La meravigliosa storia della repubblica dei briganti

Fate conto di avere tra le mani il diario di un testimone diretto degli eventi che si scatenarono in Italia tra il 1848 e il 1849. Un resoconto precisissimo,...

Fate conto di avere tra le mani il diario di un testimone diretto degli eventi che si scatenarono in Italia tra il 1848 e il 1849. Un resoconto precisissimo, puntuale in ogni dettaglio, quasi giorno per giorno di quello che, ormai finita l’avventura della Prima guerra d’indipendenza, con il Piemonte sconfitto e le truppe rientrate nel regno sabaudo varcando nuovamente il Ticino, stava per accadere e sarebbe presto accaduto a Roma.

Ecco, se vi immedesimate in questo salto nel tempo, se diventate anche voi parte della testimonianza sul campo, allora potrete leggere con la giusta disposizione d’animo e di intelletto il lavoro che Claudio Fracassi ha fatto nel 2005 scrivendo “La meravigliosa storia della repubblica dei briganti. Roma 1849: Mazzini, Garibaldi, Mameli” (Mursia).

Dello stesso autore abbiamo già messo nella nostra libreria un altro testo che ha lo stesso gusto cronachistico dell’osservazione in un presente storico che non passa e che ci si mette davanti come una continua scena di avvenimenti in un viaggio a ritroso nel tempo: “Il romanzo dei Mille“.

La ricostruzione della breve vita della Repubblica romana del 1849 è certamente utile, quasi come premessa fondamentale, per capire quali fossero i rapporti politici nell’Italia pre-unitaria e, quindi, per avere la giusta dimensionalità del problema statale, della sua forma e della sua sostanza nel dibattito che serpeggiava per la penisola e che era il tema più considerato dai patrioti tanto del Nord quanto del Sud.

La fuga di Pio IX, dopo l’assassinio del ministro Pellegrino Rossi, appanna le ragioni del partito neoguelfo e permette al repubblicanesimo radicale di Mazzini di trovare il suo giusto spazio e il suo protagonismo in uno degli episodi risorgimentali che ha segnato, molto probabilmente, il punto più alto di laico civismo e tentativo costituzionale che è arrivato ai giorni nostri trovando spazio anche nelle righe degli articoli della Carta del 1948.

Esattamente un secolo dopo il governo del triumvirato romano, la nuova Repubblica che nasce in Italia, a margine della tragedia del secondo conflitto mondiale e dopo la lotta antifascista e la Resistenza partigiana,  riprende in sé molte delle qualità di quella che Mazzini avrebbe voluto potesse essere la precursora del moderno Stato unitario, di quella repubblica che lui voleva libera dal Papa, da tutti i sovrani e dagli austriaci.

Claudio Fracassi riporta anche gli stati d’animo dei protagonisti di quella pagina straordinaria del nostro Risorgimento. Lo fa, non solo citando le loro lettere, i loro appunti per i giornali e i discorsi pubblici, nonché quelli ufficiali all’Assemblea Costituente romana, ma cogliendone sia i virtuosi impeti rivoluzionari, sia le fragilità benevole che vengono in aiuto quando la troppa sicurezza può essere più dannosa del timore, della paura.

Così, scopriamo che anche i sovrani si sentono intimoriti, spaesati e privi di punti di riferimento quando il moto popolare li spinge alla fuga. Il granduca di Toscana, Leopoldo, è malato. Si trova a Siena quando Giuseppe Montanelli lo va a trovare.

Si comunica al popolo la nascita della nuova Repubblica (clicca sull’immagine per ingrandire)

Al capo del governo provvisorio il sovrano appare emaciato, stanco, infermo «sonnolente, incapace di ascoltare proposte di affari» lascia una lettera in bella vista nella camera del suo palazzo. E’ per Montanelli che, quando le leggerà, scoprirà che il granduca se l’è data a gambe proprio come Pio IX. Ma, a differenza del papa, quasi supplica il nuovo governo per la sicurezza dei propri familiari lasciati a Firenze che, sostiene, «…sono ignari del tutto del mio progetto. Suo affezionatissimo Leopoldo».

Affezionatissimo. Un superlativo assoluto cordiale, forse anche da ascrivere alla formalità da esibire in una circostanza istituzionale. Ma comunque colpisce il rapporto di cordialità, che Fracassi non manca di trascrivere e sottolineare quando parla di una seconda lettera in cui il granduca quasi si giustifica per non aver potuto firmare una legge sull’elezione dei rappresentanti italiani alla Costituente italiana.

L’ondata rivoluzionaria risorgimentale del biennio 1848-49 avrebbe indubbiamente intimorito chiunque: persino l’imperatore Ferdinando I d’Austria che mise a riposo Metternich dopo il periodo di Restaurazione dei regimi cancellati dalla Rivoluzione francese e da Napoleone. Non è dunque strano che, tanto il granduca di Toscana quanto il pontefice, se ne siano fuggiti via prima di venirne irrimediabilmente travolti dai moti che, da iniziali isolati fermenti popolari erano divenuti, grazie al lavoro dei partiti dell’unificazione italiana, dei veri e propri movimenti di massa.

La tracotanza dei sovrani italiani venne alquanto ridimensionata dagli eventi che si uniformavano al clima di riscatto nazionale e il patteggiamento fu, in molti casi, rappresentato dall’accettazione di costituzioni liberali che non segnano una svolta veramente rivoluzionaria, ma che adeguano gli Stati italiani ai tempi che cambiano.

Ma la Repubblica Romana è, con quella di San Marco proclamata da Daniele Manin, una felicissima eccezione al tentativo di sincretismo tra trono e volontà popolare, per salvare il primo e per far esprimere la seconda con compiutezza. La fuga di Pio IX da Roma innesca una rottura che, a prima vista, può sembrare non una novità, visto che anche con l’esperienza rivoluzionaria d’oltralpe si era andati verso un superamento del Patrimonium Sancti Petri, ma che invece diventa qualcosa di più di una semplice riorganizzazione dello Stato romano.

Questa volta si elegge a suffragio universale (maschile) una Assemblea costituente per redigere il testo fondamentale con cui dare lunga vita alla nuova Repubblica. L’intenzione primigenia è quella di essere la punta di diamante di una unificazione italiana che avvenga per condivisione di un progetto sociale e politico democratico, pur con la partecipazione della nobiltà liberale e della borghesia dell’epoca.

Se ci si ferma per un attimo alla descrizione fatta da Leopardi della vita nello Stato pontificio, se si leggono i resoconti dei cronachisti di fine ‘700 e di inizio ‘800, si converrà sul fatto che quell’eredità post-romanica, quell’assemblaggio di province italiane un po’ a caso, frutto dei vecchi posizionamenti bizantini nell’Italia centrale ai tempi dei Longobardi, era diventato nel corso dei secoli, e quasi per un millennio, una costruzione tanto arcaica da essere il peggiore anacronismo politico-statuale dell’intera Europa.

La Toscana e lo Stato della Chiesa nel 1848 (clicca sull’immagine per ingrandire)

Una monarchia teocratica assoluta, in cui la vita civile era legata a doppia mandata al dogmatismo pontificio, al tradizionalismo cattolico, all’unica cultura ammessa: quella evangelica, quella biblica, quella in cui nessuna ombra di laicità era permessa.

Pio IX scomunicherà ovviamente la Repubblica e farà appello a tutti i sovrani a lui amici per rovesciarla e ripristinare il connubio tra trono e altare. Risponderanno austriaci, napoletani e francesi. I primi con sortite nelle Romagne, i secondi ricacciati indietro da Garibaldi verso Gaeta e i terzi, dopo lo sbarco a Civitavecchia e le infingarde promesse di rispetto delle “nazionalità comuni” (di cui Mazzini si fiderà imprudentemente), cingeranno d’assedio Roma per oltre un mese.

Non sarà più tempo per le “repubbliche sorelle” di rivoluzionaria e giacobina memoria. Sarà il tempo degli intrighi, degli inganni, dei sotterfugi politici messi in pratica da Napoleone III, dal papa stesso e da tutte le teste coronate che tenteranno di evitare che la storia europea prenda una piega troppo moderna e finisca col considerare quelle tiare e quegli anelli dorati degli inutili fronzoli di cui potersi finalmente liberare.

Claudio Fracassi ci fa rivivere quei mesi di lotta, quella straordinaria, unica esperienza di vera rivoluzione italiana che non fu possibile portare a compimento. A cominciare dalla discesa di Mazzini dalla Svizzera verso Roma, naufragherà il tentativo di unificare la Toscana di Montanelli alla Repubblica appena proclamata.

Sarà una premonizione delle difficoltà esistenti su una certa idea dell’Italia che farà fatica a trovare una sintesi e che, anche per questo, verrà risolta dalle mire espansionistiche dei Savoia, dalla voglia di confermare l’istituto monarchico come l’unico capace di garantire stabilità, legge, rigore e ordine e, altra benevola anomalia del tardo Risorgimento, dalla Spedizione dei Mille. C’è chi ha ritenuto di bollare questi avvenimenti come pericolosi avventurismi, frutto di una improvvisazione e non, invece, dell’attento calcolo politico.

Si è così provato a minimizzare la grande opera mazziniana nel sostenere una unità repubblicana di tutta la Penisola, facendola passare per sogno utopico, per un vaneggiamento, per qualcosa di profondamente lontano da un pragmatismo efficiente e dinamico.

Invece, come è sempre più facile constatare dai tanti lavori storiografici che sono stati scritti in merito, l’unità d’Italia è un processo che attraversa tutto l’800 e ben metà del ‘900: fino alla proclamazione di quella Repubblica italiana che avrebbe gratificato Mazzini ed anche Garibaldi. Il partito più democratico, radicale e anche sociale di una storia che non è finita e che ogni giorno si rinnova anche grazie a quella prima Costituzione di uno Stato laico e popolare che venne approvata mentre i francesi invadevano la sede dell’Assemblea che l’aveva redatta.

Un lascito morale e civile a Roma, all’Italia e al mondo intero, per dire: ecco, questa sarebbe stata l’Italia che volevamo costruire sulle macerie immorali del potere temporale dei papi e dei troni corrosi da un assolutismo non più sostenibile.

LA MERAVIGLIOSA STORIA DELLA REPUBBLICA DEI BRIGANTI
ROMA, 1849: MAZZINI, GARIBALDI, MAMELI
CLAUDIO FRACASSI
MURSIA, 2005 – 2012
€ 22,00

MARCO SFERINI

29 giugno 2022

foto: particolare della copertina del libro

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