Il volto consueto della destra non si smentisce mai

Le belle parole di Giorgia Meloni sulla straordinaria capacità evolutiva della destra italiana, segnatamente di quella sovranista, conservatrice e neonazionalista che sta al governo del Paese e che la...
Matteo Salvini e Giorgia Meloni durante il "question time" alla Camera

Le belle parole di Giorgia Meloni sulla straordinaria capacità evolutiva della destra italiana, segnatamente di quella sovranista, conservatrice e neonazionalista che sta al governo del Paese e che la riguarda direttamente, si infrangono alla prova dei fatti.

La volontà repressiva del decreto – rave party, la continuità nel solco draghiano sul terreno prettamente economico e di bilancio, le sbavature antipopolari sulle accise dei carburanti, l’impostazione di una linea della fermezza contro le migrazioni, la spregiudicatezza dell’utilizzo di informazioni riservate contro le opposizioni e, da ultimo, il tono perentorio e censorio sulla registrazione anagrafica dei figli delle famiglie omogenitoriali.

Tutto questo fa della cosiddetta “destra moderna” una vecchia destra, con i piedi ben piantati in una visione tradizionalista dell’individuo, della famiglia, della nazione stessa, vista esclusivamente come “la Patria“, e di una collettività che deve sottostare ai dettami della maggioranza che opera secondo una morale politica vistosamente extra costituzionale.

Non c’è nulla nell’azione di governo che induca, anche lontanamente, a pensare che per una volta, dicasi una soltanto, si vada nella direzione del riconoscimento di un diritto che valga per tutte e per tutti: non quello della libertà di riunione, non quello di libertà di movimento e di richiesta di aiuto e soccorso dal mare alle coste, non quello di due genitori, etero o omo che siano, di vedersi riconoscere l’amore che hanno verso i loro figli.

Per la destra postfascista e fortemente liberista vale sempre e soltanto il dettame di un diritto morale, di un’etica di Stato, di una Legge con la elle maiuscola: la sola regolatrice dell’esistenza, l’unico perimetro entro il quale devono stare tutti i comportamenti dei cittadini italiani. Prima loro, poi tutti gli altri. Semmai…

Ma, così facendo, restaurando il trittico “dio, patria, famiglia“, le forze di governo, pure con alcune differenze al loro interno, mettono il Paese sulla china pericolosa di una rimodulazione peggiorativa non soltanto dei rapporti tra istituzioni e popolazione, ma prima ancora della collocazione dell’Italia entro una Unione Europea che chiede più diritti civili ed umani, meno stigmi differenziali tra persone, affetti, rapporti sociali, culturali, etnici ed anche religiosi.

Il governo, pretestuosamente, utilizza l’argomento della maternità surrogata per bloccare la registrazione anagrafica dei figli delle coppie cosiddette “arcobaleno“, quelle dei genitori dello stesso sesso. E non lo fa perché questi padri o queste madri siano persino aprioristicamente scriteriati, incapaci di crescere i loro figli.

Lo fa per una prevenzione ancora più violenta e becera: impedire che si affermi una naturalità che nei fatti già esiste e che ha bisogno della certificazione legale per poter essere accreditata in tutto e per tutto come diritto acquisito.

E’ quello che l’Unione Europea chiede. E’ quello che il governo italiano le nega e nega a tutte e tutti noi. Quando viene discriminata una parte della società, è come se tutta quanta la società lo fosse: perché oggi tocca alle famiglie omogenitoriali, domani può toccare ad un’altra categoria che spiace alle destre moderne intrise di un missaggio di disvalori impressionante.

Non ci si aspettava nulla di diverso dagli eredi del MSI, del ventennio berlusconiano e del padanesimo leghista d’antan.

Anzi, ha sorpreso persino che siano stati, zitti zitti, forse per imperizia e impreparazione sul piano meramente economico e finanziario, nella linea della cosiddetta “agenda Draghi“. Salvo poi peggiorare tutta una serie di disposizioni nella Legge di bilancio, lasciando praticamente senza decreti attuativi decine e decine di provvedimenti che sarebbero altrimenti stati quasi immediatamente esecutivi.

Siccome due più due fa sempre quattro, se si mettono insieme la repressione anti-rave, la disposizione malevola sui migranti, i tanti episodi di simpatia verso comportamenti che richiamano lo squadrismo di un altro ventennio, l’ostilità manifesta verso la cultura resistenziale, antifascista e democratica della Repubblica o, quanto meno, la completa apatia che lasciano emergere quando debbono, per cortesia istituzionale soltanto, riferirsi alla fondazione della nuova Italia nata nel 1945-46, il richiamo alle radici cristiane e alla sacralità della famiglia “normale“, ecco che il ritratto antico, di pessimo gusto della destra viene completamente alla luce.

Nel “question time” tenutosi alla Camera dei Deputati ieri, la Presidente del Consiglio ha dato sfoggio di tutti i toni da comizio elettorale che sono, alla fine, i veri toni con cui fa politica e che la rappresentano pienamente.

La muscolarità energica di un conservatorismo retrivo, di una aperta contrapposizione con qualunque idea di uguaglianza sociale e civile, l’idiosincrasia manifesta con qualsiasi espansione normativa che estenda i diritti di qualunque persona, a prescindere dal colore della pelle, dalla sua lingua, dalla sua provenienza, dal suo credo filosofico, politico, religioso.

La destra è recinto, è steccato, è muro, è preservazione dei confini a tutti i costi, è separazione e divisione, è azzeramento delle differenze soltanto in nome della Legge e di uno Stato che vorrebbero presidenzialista, guidato da una figura che unisca i poteri del Quirinale e quelli del Presidente del Consiglio nel nome di un richiamo patriottico alla difesa dei valori antichi, dell’italianità a tutti i costi che, messa così, è veramente spregevole: perché non si è italiani contro qualcuno, ma si è italiani con qualcun altro e nei confronti di altri.

Non abbiamo dei diritti nel momento in cui questi sono acquisiti a scapito di altri settori sociali, sulla pelle di altre persone: autoctoni o meno che siano. In quel caso abbiamo solo dei privilegi, dei favori che ci sono garantiti per diritto di nascita, per diritto e molta poca carità di patria.

Il pericolo maggiore che corriamo è considerare, tutto sommato, normale la politica del governo, adeguata agli standard della destra: tanto ci si aspettava, tanto è. Accettare questo come dato di fatto, quindi come una parte del gioco democratico, gestibile e redarguibile ogni volta che serve attraverso gli strumenti costituzionali è già un grossolano errore. Non bisogna mai dare per scontato che attraverso le leggi si possano preservare le leggi stesse, le costituzioni e il diritto in generale.

Per ottenere tutto questo occorre creare una coscienza critica di massa, capace di essere sentita diffusamente, di essere percepita attraverso le organizzazioni democratiche, antifasciste, culturali, sindacali e partitiche, come la più genuina interpretazione della Costituzione repubblicana.

Attribuire alle destre una “normalità” di comportamento nel momento in cui recidono i diritti, comprimono le libertà e mettono all’angolo la storia tribolata dell’Italia novecentesca per far avanzare un revisionismo che sostenga culturalmente i loro assunti antistorici e a-fattuali, è giustificare la propria incapacità di critica, di contrasto, di ferma opposizione.

E’ inaccettabile che un governo dichiari, con i fatti che fa, che i figli non sono tutti uguali. E’ irricevibile l’atteggiamento discriminatorio che sta non dietro, ma bene in evidenza davanti alle norme che vengono negate, che non si vogliono avallare permettendo così alla oggettività della realtà, dei sentimenti, degli affetti, dei rapporti umani di avere cittadinanza in tutta la Repubblica.

Ecco: la Repubblica non è e non può essere esclusivismo, discriminazione, particolarismo e pervicace distinzione determinata da una scala valoriale diversificante in base al genere, al sesso, ad una sorta di fisiognomica dell’animo e del desiderio, ad una analisi introspettiva vincolata alla corrispondenza immarcescibile del trittico conservatore e tardo fascistoide che mette insieme divinità, indefessa patria e incrollabile, giusta, bella, imperturbabile normale famiglia eterosessuale.

Come è angusto, stretto e claustrofobico il mondo delle destre: così attento ad essere fedele alla globalizzazione delle merci e dei profitti, così pronto a negare quella dei diritti sociali, civili ed umani. Il teorema liberista dello Stato forte a difesa dei privilegi imprenditoriali e della proprietà privata dei mezzi di produzione trova in queste destre capricciose, intrise di una nuova, aggiornata banalità del male, la sua migliore traduzione pratica nel rapporto tra struttura e sovrastruttura.

La cattiveria è troppo semplicistica come categoria da attribuire alle destre: eppure c’è, si respira, la si evince negli sguardi rigidi, duri dei ministri che impartiscono la severità legislativa (“Dura lex, sed lex“) che vale sempre e soltanto per gli ammaestrabili, per i più deboli, per i meno tutelati, per i più indigenti e ricattabili socialmente.

Non ha mai valore invece per chi detta la linea economica, per chi fornisce il pensiero dominante, quello “unico” cui chi governa un po’ deve uniformarsi, rinunciando ad una parte del proprio lessico propagandistico.

Solo perché il governo governa, non è detto che quello che fa sia aprioristicamente giusto, di per sé accettabile e convertibile in una sorta di normalità dei fatti, in una incontrovertibile sequenza di azioni da vivere senza se e senza ma. Dobbiamo riscoprire la critica singola per arrivare a quella di massa. Ma dobbiamo anche dotarci nuovamente di forme aggregative capaci di tradurre tutto questo in pratica.

Stando nelle nostre case a compulsare telefonini, tastiere di computer e canali televisivi non risolveremo nulla. La socialità che ci sembra di vivere e creare a distanza non dà vita alle lotte vere e proprie. Bisogna riaversi da questo torpore molto seducente, scansarlo e tornare in piazza per qualunque diritto sociale e civile, morale e culturale venga messo sotto attacco dalle destre. Bisogna fermare queste destre quanto prima. Ma per farlo non basta una sommatoria di partiti.

Occorre una forza socio-politica, un mutamento davvero antropologico della nostra comunità nazionale, del nostro pensarci dentro contenitori più ampi, dentro una globalità di azioni che ci include nell’interezza del mondo: dalle pandemie alle guerre, dalle migrazioni ai crack bancari.

Qualcuno diceva… “E’ sempre il momento giusto per fare la cosa giusta“. Gli spararono, ma quella lotta che portò avanti dura ancora oggi. In tutto il mondo.

MARCO SFERINI

16 marzo 2023

foto: screenshot You Tube

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