La favola dei partigiani filo russi (o filo Orban)

L’Anpi bersaglio di continue critiche malevole. Le difficoltà di comunicazione, il ruolo dei social e la ragioni politiche degli attacchi

I famosi partigiani filo-ungheresi. O l’Associazione Nazionale Putiniani d’Italia, come ha scritto ieri il Corriere della Sera. Da quando è cominciata la guerra in Ucraina e l’Anpi si è schierata – coerentemente con l’articolo 7 del suo statuto – su posizione pacifiste, non passa giorno senza che le uscite dell’associazione dei partigiani non debbano subire una radiografia per stanare il dettaglio stonato, l’errorino, la parola sbagliata che la collocherebbe senza dubbio alcuno dalla parte di Putin.

Ovviamente non c’è niente di vero, e l’Anpi ha sin da subito condannato l’aggressione russa, ma bisogna pure dire che oggi, con i social network a fare da unità di misura dell’igiene del dibattito, prima di pubblicare qualsiasi cosa bisognerebbe contare fino a cento, quantomeno per non dover poi fronteggiare la sempre attiva macchina del fango.

È così che, dopo essersi beccata l’accusa di collaborazionismo filorusso per aver chiesto una commissione indipendente che indaghi sui fatti di Bucha (stessa posizione di Amnesty International, dell’Onu e pure del Pentagono), l’ultimo assalto all’Anpi riguarda la disposizione dei colori su una bandiera che si nota sullo sfondo del manifesto ufficiale rilasciato in vista della festa della Liberazione. «L’Italia ripudia la guerra», c’è scritto per terra in mezzo a un capannello di persone.

Su un lato c’è la bandiera arcobaleno della pace, sull’altro, due tricolori disposti in verticale, con il rosso prima del bianco e del verde. «È la bandiera dell’Ungheria», hanno notato sui social, alludendo a qualche assurda simpatia dell’Anpi verso Orban e, quindi, verso Putin. L’autrice, Alice Milani, non ha voluto commentare, ma ha risposto in maniera ironica e delicata con una nuova striscia che ha regalato al manifesto. A voler essere pignoli, comunque, è un fatto storico che molti gruppi partigiani – a partire da Corpo Volontari della Libertà – erano soliti esporre il tricolore partendo dal rosso e non dal verde.

Al di là della vacuità della polemica, è un dato di fatto che Anpi e centrosinistra (Pd in testa) abbiano smesso di marciare a braccetto da un po’. Il primo scossone è del 2016, quando i partigiani si schierarono per il «no» al referendum costituzionale di Renzi. Davanti a quattromila persone, alla festa dell’Unità di Bologna quindi in casa Pd, andò anche in scena un confronto tra l’allora segretario dem e il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia. Il vecchio partigiano vinse nella gara degli applausi e la polemica non scese di tono, anzi arrivò a toccare notevoli vette di surrealismo, come quando i partigiani vennero accusati di stare dalla stessa parte dei neofascisti di CasaPound contro la riforma.

Le cose non sono migliorate quando, nell’ottobre del 2020, il comitato nazionale dell’Anpi ha designato come nuovo presidente Gianfranco Pagliarulo (che giusto ieri è stato confermato dagli organismi nazionali con 35 voti favorevoli e due astenuti, dopo l’acclamazione del congresso di Riccione di metà marzo).

Giornalista, vicedirettore del periodico della Fiom milanese, Pagliarulo è stato funzionario del Pci prima di aderire, sin dalla sua nascita, a Rifondazione Comunista, di cui sarà responsabile della propaganda. Eletto al Senato nel 2001 con i Comunisti Italiani, nel 2007 aderisce al Pd ma ne esce soltanto un anno dopo e si concentra sull’Anpi. Da lì in avanti, i rapporti con i democratici si sono fatti via via più complicati: dalle politiche sull’immigrazione di Minniti a certe derive inquietanti sul 25 aprile – come la volta che alcune frange del Pd scesero in piazza a Milano in blu e inneggiando a Coco Chanel «patriota europea», senza alcun riferimento ai partigiani e al fascismo -, le occasioni di scontro sono state numerose.

È così che l’Anpi si è trovata sempre più spesso d’accordo con la Cgil e in contrasto con il Pd. Alla base di queste divisioni, almeno secondo i suoi detrattori, ci sarebbe il percorso politico «estremista» di Pagliarulo. Storie di un’era geologica fa, evidentemente, ma sempre vive nella memoria di chi ancora fatica a superare la fine dei partiti d’ispirazione comunista. Problema che, a questo punto è chiaro, riguarda più le forze del centro e della destra che quelle della sinistra.

MARIO DI VITO

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Dibattiti

altri articoli