La ricomposizione a sinistra: strada lunga, se voluta

Conservare un punto vi vista critico, che non finisca per diventare graniticamente ostinato e quindi oltrepassi sé stesso divenendo una sorta di carezza dogmatica sul libero pensiero, fa sempre...

Conservare un punto vi vista critico, che non finisca per diventare graniticamente ostinato e quindi oltrepassi sé stesso divenendo una sorta di carezza dogmatica sul libero pensiero, fa sempre bene perché permette di mantenere quel giusto distacco da potenziali infatuazioni per situazioni o eventi che, anche più che giustamente, possiamo definire positive.

A questo proposito, il battesimo che tra pochi giorni avrà la lista de “la Sinistra” a Roma, al Teatro Quirino è un fatto certamente importante che lascia intravedere una possibilità di inversione di tendenza rispetto alle tante “prove” che si sono tentate nei lustri appena dietro le nostre spalle con lo scopo di rimettere insieme i cocci di una parte progressista della politica italiana frantumata e divisa a seconda di fattori altrettanto differenti: per tattica elettoralistica, per vocazione governista, per impostazione culturale e semi-ideologica (l’ideologia è qualcosa di più elevato, da non relegare nell’ambito ristretto di una semplice strategia di breve termine con fini di gestione istituzionale delle problematiche di respiro sociale).

Dobbiamo essere onesti con noi stessi e dirci che “la Sinistra” che andiamo a costruire è un passo importante, e ciò va ripetuto e sottolineato, ma non possiamo definirlo ancora un percorso da cui “indietro non si torna“, proprio perché determinate contraddizioni permangono nel rapporto politico che le forze costituenti: non è un mistero che Rifondazione Comunista abbia escluso ormai da tempo un dialogo nazionale e regionale con forze che puntano alla riedizione del centrosinistra.

Infatti, con vicende alterne e diverse, dall’Abruzzo al Piemonte, passando per la Sardegna le strade del PRC e di Sinistra Italiana non hanno trovato convergenze proprio per la tendenza dell’una a privilegiare la soluzione della sinistra di alternativa e per quella dell’altra di tentare un rendenz-vouz di centrosinistra che puntasse sul teorema del “voto utile” atto a contrastare la strada delle destre e mettendo quindi da parte l’analisi per cui anche il PD “è parte del problema” e non la soluzione, l’argine e il modulo di contenimento politico e sociale del sovranismo moderno e dei neofascismi che rialzano pericolosamente la testa.

Partendo da questa consapevolezza, con uno spirito critico positivo, penso che sia concretizzabile un progressivo avvicinamento tra Rifondazione Comunista e Sinistra Italiana in tutti i territori, alla cui base deve però non tanto trovare spazio al momento una nuova cultura politica fondata su un’unica soluzione organizzativa che prevederebbe, prima di tutto, un’unica prospettiva culturale e “ideologica“, quanto una strategia chiara e senza sfumature.

Le singole alleanze elettoralistiche regionali adottate da Sinistra Italiana rimangono nel campo di un tatticismo che non regala un ampio respiro alla prosecuzione del progetto de “la Sinistra“: per ottenere ciò è indispensabile passare al più vasto raggio della strategia, considerando la fase attuale che viviamo come il prodotto di una sinergia di politiche liberiste prodotte tanto dalle destre quanto dei tentativi tecnici ed anche politici di governi diretti dal Partito Democratico.

La relazione del 29 marzo all’Assemblea nazionale di Sinistra Italiana, fatta da Nicola Fratoianni, lascia intendere che la volontà in merito esiste sul piano nazionale eppure non si ha un effetto a cascata nelle singole realtà regionali. Di qui le contraddizioni che devono essere risolte per assicurare al nuovo progetto politico una base quanto meno stabile su cui fondarsi e, quindi, essere pienamente riconoscibile dall’elettorato (e soprattutto dai lavoratori) come forza anticapitalista (oltre che antiliberista) per archiviare definitivamente qualunque pulsione di determinismo governativo nel cambiamento sociale come ultimo scopo dell’alleanza.

Il ruolo istituzionale della nuova sinistra che può e deve nascere non deve diventare un feticcio cui aggrapparsi e, parimenti, il settarismo movimentista che aveva caratterizzato parte di Rifondazione Comunista nel percorso infausto di “Potere al popolo!” va stigmatizzato, criticamente inteso e quindi anch’esso messo all’archivio.

Da ambedue le forze politiche si esige uno sforzo su differenti piani: politico, culturale e sociale. Politicamente va creata una tensione comune che unisca su scopi ben definiti e precisi tenuti insieme da un rinnovamento culturale che si riconosca nell’anticapitalismo, quindi nella critica senza se e senza ma del sistema del profitto e delle merci, affermando che nessuna ricetta socialdemocratica o di centrosinistra è in grado di far avanzare i diritti sociali, del lavoro e pure quelli civili poiché senza giustizia sociale non può progredire nessuna giustizia civile.

Parte “socialista di sinistra” e parte “comunista” dell’alleanza possono trovare un sincretismo, di più, una simbiosi rimanendo al momento autonome e distinte, senza fare salti oltre misura, senza dover dimostrare che “Hic Rhodus hic salta”, poiché si richiede molto modestamente di modificare progressivamente comportamenti, tendenze e impostazioni culturali per giungere ad una sempre maggiore collaborazione che escluda accelerazioni unitarie che altro non farebbero se non inasprire animi e settarizzare le posizioni meno concilianti che hanno tutto il diritto di esistere ed esprimersi.

La Sinistra nasce, cresce e si può radicare se non si lega mani e piedi al risultato elettorale del prossimo 26 maggio: qualunque esso sia. Un eccessivo entusiasmo e un eccessivo scoramento (a seconda dei voti ottenuti e delle rispettive percentuali) sarebbero ugualmente dannosi e non farebbero altro che mostrare e dimostrare l’effimero e non il concreto che serve invece per la rinascita della sinistra stessa. Un dovere che abbiamo per tenere fede alla nostra volontà di cambiare questa società, di arginare i neofascismi sostenuti da quel padronato che viene troppo spesso chiamato “mondo imprenditoriale” con una gentilezza immeritata, immotivata e che è anche essa motivo di divisione a sinistra.

Questa volta facciamo che sia la volta della svolta. Un ennesimo tradimento delle aspettative di chi ancora resiste nel panorama politico e antisociale odierno sarebbe letale. Per tutte e tutti noi.

MARCO SFERINI

12 aprile 2019

categorie
Marco Sferini

altri articoli