La strage dei medici di base, sono più della metà dei dottori morti

Covid-19. I malati tra i sanitari al 65% sono donne, al contrario del resto della popolazione, perché in prima linea ci sono le infermiere. Sul territorio invece si ammalano i medici di base

Nella guerra al Covid, il ruolo della fanteria mandata in trincea lo svolgono i medici di base, che sul territorio sono a contatto con i pazienti, li ricevono in ambulatorio o, se hanno le protezioni necessarie, li raggiungono a domicilio. Sui 40 medici morti finora, ben 21 sono medici di famiglia, lasciati combattere il virus a mani nude.

«C’è stato un errore nella programmazione», spiega Angelo Rossi, medico di base a Leno, provincia di Brescia, una delle zone più calde dell’epidemia. «Si sapeva da tempo che l’epidemia sarebbe potuta arrivare in Italia ma non si è pensato ad acquistare le protezioni». Chi ha potuto ha fatto da solo. «Io ho comprato le mascherine su Amazon. Ma nel mio studio, su sei medici due si sono ammalati».

Lo conferma anche Anna Pozzi, collega di Rossi ma nel comune di Milano. «L’Agenzia di Tutela della Salute (Ats) ci ha fornito solo un camice monouso e 15 mascherine» racconta. «Senza altri dispositivi di protezione non posso fare visite a domicilio. Rischio di ammalarmi io e contagiare qualcuno se sono positiva. La regione aveva detto che avrebbe fatto tamponi su tutti noi medici di base. Ma io non sono mai stata contattata».

Sono i racconti dei medici dalla zona rossa. Pagano direttamente la mancanza di protezioni, e in modo indiretto l’incertezza sulla salute dei loro pazienti, testati con sempre maggiore difficoltà. «Solo i pazienti più gravi, quelli che arrivano in pronto soccorso, qui ricevono il tampone» racconta Rossi. «Per ognuno di loro, ce ne sono dieci a domicilio che noi possiamo seguire solo al telefono. Anche i medici di famiglia quando si ammalano devono andare in pronto soccorso».

Niente tamponi a domicilio, come invece prescriverebbero i protocolli? «Dal punto di vista epidemiologico i tamponi ormai non danno più informazione», secondo Rossi. «Però ho una buona notizia: questa settimana ho segnalato meno febbri della settimana scorsa. Se il virus arriva a Milano sarà un macello».

La dottoressa Pozzi conferma lo spostamento verso la metropoli. «I numeri dei miei malati sono un po’ aumentati. E io lavoro in un’area con molti immigrati senza documenti, che tendono a nascondersi dai medici perché hanno paura». Anche a Milano i tamponi vanno a rilento, mettendo a rischio sia i pazienti che i medici. «Se sospetto un coronavirus lo tengo sotto osservazione. Se mandassi la persona al pronto soccorso, rischierebbe di ammalarsi lì se non ha già il Covid. E intaserei il pronto soccorso per i casi più gravi. Non so come si organizzeranno con i pazienti dimessi, che dovrebbero ricevere il tampone di verifica a domicilio».

A parte il numero elevatissimo dei morti, sui medici di base manca un quadro epidemiologico chiaro, spiega Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale. «Le segnalo un dato: i malati tra i sanitari al 65% sono donne, al contrario del resto della popolazione. Sa perché? Le infermiere: sono la prima linea in ospedale. Sul territorio invece si ammalano i medici di base».

Mancano le mascherine, ovvio. «C’è una responsabilità dell’Oms, che nelle linee guida ritiene sufficienti quelle chirurgiche. Le immagini che arrivavano dalla Cina erano ben diverse, con medici molto più protetti di noi. L’Oms ha raccomandato dall’inizio dell’epidemia di proteggere gli operatori sanitari, ma se con le sue linee guida si ammalano i medici, qualche errore lo ha fatto».

Malati senza test, sorvegliati solo telefonicamente per mancanza di protezione e solo finché non si ammala anche il dottore: dopo l’emergenza, la figura del medico di base dovrà riacquistare centralità. «La Lombardia, con il 20% della popolazione nazionale, per anni ha bandito meno posti della Puglia. Il medico lombardo in media ha quasi 1500 pazienti, mentre le norme nazionali fissano la soglia a mille. Anche questo spiega la situazione in cui ci troviamo».

ANDREA CAPOCCI

da il manifesto.it

Foto di Tumisu da Pixabay

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