Ci baciamo da così tanto tempo che non ci ricordiamo più quando abbiamo cominciato a farlo. Sappiamo molte cose sulle abitudini degli umani preistorici e anche dei loro cugini Neanderthal: ne conosciamo le opere d’arte e la dieta, l’organizzazione sociale e i primi antibiotici. Ma sappiamo poco sui loro baci. Baciarsi sembra un’attività istintiva che non ha bisogno di educazione, e piuttosto popolare. Oggi è considerato il primo passo di ogni attività erotica. Ma forse non è sempre stato così, e non per tutti.

Al tema hanno dedicato un interessante approfondimento sulla rivista scientifica Science l’archeologo danese Troels Pank Arbøll dell’università di Copenaghen e la biologa Sophie Lund Rasmussen, sua connazionale, in forze all’università di Oxford.

Gli scienziati distinguono due forme di bacio: quello amicale-familiare, utile a certificare i legami sociali in una comunità, e quello romantico bocca contro bocca, direttamente connesso all’intimità e al sesso. Le due tipologie di bacio non hanno seguito la stessa storia: il bacio amicale appare infatti diffuso in tutte le società e in ogni epoca. Più misteriosa è la storia del bacio romantico, a cui in genere attribuiamo una maggiore spontaneità e che invece potrebbe essere figlio di un’evoluzione culturale di cui conosciamo ancora poco.

Scrivono i ricercatori: «mentre il bacio amicale-familiare appare ubiquo tra gli umani dal punto di vista geografico e temporale, il bacio romantico-sessuale non è culturalmente universale ed è dominante nelle società stratificate», dove potrebbe aver rappresentato «uno strumento per valutare un potenziale partner attraverso segnali chimici comunicati con la saliva e con il respiro».

Lo studio più completo sulla diffusione del bacio nelle varie culture è stato realizzato da tre ricercatori statunitensi nel 2015 e ha riguardato i 168 gruppi culturali in cui gli etnografi suddividono l’umanità. Dall’analisi è emerso che il bacio erotico è presente solo nel 46% delle culture, tra cui la nostra.

Cercare tracce di baci amorosi nelle fonti scritte o nelle arti figurative non aiuta a delucidare il mistero della sua origine. Fino a pochi anni fa il documento più antico disponibile sul bacio era relativamente recente: si tratta di un manoscritto ritrovato nell’India meridionale risalente all’incirca al 1500 avanti Cristo. I ricercatori danesi invece ritengono che le prime tracce scritte risalgano a parecchi anni prima.

Per averne la prova basterebbe saper leggere la scrittura cuneiforme degli antichi popoli della Mesopotamia, nell’odierno Iraq meridionale, arte di cui l’assirologo Arbøll è specialista. Nei testi sumeri e accadici risalenti a circa 4000 anni fa, infatti, si trovano già cronache di baci clandestini capaci di distogliere dalla retta via una donna sposata o, al contrario, di donne nubili costrette a difendersi dall’accusa altrettanto oltraggiosa di aver baciato un uomo fuori dal matrimonio.

Alla stessa epoca viene datata una tavoletta di argilla, sempre di origine mesopotamica, su cui un bassorilievo descrive inequivocabilmente il bacio appassionato di due amanti.

E prima? il bui. Un’interpretazione più incerta riguarda una statuetta alta dieci centimetri rinvenuta nel 1933 nei pressi di Betlemme e ribattezzata «gli amanti di Ain Sakhri» dal nome della grotta in cui è stata trovata. La statuetta, dalle forme appena abbozzate, mette in scena un amplesso. Ma stabilire se gli amanti fossero impegnati anche in un tenero bacio, oltre al coito, non è facile. In caso affermativo batterebbe ogni altro reperto, visto che l’accoppiamento di Ain Sakhri risale a nove millenni avanti Cristo.

Altri documenti univoci non ce ne sono e tanta reticenza su un’attività da sempre così popolare e diffusa interroga antropologi e archeologi. Che uomini e donne preistoriche non si baciassero è poco verosimile, ma in assenza di evidenze oggettive l’origine del bacio è affidata solo alle ipotesi.

Qualche indizio arriva dalla paleogenetica, la tecnica di analisi del Dna che sta aiutando storici e antropologi di matrice umanista a delucidare il nostro passato vicino e lontano. Di particolare interesse è lo studio delle malattie infettive, da sempre collegate alle relazioni sociali delle comunità in cui si diffondono come ha drammaticamente dimostrato la pandemia.

Analizzando il DNA ritrovato in scheletri umani antichi, ad esempio, i ricercatori delle università di Tartu (Estonia) e Cambridge (Regno Unito), l’anno scorso hanno identificato la presenza del virus HSV-1, il cosiddetto Herpes simplex. L’herpes circola nell’Homo sapiens sin dai tempi della migrazione dall’Africa e che si trasmette per via sessuale e orale. Analizzando il genoma virale, gli studiosi hanno concluso che il ceppo dell’herpes circolato negli ultimi secoli in Europa è ben più recente.

Deriverebbe da una variante che si è diffusa all’inizio dell’età del bronzo, circa 5 mila anni fa. Quello fu un periodo di enormi migrazioni. Fu allora, ad esempio, che la popolazione degli Yamnaya si insediò al centro dell’Europa in provenienza dalle steppe dell’odierna Russia, rivoluzionando l’organizzazione sociale e tecnologica degli antichi europei.

I paleo-genetisti ipotizzano che evidentemente gli Yamnaya portarono con sé non solo un ceppo virale tra i tanti, ma anche una nuova modalità di trasmissione capace di renderlo dominante rispetto a quelli esistenti, «forse legata all’introduzione di nuove pratiche culturali come l’avvento del bacio sessuale-romantico» scrivono gli autori dello studio.

Altri indizi puntano ancora più lontano. Nel 2017, un’altra équipe internazionale di paleontologi studiò e confrontò i microbi presenti nella placca dei denti appartenuti ai Neandertal circa cinquantamila anni fa in un sito spagnolo (El Sidròn) e in uno belga (Spy). I ricercatori realizzarono sensazionali scoperte sulla loro dieta – ghiotta di rinoceronti e pecore a Spy, rigidamente vegetariana a El Sidròn.

Inoltre, rivelò che i Neandertal avevano già compreso l’utilità dell’acido salicilico (l’odierna aspirina) e della muffa (la penicillina) nella cura degli ascessi. In più, i ricercatori scoprirono che nella bocca dei Neandertal era presente il batterio Methanobrevibacter oralis, oggi diffuso anche nella nostra. Potrebbe essere il segno che neandertaliani e sapiens si siano già baciati, in qualche momento della preistoria più pacifico del nostro.

D’altronde anche le scimmie, i nostri parenti più vicini nell’ecosistema con un’evoluzione culturale assai più lenta della nostra, si baciano. I ruvidi scimpanzé avvicinano le labbra per gestire relazioni sociali nei loro clan, dove la rissa è sempre dietro l’angolo. Per i pacifici e matriarcali bonobo, simili agli scimpanzé ma più piccoli, invece, il contatto bocca a bocca accompagna l’attività erotica, che queste scimmie praticano con molta libertà.

Se anche i primati con cui condividiamo quasi tutto il Dna si baciano, la pratica potrebbe essersi evoluta tra i nostri progenitori qualche centinaio di migliaia di anni fa? È possibile. Rimane allora da spiegare per quale motivo il bacio si sia diffuso solo una minoranza di culture umane.

ANDREA CAPOCCI

da il manifesto.it

Foto di Rina Mayer da Pexels