Il parlamento deve chiedere le carte di McKinsey

L’incarico dato dal ministero dell’economia e finanze alla società di «consulenza strategica» McKinsey sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è un serio incidente di percorso. Alle polemiche...

L’incarico dato dal ministero dell’economia e finanze alla società di «consulenza strategica» McKinsey sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è un serio incidente di percorso. Alle polemiche il Mef risponde, con una nota, che si chiede «un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano». È puro burocratese, accuratamente pensato per garantire l’oscurità del contenuto. Vediamo di capire.

Chi è McKinsey? Per documentarsi si possono visitare i siti web della società, o del think-tank McKinsey Global Institute. Sono spot sui buoni che con dignità e onore aiutano il mondo ad affrontare il presente e il futuro. Sarà vero? Per controprova, leggiamo il New York Times del 3 febbraio. Ci informa sui circa 600 milioni di dollari pagati da McKinsey per chiudere un procedimento a suo carico per il caso di una consulenza a una casa farmaceutica che doveva servire ad aumentare le vendite di una medicina contenente quelli oppioidi che avevano contribuito alla morte di oltre 450mila persone nell’arco di venti anni. I fatti sono noti. Ma il New York Times riferisce anche che la cliente di McKinsey si era dichiarata colpevole in giudizio di aver imbrogliato (misled) sui rischi del prodotto. Altresì, McKinsey aveva suggerito alla cliente di fare squadra (band together) con altri produttori di oppioidi per evitare i fulmini (uno strict treatment) della Food and Drug Administration. Conclude il Times che è un raro caso (rare instance) in cui la società è stata ritenuta pubblicamente responsabile (publicly accountable).

Buoni, o cattivi? Ancora lo stesso giornale ci informa il 22 febbraio che il governo francese aveva segretamente affidato a McKinsey una consulenza da quattro milioni di euro sulla campagna vaccinale. Che per molti è poi stata, almeno all’inizio, un flop. Il 26 febbraio Le Monde titola: «Comme les autres sociétés de conseil, McKinsey est régulièrement accusé d’entrisme dans le monde des affaires et de la politique». Entrisme viene definita nel dizionario come la tattica adottata da certe organizzazioni (partiti, sindacati) di far entrare propri membri in un’altra per modificarne le pratiche e gli obiettivi.

Veniamo a noi. Il ministero dell’economia e finanze non legge la stampa estera, o frequenta cattive compagnie, o entrambe le cose. Chi ha dato l’incarico a McKinsey non poteva non sapere. Proteste e censure sono giuste. Né basta la striminzita nota di risposta, che non chiarisce l’essenziale, e cioè cosa il committente ha chiesto al consulente, con quali indirizzi. Parametro necessario a valutare come e quanto il McKinsey-pensiero entrerà nelle scelte formalmente governative. Ancora su Le Monde in un articolo del 5 febbraio leggiamo: «È stupefacente (étonnant) come a nessuno piaccia parlare di McKinsey». Appunto.
Sono indispensabili due cose. La prima, che sia noto il carteggio con la McKinsey concluso con la consulenza. La seconda: che sia noto il report che la McKinsey consegnerà. Il ministero renda tutto pubblico sul suo sito. Il parlamento avanzi una richiesta in tal senso, con interrogazioni e interpellanze. Anche il silenzio sarebbe una risposta. Ne verrebbe una responsabilità politica individuale del ministro per l’articolo 95 della Costituzione. Diventerebbe collegiale a carico di Draghi e del governo nel momento dell’approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Vorremmo sapere, ad esempio, se il Mef pone in qualsiasi modo al consulente strategico l’unica domanda veramente strategica: se e come ridurre il divario Nord-Sud.

Fin qui, i segnali che vengono da Palazzo Chigi non sono affatto positivi. Ora, 25mila euro per McKinsey sono spiccioli, e niente a confronto dei quattro milioni di Macron. Forse il favore è stato fatto dal governo alla McKinsey, per rifarsi un po’ la faccia dopo i 600 milioni di dollari sborsati, e non viceversa. Ed esiste, come scrive Barbera su queste pagine, l’«isomorfismo burocratico». Ma la responsabilità politica comunque corre, tal quale. Mettere in cartellone McKinsey è stato un passo falso. Non si poteva tenere il segreto. E così si è collocato il Mef in un club di potenti tecnocrati che si grattano reciprocamente e riservatamente la schiena. Qualcuno avrebbe dovuto prevedere, nel Mef e dintorni, le insopprimibili allergie. La cabina di regia infelicemente proposta da Conte ha contribuito alla sua caduta. Sappiamo che il governo Draghi non può – almeno al momento – cadere. Ma se avrà o no vita serena è questione affatto diversa.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

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Politica e società

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