Nella giornata di ieri i lavori della COP27 di Sharm el Sheikh hanno riguardato in particolare la riduzione delle emissioni di gas climalteranti dalle industrie dell’acciaio, del gas e del petrolio, dei fertilizzanti e del cemento.

In quella che è stata nominata come la “ Giornata della Decarbonizzazione” i governi che rappresentano oltre la meta del Pil mondiale, dopo una serie di tavole rotonde ed partenariati pubblico-privati, hanno lanciato un piano d’azione di 12 mesi per decarbonizzare il pianeta a partire dai settori difficili da abbattere, almeno secondo quanto dichiarato dal presidente della Cop27, Sameh Shoukry, che a inizio lavori ha sottolineato che la crisi è” climatica, esistenziale, prioritaria, sempre presente” e che per affrontarla vanno considerati tutti i pezzi del puzzle, compresa la decarbonizzazione dei settori industriali che sono alla base dell’economia globale.

Il piano consiste in un pacchetto di 25 nuove azioni da realizzare entro la COP28, che si terrà negli Emirati Arabi Uniti, al fine di accelerare la decarbonizzazione nell’ambito di cinque innovazioni chiave in materia di energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura.

Tali azioni sono rivolte a settori che rappresentano oltre il 50% delle emissioni globali di gas serra e sono anche progettate per ridurre i costi energetici e migliorare la sicurezza alimentare per miliardi di persone in tutto il mondo. Le azioni nell’ambito di ciascuna “svolta” saranno realizzate attraverso cooperazioni di paesi impegnati – in primis dal G7, membri Commissione europea, India, Egitto, Marocco e altri, supportati da importanti organizzazioni e iniziative internazionali e guidati da un gruppo centrale di governi di primo piano. Questi sforzi saranno rafforzati con finanziamenti privati e iniziative industriali e altri paesi saranno incoraggiati ad aderire.

Le azioni presentate come prioritarie comprendono accordi mirati a definizioni comuni per acciaio, idrogeno e batterie sostenibili a basse e “quasi” zero emissioni, a far convergere fondi su investimenti, appalti e scambi commerciali che garantiscano credibilità e trasparenza; ad accelerare la diffusione di progetti infrastrutturali essenziali, tra cui almeno 50 impianti industriali su larga scala a zero emissioni, almeno 100 “ hydrogen valley”, delle sorte di aree di incubazione di molteplici tecnologie a base di idrogeno, e un pacchetto di progetti infrastrutturali di rete elettrica transfrontaliera. Si è anche deciso di stabilire una data per l’obiettivo comune di eliminare gradualmente le automobili e i veicoli inquinanti, coerentemente con l’accordo di Parigi.

In ambito di impegni era molto atteso l’intervento di Joe Biden, arrivato ieri a Sharm el Sheikh. Il Presidente Usa si è innanzitutto «scusato» per la decisione del predecessore, Donald Trump, di uscire dall’accordo di Parigi (gli Usa sono poi rientrati lo scorso anno) definendo “incrollabile” il suo impegno per il clima e che gli Stati Uniti rispetteranno gli obiettivi sulle emissioni entro il 2030».

Le dichiarazioni di Biden hanno riguardato le emissioni di metano, che ha promesso verranno tagliate ma non si sa di quanto: le non ben specificate misure che si appresta a varare prevedono che l’Agenzia per la protezione ambientale richieda alle compagnie petrolifere e del gas di monitorare gli impianti di produzione esistenti per eventuali perdite di metano. Più dettagliato è stato l’impegno relativo al fondo per l’adattamento climatico dei Paesi in via di sviluppo, al quale gli Usa verseranno 150 milioni, il raddoppio dell’impegno precedentemente dichiarato.

La giornata dei buoni propositi per la decarbonizzazione è stata accompagnata dalla presentazione di un rapporto che ancora una volta non fa intravedere molte possibilità di riuscire a contenere il riscaldamento del pianeta al di sotto di 1,5 gradi. Lo studio è a cura del Global Carbon Project, che comprende University of Exeter, University of East Anglia (Uea), Cicero e Ludwig-Maximilian-University Munich.

Per il team di esperti le emissioni globali di carbonio nel 2022 rimangono da record, quasi ai livelli del 2019: qualora il trend rimanga questo, c’è una probabilità del 50% che il riscaldamento globale di 1,5°C sarà superato in nove anni. Secondo i calcoli, le emissioni di CO2 di origine fossile «aumenteranno dell’1% rispetto al 2021, leggermente al di sopra dei livelli del 2019 prima del Covid-19».

Tale incremento è trainato principalmente dall’utilizzo del petrolio (+2,2%), con la ripresa del traffico aereo, e del carbone (+1%). Le emissioni da carbone, in calo dal 2014, dovrebbero aumentare dell’1% e tornare, o addirittura superare, il livello record di quell’anno. «Le emissioni sono ora del cinque per cento superiori a quelle che erano al momento della firma dell’Accordo di Parigi nel 2015», ha detto Glen Peters, direttore di ricerca presso l’istituto di ricerca sul clima CICERO in Norvegia e co-autore dello studio pubblicato sulla rivista Earth Systems Science Data. Sui dati convergono due fattori: il proseguimento della ripresa post-Covid e la crisi energetica dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Da qui a 30 anni c’è una possibilità su due di raggiungere l’obiettivo meno ambizioso di +2 C, e a 18 anni di +1,7 C. «Abbiamo fatto dei progressi», osserva la climatologa Corinne Le Quere, un’altra autrice dello studio, sottolineando come la tendenza all’aumento delle emissioni dei combustibili fossili sia passata da circa il 3% all’anno negli anni 2000 allo 0,5% all’anno nel corso dell’ultimo decennio.

SERENA TARABON

da il manifesto.it

Foto di Markus Spiske