«Ci sono storie, personaggi che attendono solo di essere raccontati. Magellano è uno di questi. La sua storia è come l’Odissea, narrata oralmente in molte forme e varianti, e poi cristallizzata da Pigafetta, ma non solo. Io mi sono rifatto al mito, mettendoci molto di mio, come avrebbe fatto un antico aedo. Questa è una storia che non finisce mai di dirci quello che ha da dire».

Ed ecco quindi Gianluca Barbera fare il verso, postmodernamente, all’Isola del tesoro, al Richiamo della foresta alle Avventure di Gordon Pym, al Corsaro nero, quasi a seguire alla lettera le indicazioni di Stevenson quando sostiene che a «rendere indimenticabile un romanzo è la capacità di suscitare incanto, di farci sognare a occhi aperti, di ricondurci all’infanzia, alle pulite avventure all’aria aperta. Robinson Crusoe che indietreggia davanti alle orme dei piedi nella sabbia, Achille che grida contro i Troiani, Ulisse che piega il grande arco».

E in tal senso in Magellano e il tesoro delle Molucche (Rizzoli, pp. 386, euro 16,50) lo scrittore reggiano (ma senese di adozione) torna a occuparsi del grande navigatore, dopo il romanzo per adulti Magellano (2018), con un péndant che «traduce» le turbe esistenziali del tenebroso portoghese (1480-1521) in un libro d’avventura per ragazzi, alla stregua di quanto, oltre un secolo fa, sul piano emozionale, avviene nella narrativa d’avventura sopracitata: la circumnavigazione del globo terrestre è raccontata quasi alla lettera, senza per questo rinunciare alle finezze di una prosa asciutta, sobria, concreta lungo 25 capitoli che, a loro volta, rinviano ad altrettanti coup-de-théatre, in un concatenarsi di situazioni via via drammatiche, impreviste, rocambolesche, controllate dallo stesso protagonista, filtrato però in prima persona dalla voce di Antonio Pigafetta.

L’italiano, narra Barbera, nella spedizione ha il compito di tenere un diario in cui annota, con estrema precisione, quanto di nuovo o di strano accade. Come si sa, questo primo giro del mondo durerà quasi tre anni, con l’arrivo di soli 18 uomini dei 237 partiti dalla Spagna: lo stesso Magellano muore in un imboscata su un isolotto delle Filippine, a causa dell’unica leggerezza commessa durante un percorso in cui egli stesso deve badare alle insidie degli oceani, come pure a quelle della ciurma o degli ufficiali. S

copo principale è arrivare in meno tempo possibile alle isole Molucche per rifornire il re di Spagna di oro e di spezie: ma i successivi immediati tentativi di circumnavigazione risultano fallimentari, scoprendo in breve che la rotta tradizionale resterà per secoli la più vantaggiosa per il commercio europeo.

A fine lettura si intuisce e si apprezza soprattutto la coralità del romanzo, dove, oltre Magellano e le Molucche, a occupare la scena sono i tanti personaggi, furbi, saggi, lesti, ingenui, miserabili, che, durante un tempo apparso allora infinito, riescono a godere del proprio quarto d’ora di notorietà, mostrando, come succede in quasi tutti i libri d’avventura, che il viaggio è una metafora per affrontare la vita quotidiana e che il tragitto è l’iniziazione rituale verso qualcosa di profondo e spesso inimmaginabile.

GUIDO MICHELONE

da il manifesto.it

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