Draghi ha scelto la linea dura, anzi durissima. Lo aveva anticipato al capo dello Stato nel colloquio di lunedì sera: «Senza la piena fiducia del M5S non vado avanti e non guiderò un altro governo». In una conferenza stampa nella quale la politica fa premio sul confronto con i sindacati per illustrare il quale è convocata, il premier è tassativo: «Ho già detto che per me non c’è un governo senza i 5 Stelle e che non ci sarà un Draghi 2».

Se domani al Senato il M5S non parteciperà al voto di fiducia non sembra esserci alternativa alle elezioni anticipate. Certo, formalmente il capo del governo non invade il territorio del presidente della Repubblica. Sarà lui a dover decidere, eventualmente, se rinviarlo alle Camere: «Questo lo decide solo Mattarella». Ma è questione di rispetto formale non di sostanza. La scelta resta quella di lasciare palazzo Chigi senza la fiducia piena dei pentastellati.

L’intero tono della conferenza stampa, del resto, è ferrigno: «Un governo con gli ultimatum non lavora e perde il senso di esistere. Se si ha la sensazione che si fatica a stare in questo governo, che è una sofferenza straordinaria, bisogna essere chiari». Messaggio più chiaro tanto per Conte quanto per Salvini non lo si può immaginare. Il Pd, dopo un incontro tra Letta e il premier, aggiunge il suo carico da 90: fa discretamente sapere che se Draghi dovesse mollare il Nazareno non insisterebbe per convincerlo a proseguire.

Per Conte il momento di una scelta difficilissima, conseguenza anche di una strategia poco lucida, è ora. Non a caso il premier cita quelli «che dicono che a settembre faranno sfracelli». Neppure lui si illude che la fibrillazione permanente con i 5 Stelle e con la Lega possa terminare. Salvini conferma subito: «Noi siamo leali e non mandiamo le letterine di babbo Natale. Chiediamo azzeramento della Fornero e taglio delle tasse: richieste del Paese non della Lega». Questo tira e molla il premier può reggerlo. Ma c’è un confine preciso che non si può varcare: la fiducia piena, senza remissioni, astensioni, diserzioni e mezze misure.

I margini per una resa di Conte, in concreto gli argomenti a cui appigliarsi per giustificare il voto di fiducia domani, ci sono anche se esigui. Draghi garantisce l’intervento sul salario minimo e un taglio sul cuneo fiscale, ancora da quantificare ma con i conti dati già è noto che sarà poca cosa, prima della legge di bilancio. Si impegna a varare un nuovo dl Aiuti, che dovrebbe stanziare altri 10-12 miliardi, entro luglio e che potrebbe slittare con la crisi. Per ora sono solo titoli: possono voler dire moltissimo o quasi niente.

È il classico bicchiere pieno a metà, o forse per un solo terzo. Sta a Conte decidere politicamente come considerarlo. Draghi non risponde direttamente alla sua lettera. Non potrebbe se non a costo di trovarsi subito dopo subissato dalle condizioni ultimative di ciascuna forza di maggioranza. Segnala però che «ci sono molti punti di convergenza con l’agenda del governo».

Più di questo il premier non concede: non una parola sul Superbonus e sul Reddito di cittadinanza, i cavalli di battaglia di Conte. Soprattutto un no secco, anche se non necessariamente definitivo, sulla vera e principale richiesta della “letterina” di Conte: un massiccio scostamento di bilancio. «Per ora lo scostamento non è necessario», taglia corto Draghi. Salvini replica subito: «La penso all’opposto». I 5S restano in silenzio in attesa della riunione del Consiglio nazionale di stamattina. Ma senza scostamento è l’intero impianto complessivo della lettera a essere minato. Conte deve scegliere tra il fare finta di non accorgersene o il prenderne atto e trarre le conseguenze.

Ma anche se i 5S decidessero di tenere duro e non votare la fiducia, ipotesi improbabile con una martellamento come quello a cui Conte è sottoposto, l’ultima parola non sarebbe detta. A decidere sul rinvio alle Camere, come giustamente segnala il premier, è Sergio Mattarella e il presidente è convinto che il governo debba restare in carica fino almeno fino a dicembre in nome di tre emergenze precise: il completamento del Pnrr, la ricerca di fonti energetiche alternative al gas russo e la nuova ondata di vaccinazioni.

Il presidente è convinto che tutti questi fronti sarebbero a forte rischio senza più Draghi presidente del consiglio. Dunque, se i 5S daranno seguito alla loro minaccia e il premier alle parole drastiche di ieri, si aprirà probabilmente una nuova partita. Stavolta in parlamento e con tutti gli attori in campo costretti a giocare a carte scoperte.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

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