La Corte penale internazionale ha spiccato un mandato di arresto per crimini, come l’adozione dei minori ucraini, di cui Putin si è addirittura lodato. Se però è un criminale, con chi si potrà ora negoziare la fine della guerra? C’è voluto più di un anno di conflitto per l’incriminazione.

Più di un anno di tempo affinché il Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) richiedesse l’arresto di Vladimir Putin per reiterati crimini di guerra. Ma sono sorprendenti i capi di imputazione: non aver iniziato una guerra, non per aver consentito che il suo esercito uccidesse i non combattenti, non per aver strategicamente mirato le infrastrutture civili, come le centrali elettriche ed idriche, del Paese occupato.

Tutti questi fatti ben noti all’opinione pubblica e ancor più alla Cpi sono, per ora, passati in secondo piano. L’incriminazione riguarda la deportazione di bambini da Mariupol e altre zone di guerra verso orfanotrofi e altri centri di raccolta se non addirittura l’averli dati in adozione a famiglie russe.

Il Cremlino ha sempre negato i crimini che gli hanno imputato: questa non è guerra, continuano a dichiarare, bensì una «operazione militare speciale», non è vero che l’esercito abbia ucciso civili a Bucha e altrove, si tratta solo di propaganda occidentale. Come sempre avviene in un conflitto, entrambe le fazioni denunciano gli orrori del nemico e negato i propri.

Ma per la ricollocazione dei minori dalle aree di guerra è successo esattamente il contrario: la Russia ha esplicitamente dichiarato di avere voluto «proteggere» e «salvare» i bambini, e i programmi di adozione sono stati addirittura magnificati dai mezzi di informazione. Si tratta, insomma, di un crimine di cui Putin e il suo entourage, a cominciare dalla sua collaboratrice Maria Alekseyevna Lvova-Belova, anche lei oggi sotto mandato di arresto, si sono addirittura lodati di fronte alle televisioni.

Del resto, non bisogna dimenticare che la Russia, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sta ospitando il numero più alto di rifugiati di questa guerra: più di 2,8 milioni, quasi il doppio rispetto a quelli ospitati in Polonia e pari a più di un terzo di tutti i rifugiati generati da questa insensata guerra.

Quale può essere il ruolo della giustizia penale in questo conflitto? Non era mai successo che i giudici fossero così attivi mentre sparano i cannoni. I tribunali ordinari ucraini hanno già condannato all’ergastolo alcuni semplici soldati per crimini di guerra, rendendoli poi disponibili per eventuali scambi di prigionieri. I separatisti russi hanno più volte minacciato una Norimberga 2.0 per processare i militi del Battaglione Azov per i bombardamenti sui civili del Donbass compiuti dal 2016 in poi, senza però farsi alcuna remora dal liberarli dopo trattative.

Ancora più solerte è stata la comunità internazionale, con periodiche dichiarazioni, tra gli altri da parte di Joe Biden, Boris Johnson e Ursula von der Leyen, di voler mettere sotto processo il Cremlino. Vari Stati, tra i quali l’Olanda, il Belgio e la Francia, hanno messo a disposizione della Cpi investigatori per raccogliere prove sui crimini di guerra commessi.

La storia mostra che le toghe sono entrate in azione quando i generali avevano finito di combattere. Oggi non più. In tutto questo attivismo penale da parte dei Paesi occidentali, siamo forzati a chiederci: potrà la guerra finire con la sconfitta definitiva della Russia e una resa senza condizioni? Ben pochi oggigiorno si meritano la patente di criminale di guerra quanto Putin, ma dopo di lui chi gestirà le trattative?

Ci sono responsabilità che spettano alla politica ed altre che sono di competenza dei giudici. I pretori stanno svolgendo il proprio lavoro e possiamo essere certi che nel giro dei prossimi mesi le incriminazioni non faranno che aumentare. Ma questo non deve esimere la diplomazia dallo svolgere il proprio lavoro, per giungere il prima possibile ad un cessate-il-fuoco, al progressivo ritiro delle truppe russe dalle zone occupate e ad una ricostruzione dell’Ucraina.

Per quanto la giustizia penale internazionale, così faticosamente risorta un quarto di secolo fa, se la si vuole veramente rinforzare sarebbe necessario che gli Stati uniti finalmente aderissero alla Cpi, accettando di essere sul banco degli accusati come tutti gli altri membri – responsabili di tante guerre criminali – e che si lasci all’Ufficio del Procuratore la possibilità di decidere dove indagare, giacché finanziare programmi ad hoc significa inevitabilmente ridurre la sua imparzialità.

In tutto questo caravanserraglio di minacce giudiziarie, bisogna anche essere consapevoli dei limiti dei tribunali. Come insegna il processo di Norimberga e i suoi troppo pochi epigoni, i crimini sono sempre troppi e i condannati sempre troppo pochi.

Per uscire dalla guerra in Ucraina, oltre ai processi sarà necessario un ben più diffuso processo di verità e riconciliazione analogo a quello che Nelson Mandela ebbe il coraggio di avviare in Sud Africa. I popoli russo ed ucraini sono destinati a convivere uno accanto all’altro e quando finalmente gli attuali delinquenti saranno scacciati dal Cremlino, sarà necessario ritrovare le condizioni per una pace duratura.

DANIELE ARCHIBUGI
Autore del libro “Delitto e castigo nella società globale”, ed. Castelvecchi 2022

da il manifesto.it

Foto di Florian Lisi