«É il miglior Capodanno di sempre» grida una donna con una maglietta rossa. Sono le 9,30 di mattina del 1° gennaio a Brasilia, dove si svolgerà la cerimonia di insediamento del 39° presidente del paese: Luiz Inácio Lula da Silva, 77 anni, eletto per la terza volta alla guida del gigante sudamericano. La donna fa parte della trecentomila persone arrivate da tutto il Brasile per festeggiare l’insediamento di Lula, tutte in fila già da mattina presto, benché la cerimonia inizi solo dopo pranzo.

Il corteo presidenziale parte dalla Catedral Metropolitana, l’opera che è valsa il Nobel per l’architettura a Oscar Niemeyer. Una Rolls-Royce accompagna il Presidente, il suo vice Geraldo Alckmin, e le rispettive mogli. La sicurezza aveva consigliato un’auto blindata, per evitare i rischi terrorismo. «Ci vorrebbe una cerimonia alla JF Kennedy» avevano scritto i bolsonaristi in rete. Ma Lula non si è fatto convincere, l’auto blindata sarebbe stato un segnale di cedimento al demonio del terrorismo politico.

La Rolls Royce gli spazi immensi di questa città fondata alla fine degli anni Cinquanta, sul progetto avveniristico dell’urbanista Costa, si muove lenta lungo la Esplanada, il gigantesco asse lungo il quale sorgono i ministeri e il Congresso Nazionale.

Ed è qui, davanti ai parlamentari, che Lula elenca le priorità del governo: la lotta alla fame e alle disuguaglianze, da combattere attraverso politiche economiche, industriali e politiche sociali che superino «lo stupido teto de gastos» il limite alla spesa pubblica imposto nel 2016. Promette unione e ricostruzione, ma senza dimenticare le responsabilità del «genocidio del governo Bolsonaro durante la pandemia». E conclude, accompagnato da un’ovazione: «Mai più dittatura, democrazia sempre»,

Dopo di lui, Rodrigo Pacheco, presidente del Senato, esponente del Centrão, unione parlamentare pigliatutto, promette collaborazione da parte di «un Parlamento progressista e riformista». Un anziano cronista lo ascolta perplesso: «Ma che ha bevuto?». Il discorso di Pacheco, esempio del gattopardismo della politica brasiliana, è musica per le orecchie di Lula che nel Parlamento è in minoranza.

Ultima tappa della Rolls, il palazzo di Planalto, l’ufficio di Lula per i prossimi quattro anni. Secondo la prassi, il Presidente uscente dovrebbe passare la fascia verdeoro all’entrante. Ma la fuga di Bolsonaro in Florida, lontano dai guai giudiziari e dagli obblighi istituzionali, ha dato a Lula l’opportunità di trasformare il rito in un messaggio potente. La fascia l’ha ricevuta da un gruppo composto da un anziano leader indigeno, un bambino, un operaio, un insegnante, una cuoca, una persona con paralisi cerebrale. Insieme, rappresentano «il popolo del Brasile» hanno detto.

Poco prima che l’eterogeneo gruppo si incammini lungo la rampa che porta al Palazzo, un istante prima degli onori militari, una tromba suona Anunciação, di Alceu Valença, intonata dalle migliaia di persone nel Piazzale dei Tre poteri. In cima alla rampa bianca di marmo, Aline Souza, una donna nera di 33 anni, robusta e con le trecce, presidente della cooperativa raccoglitori di rifiuti, fa indossare la fascia a Lula. È lo zenit, oltre il quale seguono gli applausi.

Sudore, lacrime, sollievo e gioia si mescolano sotto il sole di Brasilia. Lula si rivolge alla folla, rivendica le scelte dei ministeri dell’uguaglianza razziale, della donna e dei popoli indigeni, per saldare i debiti storici del paese verso questi gruppi. Piange quando parla di coloro che soffrono la fame.

Segue il momento delle autorità straniere, che «non se ne vedevano così tante dalle olimpiadi di Rio del 2016» dice soddisfatto un dirigente del Partito dei Lavoratori (Pt).

L’America Latina è tutta a Brasilia: i presidenti Gabriel Boric dal Cile, Gustavo Petro dalla Colombia, Alberto Fernández dall’Argentina. Gli Stati uniti sono presenti con il Segretario agli Interni e la Cina con il Vicepresidente. Dal vecchio continente sono arrivati il re di Spagna, il presidente della Repubblica tedesco, il primo ministro portoghese. Nessun esponente del governo italiano.

Finita la cerimonia, le berline sfrecciano verso l’aeroporto e Lula firma i primi decreti, sulla regolazione delle armi e l’annullamento del segreto di Stato imposto da Bolsonaro.

La folla rimane per la festa che continua fino a notte. Sul megapalco del Festival do Futuro, organizzato da Rosangela ‘Janja’, la moglie di Lula, si alternano oltre sessanta artisti. Tra il pubblico, c’è gente arrivata da tutto il paese. Come Natan, insegnante di Sergipe, nel Nord est: «È un sollievo la fine di Bolsonaro. Nel governo Lula ci sono nomine che mi piacciono, come la ministra della Cultura (la cantante baiana Margareth Menezes, ndr) e Marina Silva all’Ambiente. Ma non dobbiamo rimanere zitti su quello che non ci piace, dobbiamo essere critici, altrimenti ritorna il bolsonarismo sotto altre vesti» conclude.

Rosso è il colore prevalente, quello delle bandiere del Pt, dei movimenti sociali, i pilastri del lulismo nella società. Ma si rivedono le bandiere brasiliane, in passato sequestrate dal bolsonarismo. Una grande bandiera rossa con falce e martello sventola di fianco a un manifesto: «Gesù benedica il nostro presidente».

Ci sono gruppi di samba, i portuali di Santos, un gruppo di artisti di Bahia con i tradizionali abiti bianchi e i turbanti. La festa va avanti fino a notte fonda, anche quando anche gli ultimi bar chiudono perché hanno già venduto tutto. «La notte in cui Brasilia rimase senza birra. Ho il titolo per il mio pezzo di domani» sorride una giornalista argentina.

FEDERICO NASTASI

da il manifesto.it

Foto di Igor Kishi