la Conferenza che nel ’75 portò a un Atto finale dagli sviluppi positivi»

La richiesta di promuovere una conferenza internazionale per garantire la pace e la sicurezza tra le Nazioni vuole anzitutto richiamare la comunità internazionale, l’Europa, l’Italia alle loro rispettive reali responsabilità, ai loro non delegabili doveri. Una proposta ispirata dalla volontà di interrompere l’escalation bellica, la follia della guerra, che sembra ormai dominare i comportamenti dei potenti del mondo, ma anche il dibattito pubblico, occupando per intero le nostre menti.

Non vogliamo oggi riaprire la polemica sull’invio delle armi, prendiamo atto della decisione assunta quasi all’unanimità dal Parlamento e fatta propria dal Governo, ci limitiamo a constatare che questa non può essere la soluzione. Affidarsi esclusivamente ad essa vuol dire rinunciare a perseguire pacifici e stabili rapporti internazionali. La guerra per procura non è un orizzonte possibile. Non vogliamo scaricare sulle vittime la responsabilità della guerra, né ad essi affidare il nostro comune futuro di pace. Non vogliamo guardare da un’altra parte, bensì andare alle radici del male che ha prodotto la degenerazione e l’inumanità dello scontro armato.

Per chi vuole affermare il valore del ripudio della guerra l’unica via possibile è quella di ridare la voce al diritto. Perché è il diritto che, dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, ci ha indicato la via che oggi stentiamo a riconoscere, offuscati come siamo dal bagliore delle armi, paralizzati di fronte all’orrore delle stragi, sopraffatti dai morti, incapaci di spiegare lo scempio e l’offesa alla dignità delle persone.

Tornare alle ragioni del diritto anche perché siamo convinti che non esista una giusta guerra. Semmai esiste il giusto diritto. Quello espresso nella nostra Costituzione, ma anche quello dell’ordinamento internazionale scritto a seguito della tragedia dell’olocausto e l’utilizzazione di due bombe atomiche «a fini di pace».

Per questo dovremmo anzitutto evitare interpretazioni fantasiose o creative del testo costituzionale. Interpretazioni anche autorevolmente proposte, ma non per questo meno bizzarre ed inopportune.  La nostra costituzione «ripudia la guerra» come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, in ogni caso. E le limitazioni di sovranità che essa prevede sono espressamente finalizzate per assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni e a promuovere le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Limitazioni per promuovere la pace, dunque, non per partecipare alle guerre, né proprie né altrui.

L’invito è quello di ricercare altre strade per assicurare la pace tra le Nazioni. Lo stiamo facendo? È un interrogativo drammatico che attraversa la coscienza di molti. Lo ha espresso in termini limpidi papa Francesco, parole che facciamo nostre: «Mentre si assiste ad un macabro regresso di umanità mi chiedo, insieme a tante persone angosciate, se si stia veramente ricercando la pace, se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale, se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano. Vi prego non ci si arrenda alla logica della violenza alla perversa spirale delle armi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace».

Anche il «sacro» dovere di difesa della Patria è stato evocato a sproposito. L’articolo 52 della nostra Carta costituzionale si rivolge espressamente al «cittadino italiano» per legittimare la guerra a difesa del confine interno. Peraltro, esso deve essere letto in combinato disposto con il sistema di difesa che la nostra Costituzione ha delineato: una guerra che deve essere deliberata dal Parlamento nazionale, cui segue il conferimento dei «poteri necessari» al Governo ed una dichiarazione formale dello stato di guerra da parte del capo dello Stato, con l’eventuale proroga per legge della durata della Camere. Nessuna di queste condizioni è data, non si può richiamare la Costituzione per legittimare il coinvolgimento nel conflitto armato.

Più che riferirsi alle Carta per stravolgerne l’impianto pacifista, bisognerebbe richiamare lo Statuto di quell’organizzazione internazionale, oggi impotente, ma che ha per finalità proprio quella di assicurale la pace tra le Nazioni. Basterebbe leggere – e poi voler rispettare – gli impegni assunti in sede Onu da «Noi, popoli delle Nazioni Unite» per evitare tante inutili e spiacevoli polemiche tra voci critiche, accusate di essere diventati improbabili neo-putiniani, ed intrepidi difensori della pace attraverso la guerra.

È, infatti, la carta dell’Onu che ci dice chi è il responsabile della guerra in base al diritto internazionale, a chi spetta di esercitare il legittimo diritto di resistenza all’aggressore, quali sono i compiti degli Stati non belligeranti. La responsabilità della guerra è da attribuire alla Russia per violazione dell’articolo 2, n. 4 che impone agli Stati di astenersi dall’uso della forza e operare contro l’integrità territoriale o l’indipendenza di qualsiasi altro Stato; mentre la resistenza ucraina è legittima in base al principio di autotutela individuale o collettivo così come indicato all’articolo 51.

Tutti gli altri Stati sono anch’essi certamente coinvolti nella «controversia», poiché nessun Paese può ritenersi estraneo di fronte al flagello della guerra, ma essi devono – ai sensi degli articoli 33 e 52 della Carta – anzitutto perseguire una soluzione mediante negoziati, accordi anche regionali o altri mezzi pacifici di loro scelta.

Per far cessare la guerra è necessario garantire la pace. Un compito e una responsabilità che spettano alla comunità internazionale. Lo ha affermato con decisione il Presidente Mattarella quando ha sollecitato ad individuare «una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi».

Per porre fine al conflitto e garantire un futuro di pace e sicurezza tra le Nazioni, per non lasciare soli le vittime della guerra, non ci si può affidare alla forza delle armi. Bisogna invece rimettere in moto la politica, rimettere in gioco le logiche di potenza, ridare voce al diritto, assicurare la giustizia tra le Nazioni. Perché, non c’è pace senza giustizia.

GAETANO AZZARITI

da il manifesto.it

Foto di Matti Karstedt

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