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Gilet gialli, la povertà cambia volto

I sociologi francesi già si lagnano della mancanza di un libro teorico scritto da uno dei gilet jaunes. I politici, da Le Pen a Mélenchon, dichiarano invece di avere nei loro programmi le rivendicazioni dei dimostranti,ma i loro cappelli insidiosi vanno stretti a quelle teste calde. I vecchi nouveaux philosophes, poi, masticano amaro. Tutta l’intelligenza francese si sente spiazzata.

Nostalgia di Sartre? Eppure, a ben vedere, dentro quel movimento ci sono anarchici, gente di estrema sinistra, fascisti, che però non amano le vecchie bandiere, prediligendo non i vecchi gilè dei nostri piccoli borghesi di una volta, ma quelli gialli in dotazione nelle loro macchine. E protestano a partire non a caso dall’aumento delle tasse sul carburante, fottendosene della svolta ecologica di Macron, immaginata a spese loro. D’altro canto i nostri grillini credono che con i loro Vaffa abbiano preceduto la protesta francese. Gongolano quando dichiarano che qui da noi i gilet, per fortuna, sono al potere. Ed è tutto merito loro se non ci sono più proteste violente. Le hanno inglobate, intesi? Sono molti a credere, dandosi buona coscienza, che i casseurs che hanno preso di mira le vetrine delle banche, dove hanno prelevato i bancomat, la minoranza più violenta, siano fascisti. La confusione è totale quando i gilet hanno respinto il tardivo incontro con Macron, ritenendo che nessuno possa, approfittando, parlare a loro nome. La novità sembrerebbe essere questa, anche se i precedenti ci sono, antichi e moderni. Ricordate i luddisti e i casseurs delle fabbriche e delle periferie? Per capirci qualcosa credo che bisogna tornare ai nuovi bisogni primari, alla nuova misère da abbattere. Che avvolge non soltanto le grandi periferie di Parigi.

La nuova povertà non assomiglia in nulla alla vecchia, quella per intenderci dei nostri anni Cinquanta, che i letterati dipingevano con un velo di poesia struggente. La vecchia fame commuoveva chi del proletariato aveva fatto un mito. Il costo della vita odierna è altissimo e non tutti arrivano, come si dice, «a fine mese».

A me ha colpito una donna che intervistata da una radio francese, ha confessato di percepire uno stipendio di soli mille e duecento euro al mese, di vivere in affitto lontano da Parigi. Per raggiungere il posto di lavoro con la sua bagnole, spende sui quattrocento euro mensili. Che fare? Indossa il gilet perché semplicemente non ce la fa più e la tassa sul carburante le ha aperto gli occhi definitivamente.

I fascisti, la sinistra, Macron? Sono stati scupolati dall’evidenza di questa nuova miseria. È una protesta popolare senza bandiere perché non vogliono essere «rappresentati» da nessuno. Non a caso tutto è nato sui social. È forse la «moltitudine» teorizzata forbitamente dal comunista Toni Negri? O assomiglia alla gioventù di «Lotta continua»? Neanche per sogno, anche se è qualcosa che ha molto a che fare con la globalizzazione del mercato che ha rivelato quella dei nuovi bisogni primari.

Certo il giovane Marx avrebbe scritto pagine di fuoco, avvolgenti, su questa protesta, anche se il suo Manifesto del comunismo non avrebbe avuto il successo di allora. Il re è nudo, signori, anche se molti pensano che sia una fiammata che presto si spegnerà. Non si spegneranno i nuovi bisogni di un popolo che non riesce a vivere non tanto al livello pur basso del ceto medio ma nemmeno nella povertà atrocemente alimentare di quello che una volta certi politici chiamavano «popolo bue».

RENZO PARIS

da il manifesto.it

foto: screenshot

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