Proprio perché il governo non è d’accordo, bisogna manifestare

“Manifesto, manifesto, manifesto per le strade, manifesto molto spesso anche in piccole contrade.  Manifesto, manifesto, meglio dir manifestavo… Io son diventato bravo e non manifesto più.” (Paolo Pietrangeli –...

Manifesto, manifesto, manifesto per le strade,
manifesto molto spesso anche in piccole contrade. 
Manifesto, manifesto, meglio dir manifestavo…
Io son diventato bravo e non manifesto più.
(Paolo Pietrangeli – “Manifesto”)

Ingenuamente forse, ho sempre pensato che le manifestazioni che sostengono e promuovono i valori costituzionali sono indiscutibilmente momenti di aggregazione e di partecipazione che non possono che fare bene all’intera comunità tanto di un singolo territorio quanto alla più vasta popolazione italiana.
Di più ancora, davanti alle efferatezze compiute nei giorni scorsi a Macerata, davanti alle molte recrudescenze che si avvertono in tante parti del Paese, ritenevo fosse quasi naturale, direi meccanicistico il processo di attivazione di una grande reunion antifascista per dimostrare intanto solidarietà alle vittime e poi il fenomeno evidente che esiste una larghissima fetta di Italia che rifiuta chi istiga all’odio, al pregiudizio, alla discriminazione e chi esercita tutti questi disvalori nella forma cruda e cruenta della violenza veramente terroristica.
Mi sono domandato, retoricamente, cosa mai d’altro deve accadere ancora a Macerata e nel resto d’Italia perché non si faccia appello alla calma, serena tranquillità del “non manifestare”, del far “sbollire gli animi”, arrivando quindi allo scopo voluto di impedire la manifestazione antifascista. In nome del non esacerbamento degli animi, provando a chetare le irruenze e la rabbia, l’istintività che viene vista non come reazione spontanea ad una ingiustizia, ad un crimine di stampo razzista, bensì come potenziale violenza che si contrappone ad altra violenza.
Per questo, invece di vietare i raduni dei neofascisti a Macerata e consentire al contempo lo svolgimento del corteo democratico e costituzionale, si opera un baratto: niente manifestazioni da ambo le parti. Né fasciste e nemmeno antifasciste.
Mettere sullo stesso piano queste due antiteticità è quanto meno imbarazzante o dovrebbe esserlo per uno Stato repubblicano e democratico. Eppure sindaci, ministri e associazioni culturali, sindacali e dell’antifascismo militante firmano un documento dove, precisando che non c’è cedevolezza d’alcun genere, accettano la richiesta del primo cittadino di Macerata: niente manifestazione. Plaude il ministro Minniti, plaude il governo.
Davanti a questo capolavoro di “pace civile” (a quella sociale ci pensano i veri direttori del vapore: i padroni e gli oligarchi), sono tutti contenti. Si può continuare a fare campagna elettorale senza doversi occupare di problemi di ordine pubblico: quelli in cui devi schierare la polizia, i blindati e reti metalliche per evitare che vengano a contatto fascisti e centri sociali. In linguaggio giornalistico, sprezzantemente stigmatizzante, sarebbero definiti “gli antagonisti”.
Tutto si capovolge nella consuetudine della apparente normalità di vita quotidiana di un popolo che abbonda di letture di cronaca nera dove sono quasi sempre le donne ad essere uccise ferocemente e, nel caso vi sia un movente politico e razziale, ecco che per un attimo il velo viene squarciato, tremano le mura del tempio dell’informazione per lo spostamento dell’attenzione dalla catena di delitti da rivedere in tv nelle trasmissioni di nero approfondimento a quella che si tenta di far passare come una scheggia impazzita, nata dalla mente preda di una vendetta con risvolti persino sentimentali e amorosi.
Una vendetta che si ammanta del tricolore repubblicano, che inneggia a braccio teso e dita dritte ad una Italia da restituire agli italiani, senza sapere che questa Italia sono proprio gli italiani ad averla consegnata per molto tempo nelle mani delle peggiori forze reazionarie.
Lo hanno fatto più o meno consapevolmente, turlupinati nelle loro deboli menti prive di una coscienza critica decente e di una altrettanto necessaria e decente istruzione e conoscenza del proprio passato; lo hanno fatto spinti dalla disperazione di un impoverimento che è stato loro spiegato come parto delle migrazioni e di coloro che vengono nello Stivale “per rubarci il lavoro”; lo hanno fatto perché sono stati abbandonati da una sinistra che ha seguito troppo un pragmatico senso delle istituzioni nel volerle preservare dal “ritorno delle destre”, senza accorgersi che le destre peggiori erano quelle che dicevano di voler combattere altre destre.
Insomma, s’è rivoltato il mondo su cui era stata costruita la Repubblica antifascista e così l’insulto peggiore, quello d’essere fascista, è diventato pronunciabile, ben scandito, come un’essenza politica, una forma ideologica da ritrovare nel secondo millennio da parte di chi non ha bisogno di vecchie simbologie per essere fascista, bensì ha bisogno della fine della speranza che nella democrazia vi possa essere la soluzione almeno ad una parte dei problemi sociali esistenti.
Le dinamiche dell’informazione di massa, dalla televisione ai social network, hanno giocato un ruolo primario nel dirigere la cosiddetta “opinione pubblica” sul terreno del convincimento generale del pericolo costante, alimentando paure immotivate, evitando di parlare di dati concreti ma stando sulla sensazione, sulla sensibilità e sulla percezione del pericolo.
Percepire non vuol dire essere certi, sicuri che un dato sia poi un fatto. Anche i numeri hanno bisogno di una conferma, quindi di una corrispondenza tra studio e realtà, tra soggettivo e oggettivo.
Chiedere la sospensione di una manifestazione di risposta al crimine compiuto a Macerata è affermare indirettamente che non si può contrastare popolarmente il fenomeno di revanchismo neofascista che vorrebbe dilagare nel Paese e che televisioni e siti amplificano a dismisura; il tutto in nome della “pubblica sicurezza” e della “pacificazione”.
Invece occorre essere intransigenti nel difendere i valori repubblicani, l’uguaglianza tra i cittadini tutti, la libertà individuale e collettiva, ogni forma di spontaneismo che si ispiri alla proclamazione dei dettami costituzionali.
Non basta avere la concessione di potersi presentare al voto, sfruttando la libertà democratica, per potersi accreditare come forze politiche inserite nell’arco del costituzionalismo.
E’ mancato un coraggio politico fin dal 1946, parzialmente venuto a galla negli anni ’70 sull’onda delle proteste studentesche, nello sciogliere le forme politiche e sociali organizzate dai diretti eredi dei fucilatori dei partigiani e degli estensori dei manifesti razzisti dopo il 1938. Poi il revisionismo storico ha provato a voltare pagina, ha scritto libri pieni di storie alternative e ha creato una fenomenologia quasi spontaneistica in merito ad una memoria condivisa per permettere ai neofascisti di valersene come punto di appoggio storico e culturale.
Ma non può esservi spazio per visioni così diametralmente opposte della vita in un Paese che, se vuole ristabilire una minima essenza di democrazia, deve sostituire il liberismo politico con un nuovo socialismo delle proposte pratiche e, quindi, delle idee.
Il vestito della Carta del 1948 è troppo stretto per farci stare dentro un corpo che contenga il neocorporativismo fascista e l’egualitarismo comunista e libertario, così come è impossibile che possa tenere insieme il sovranismo e il liberalismo.
Dovete scegliere. Tutte e tutti. O state con la Costituzione antifascista o state con il neofascismo trasformistico da mille volti. Non ci sono terzietà cui appellarsi, non ci sono vie di mezzo.
Per questo è bene che a Macerata si manifesti, pacificamente, e che lo si faccia in tutta Italia. Anche se il governo non è d’accordo. Anzi, soprattutto se il governo non lo è.

MARCO SFERINI

9 febbraio 2018

foto tratta dalla pagina Facebook di Potere al Popolo!

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